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Lei annuì di nuovo e montò sul suo roano, poi Padre Roche le porse Agnes e guidò il pony della bambina su per la collina. L'asino era fermo sulla cima, da un lato della strada, intento a mangiare le erbacce che sbucavano fra la neve sottile.

Kivrin si girò a guardare ancora il boschetto attraverso il velo della pioggia, cercando di scorgere la radura, e si ripeté che quello doveva essere di certo il sito della transizione… ma non poteva esserne certa perché da lì perfino la collina appariva in qualche modo diversa.

Padre Roche prese le redini dell'asino che subito s'irrigidì e piantò gli zoccoli nel terreno, ma non appena il prete gli fece voltare la testa e accennò a scendere dal lato opposto del pendio insieme al pony di Agnes, l'animale lo seguì spontaneamente.

La pioggia stava sciogliendo la neve e la giumenta di Rosemund scivolò un poco nel galoppare lungo il tratto diritto che riportava al bivio, cosa che indusse la ragazza a rallentare al trotto.

Al bivio successivo Padre Roche prese la strada di sinistra, costeggiata da salici e da querce, e con il fondo segnato da solchi fangosi ai piedi di ogni collina.

— Stiamo tornando a casa, Kivrin? — domandò Agnes, tremando fra le sue braccia.

— Sì — rispose lei, e tirò l'estremità del proprio mantello in modo da coprire la bambina. — Il ginocchio ti fa ancora male?

— No. Non abbiamo raccolto l'edera — commentò Agnes, poi si raddrizzò e si contorse in modo da poter guardare Kivrin. — Hai ricordato qualcosa quando hai visto quel posto?

— No — replicò Kivrin.

— Bene — dichiarò Agnes, riadagiandosi contro di lei. — Adesso dovrai restare con noi per sempre.

17

Andrews non telefonò a Dunworthy fino al tardo pomeriggio del giorno di Natale, che ebbe inizio ad un'ora antelucana quando Colin insistette per alzarsi e aprire il suo mucchietto di regali.

— Intende restare a letto tutto il giorno? — chiese, mentre Dunworthy annaspava alla ricerca degli occhiali. — Sono quasi le otto.

In realtà erano le sei e un quarto, fuori era ancora buio pesto, un buio tale che era impossibile vedere se stesse piovendo ancora, e Colin aveva dormito molto più a lungo di lui perché Dunworthy lo aveva rimandato a Balliol prima di recarsi in infermeria per vedere come stesse Latimer.

— Ha la febbre ma finora non ci sono coinvolgimenti polmonari — gli aveva detto Mary. — Si è presentato alle cinque, affermando di aver cominciato a registrare sintomi di emicrania e di confusione mentale verso l'una… quarantotto ore precise, quindi è inutile interrogarlo per scoprire dove ha contratto il virus e da chi. Tu come ti senti?

Mary lo aveva quindi costretto a fermarsi per le analisi del sangue e nel frattempo era arrivato un nuovo caso per cui lui aveva aspettato per vedere se era in grado di identificarlo. La conseguenza era stata che si era fatta quasi l'una prima che gli riuscisse di arrivare a letto.

Colin gli porse una confezione a sorpresa e insistette perché fosse lui ad aprirla, si mettesse in testa la corona di carta gialla e leggesse ad alta voce la frase all'interno. Essa diceva: «Quando è più probabile che le renne di Babbo Natale entrino? Quando la porta è aperta.»

Colin aveva già sulla testa la sua corona rossa ed era seduto per terra, intento ad aprire i regali. I dolci a forma di saponette ebbero un enorme successo.

— Vede — spiegò Colin, tirando fuori la lingua, — la tingono di colori diversi.

La stessa cosa succedeva anche ai suoi denti e agli angoli delle labbra.

Il libro parve fargli piacere, anche se era evidente che avrebbe preferito che ci fossero immagini olografiche; comunque lui ne sfogliò le pagine, soffermandosi a osservare le illustrazioni.

— Guardi questa — disse d'un tratto, protendendo il libro verso Dunworthy, che stava ancora cercando di svegliarsi.

L'immagine rappresentava la tomba di un cavaliere con la consueta effigie in armatura completa raffigurata sul coperchio del sarcofago, il volto atteggiato ad una serena immagine di eterno riposo; su un lato però, in una scultura a bassorilievo che sembrava una finestra aperta sulla tomba, era possibile vedere il cadavere del cavaliere morto che lottava per uscire dalla bara con la carne marcia che gli cadeva di dosso come brandelli di un sudario e le mani scheletriche incurvate in artigli frenetici, il teschio ridotto ad un orrore dalle orbite vuote, mentre i vermi strisciavano fra le sue gambe e sulla sua spada. L'iscrizione diceva: «Oxfordshire, 1350 circa. Esempio di decorazioni tombali macabre prevalenti dopo l'epidemia di peste bubbonica.»

— Non è apocalittico? — commentò Colin, deliziato.

Il ragazzo riuscì ad essere diplomatico perfino per quanto concerneva la sciarpa.

— Suppongo che sia il pensiero che conta, vero? — domandò, tenendola per un'estremità, e dopo un minuto aggiunse: — Forse potrò indossarla quando vado a trovare i malati, tanto a loro non importerà che aspetto mi conferisce.

— Visitare quali malati? — volle sapere Dunworthy.

Colin si alzò da terra e si avvicinò alla sua borsa da viaggio, cominciando a frugare all'interno.

— La scorsa notte il vicario mi ha chiesto di fare delle commissioni per lui, controllare le persone, portare medicine e altre cose — spiegò, mentre tirava fuori un sacchetto di carta dalla borsa. — Questo è il suo regalo — aggiunse, e senza che fosse necessario precisò: — Non è incartato perché Finch ha ritenuto che a causa dell'epidemia fosse meglio risparmiare la carta.

Dunworthy aprì il sacchetto e vi trovò un piatto libretto rosso.

— È un'agenda degli appuntamenti — disse Colin, — in modo che possa cancellare i giorni che passano finché la sua allieva non sarà tornata. Vede — continuò, aprendo la prima pagina, — ho badato di prenderne una che avesse anche il mese di dicembre.

— Ti ringrazio — mormorò Dunworthy, aprendo l'agenda. Natale. La Strage degli Innocenti. L'Anno Nuovo. L'Epifania. — È stato molto gentile da parte tua.

— Volevo prenderle un modellino della Torre Carfax che suonava «Ho Sentito le Campane il Giorno di Natale», ma costava venti sterline — si scusò Colin.

In quel momento trillò il telefono e tanto il ragazzo quanto Dunworthy si tuffarono verso l'apparecchio.

— Scommetto che è mia madre — disse Colin.

Invece era Mary, che chiamava dall'Infermeria.

— Come ti senti? — domandò.

— Mezzo assonnato — rispose Dunworthy, guadagnandosi un sogghigno da parte di Colin, poi chiese. — Come sta Latimer?

— Bene — replicò Mary, che indossava sempre lo stesso camice da laboratorio ma si era pettinata i capelli e appariva più allegra. — Sembra aver contratto una forma molto lieve. Inoltre abbiamo stabilito un collegamento con il virus del Sud Carolina.

— Latimer è stato là?

— No. Però uno degli studenti che ti ho chiesto di interrogare la scorsa notte… buon Dio, voglio dire due notti fa. Sto perdendo il senso del tempo. È uno di quelli che sono andati a quella festa, a Headington. In un primo tempo ha mentito perché era sgusciato di nascosto fuori del college per vedere una ragazza e si era fatto coprire le spalle da un amico.

— È sgusciato fin nel Sud Carolina?

— No, fino a Londra, ma la ragazza in questione veniva dagli Stati Uniti. Proveniva dal Texas ma aveva cambiato aereo a Charleston, Sud Carolina. Adesso il CDC sta lavorando per appurare quanti casi si siano verificati all'aeroporto. Ora però fammi parlare con Colin, perché voglio augurargli un felice Natale.

Dunworthy le passò il ragazzo, che si lanciò in un elenco dei doni ricevuti, includendo anche la frase nella sua confezione a sorpresa.

— Il Signor Dunworthy mi ha regalato un libro sul medioevo — proseguì, tenendo il volume sollevato davanti allo schermo. — Lo sapevi che alle persone colpevoli di furto tagliavano la testa e la esponevano sul Ponte di Londra?

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