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— Dobbiamo togliere la febbre dalla sua testa — dichiarò Lady Imeyne, tornando al suo impiastro. — Le spezie gli hanno infiammato il cervello.

— No — sussurrò Kivrin, guardando il prete.

Adesso l'uomo giaceva supino con le braccia allargate sui fianchi e le mani con il palmo rivolto verso l'alto, e dal momento che la sottile camicia si era lacerata a metà sul davanti scivolando del tutto via dalla spalla sinistra, adesso il braccio proteso era esposto. E sotto il braccio c'era un gonfiore rosso.

— No — alitò ancora Kivrin.

Il gonfiore era di un rosso acceso ed era grosso quasi quanto un uovo. Febbre alta, lingua gonfia, intossicazione del sistema nervoso, bubboni sotto le braccia e all'inguine.

— Non può essere — mormorò, indietreggiando di un passo dal letto. — Deve essere qualcos'altro.

Doveva essere qualcos'altro. Una vescica, o un'ulcera di qualche tipo. Protendendosi, tirò la manica allontanandola del tutto dal gonfiore. Le mani del segretario ebbero una contrazione e subito Padre Roche si protese a bloccargli i polsi contro il letto. Il gonfiore era duro al tatto e intorno ad esso la pelle era chiazzata di un colore fra il porpora e il nero.

— Non può essere — ripeté Kivrin. — Questo è soltanto il 1320.

— Questo gli toglierà la febbre — affermò Imeyne, alzandosi con mosse rigide e tenendo l'impiastro davanti a sé, e accennò ad avvicinarsi al letto aggiugendo: — Togligli la camicia in modo che possa applicare l'impiastro.

— No! — esclamò Kivrin, protendendo le mani per fermare la vecchia. — Sta' lontana! Non lo devi toccare!

— Dici cose assurde — ribatté Imeyne, guardando verso Roche. — Non è altro che una febbre di stomaco.

— Non è una semplice febbre! — gridò Kivrin. poi si girò verso Roche e ordinò: — Lasciagli andare le mani e allontanati dal letto. Questa non è febbre, è la peste.

Tutti… Roche, Imeyne ed Eliwys… la fissarono con la stessa espressione vacua di Maisry.

Non sanno neppure cos'è, pensò Kivrin, disperata. Non lo sanno perché ancora non esiste, perché non c'è ancora stata una cosa come la Morte Nera. La peste ha avuto inizio in Cina soltanto nel 1333 e non è arrivata in Inghilterra che nel 1348.

— È la peste — ripeté ad alta voce. — I sintomi ci sono tutti: il bubbone, e la lingua gonfia e l'emorragia sotto la pelle.

— Non è che una febbre di stomaco — persistette Imeyne, cercando di oltrepassarla per arrivare al letto.

— No… — ripeté Kivrin, ma Imeyne si era già fermata con l'impiastro sospeso sul petto nudo dll'uomo.

— Signore abbi misericordia di noi — sussurrò, e indietreggiò senza aver posato l'impiastro.

— È il male azzurro? — chiese Eliwys, con voce spaventata.

E di colpo Kivrin comprese ogni cosa. Quella gente non era venuta lì a causa del processo o perché Lord Guillaume si fosse inimicato il re. Lui aveva mandato lì la famiglia perché a Bath c'era la peste.

— La nostra bambinaia è morta. Rosemund ha detto che è morta del male azzurro — aveva detto Agnes. Come era morto anche il cappellano di Lady Imeyne, Fratello Hubard.

E Sir Bloet aveva detto che il processo era stato rimandato perché il giudice era malato. Era stato sempre per questo che Eliwys non aveva voluto che si mandasse qualcuno a Courcy e che si era infuriata quando Imeyne aveva mandato Gawyn dal vescovo… perché a Bath c'era la peste. Ma non era possibile, la Morte Nera era arrivata a Bath soltanto nell'autunno del 1348.

— In che anno siamo? — chiese.

Le donne la guardarono con aria stordita, Imeyne con l'impiastro ancora in mano, dimenticato, e lei si rivolse a Roche.

— In che anno siamo?

— Stai male, Lady Katherine? — domandò lui in tono ansioso, protendendosi verso i suoi polsi come se temesse che potesse avere un attacco come quello del segretario.

— Dimmi in che anno siamo — ingiunse lei, ritraendosi di scatto.

— Questo è il ventunesimo anno del regno di Edoardo Terzo — disse Eliwys.

Edoardo Terzo, non secondo… ma nello stato di panico in cui era Kivrin non riuscì a ricordare le date del suo regno.

— Voglio sapere l'anno! — gridò.

— Anno domine — sussurrò il segretario dal letto, cercando di umettarsi le labbra con la lingua gonfia. — Mille trecento e quarantotto.

LIBRO TERZO

Ho seppellito con le mie stesse mani cinque dei miei figli in una tomba unica… Niente campane. Niente lacrime. Questa è la fine del mondo

AGNIOLA DI TURA
Siena, 1347

24

Dunworthy trascorse i due giorni successivi in parte attaccato al telefono per chiamare i tecnici segnati nella lista di Finch e i centri di pesca della Scozia e in parte impegnato a organizzare un'altra corsia nell'ala Bulkeley-Johnson. Adesso altri quindici «ospiti» di Balliol si erano ammalati, fra cui la Signora Taylor, che era crollata quando mancavano ancora quarantanove rintocchi ad un'esecuzione completa.

— È svenuta di colpo e ha lasciato andare la presa — riferì Finch. — La campana si è messa a ondeggiare con un suono che sembrava annunciare il giudizio universale e la corda si è contorta come una cosa viva, avvolgendosi intorno al mio collo e riuscendo quasi a strangolarmi. Quando è tornata in sé la Signora Taylor voleva continuare, ma naturalmente ormai era troppo tardi… vorrei che le parlasse, Signor Dunworthy, perché adesso è molto depressa e dice che non si perdonerà mai per essere venuta meno agli altri. Io ho cercato di farle capire che non è stata colpa sua, che a volte ci sono cose che esulano dal nostro controllo… non è così?

— Infatti — replicò Dunworthy.

Non era riuscito a contattare neppure un tecnico e tanto meno a persuaderne uno a venire ad Oxford, e non aveva trovato Basingame. Lui e Finch avevano telefonato ad ogni hotel della Scozia, a ogni locanda e a ogni affittuario di cottage, e William aveva ottenuto l'estratto del conto bancario di Basingame, ma su di esso non figuravano acquisti di attrezzature da pesca in nessuna remota località scozzese come invece aveva sperato Dunworthy, e non figuravano addirittura spese di sorta dopo il quindici di dicembre.

Intanto il sistema telefonico stava andando in crisi in maniera sempre più massiccia e definitiva. Il video era di nuovo disattivato e la voce computerizzata che annunciava l'intasamento delle linee a causa dell'epidemia compariva dopo la composizione di appena due numeri quasi ad ogni telefonata che si cercava di fare.

La preoccupazione di Dunworthy per Kivrin si trasformò progressivamente in un peso schiacciante… come se la stesse portando dentro si sé… a mano a mano che lui componeva e ricomponeva numeri telefonici e aspettava ambulanze e ascoltava le lamentele della Signora Gaddson. Andrews non aveva più richiamato, o se l'aveva fatto non era riuscito ad ottenere la linea, e Badri continuava a mormorare senza posa parole sconnesse che si riferivano alla morte mentre le infermiere trascrivevano con cura ogni sua parola intellegibile su pezzi di carta, e intanto che aspettava che i tecnici o i centri di pesca rispondessero alle sue chiamate Dunworthy studiava senza posa quelle annotazioni alla ricerca di qualche indizio. «Nera», aveva detto Badri, e anche «laboratorio» ed «Europa».

La situazione telefonica peggiorò ulteriormente: adesso la voce registrata interferiva al primo numero e parecchie volte l'apparecchio restava addirittura muto, quindi per il momento Dunworthy rinunciò alle telefonate e si concentrò sulle tabelle dei contatti. In qualche modo William era riuscito a mettere le mani sulle cartelle mediche riservate dell'SSN dei contatti primari e lui le analizzò alla ricerca di cure a base di radiazioni o di visite dal dentista. Uno dei contatti primari si era fatto fare una radiografia alla mascella, ma un esame più attento rivelò che questo era successo il ventiquattro, e cioè dopo l'inizio dell'epidemia.

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