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Seppellirono Rosemund nella tomba che il castaldo aveva scavato per lei.

— Queste tombe vi serviranno — aveva detto, e aveva avuto ragione, perché da soli non sarebbero mai riusciti a scavarne una. Riuscirono a stento a trasportare il corpo della ragazza fino alla piazza.

Quando l'adagiarono sul terreno accanto alla tomba, Rosemund appariva assurdamente magra, stesa là avvolta nel suo mantello, smagrita fino ad essere quasi inconsistente. Le dita della mano destra, ancora parzialmente incurvate come per tenere la mela che aveva lasciato cadere, erano soltanto ossa.

— Hai sentito la sua confessione? — domandò Roche.

— Sì — rispose Kivrin, e in effetti le sembrava di averlo fatto. Rosemund aveva confessato di aver paura del buio e di restare sola, di amare suo padre e di sapere che non lo avrebbe rivisto. Tutte cose che lei non era in grado di indursi a confessare.

Kivrin aprì la spilla che Sir Bloet aveva regalato a Rosemund e avvolse il mantello intorno alla ragazza, coprendole la testa, poi Roche la prese fra le braccia come se fosse stata una bambina addormentata e scese nella fossa.

Il prete ebbe difficoltà ad arrampicarsi fuori della fossa, tanto che Kivrin dovette afferrare le sue grosse mani e tirarlo fuori, e quando cominciò le preghiere dei morti disse:

— Domine, ad adjuvandum me festina.

Kivrin lo guardò con espressione ansiosa, pensando che dovevano spicciarsi ad andare via di lì prima che anche lui restasse contagiato, e non lo corresse. Non avevano un momento da perdere.

— Dormiunt in sommo pacis — concluse Roche, poi prese la pala e cominciò a riempire la tomba.

L'operazione parve richiedere un'eternità di tempo. Kivrin si alternò al prete nello spalare il mucchio di terra che si era congelato in una massa solida, cercando al tempo stesso di pensare a quanto sarebbero riusciti ad arrivare lontano prima di notte. Non era ancora mezzogiorno, e se fossero partiti presto avrebbero potuto attraversare la Foresta di Wychwood e la strada fra Oxford e Bath fino a raggiungere la Pianura delle Midland. Avrebbero potuto arrivare in Scozia entro una settimana, dirigendosi a Invercassley o a Dornoch, dove la peste non si era mai diffusa.

— Padre Roche — disse, non appena lui cominciò a pressare la terra con la parte piatta della pala, — dobbiamo andare in Scozia.

— In Scozia? — ripeté lui, come se non ne avesse mai sentito parlare.

— Sì — insistette Kivrin. — Dobbiamo andare via di qui. Dobbiamo prendere l'asino e andare in Scozia.

— Bisognerà portare con noi i sacramenti — osservò Roche, annuendo. — E prima di partire devo suonare la campana per Rosemund, in modo che la sua anima possa arrivare in cielo sana e salva.

Kivrin avrebbe voluto dirgli che non c'era tempo, che dovevano partire immediatamente, ma si limitò ad assentire.

— Intanto io andrò a prendere Balaam — replicò soltanto.

Roche si avviò verso la torre campanaria e prima ancora che l'avesse raggiunta lei stava già correndo verso il granaio. Voleva andare via di lì adesso, subito, prima che succedesse qualche altra cosa, come se la peste fosse stata sul punto di saltare loro addosso da dietro la chiesa, o dal granaio o dalla birreria.

Attraversò di corsa il cortile ed entrò nella stalla, portando fuori l'asino e cominciando ad affibbiargli sulla groppa le bisacce.

La campana rintoccò una volta e poi tacque… e Kivrin si bloccò con la cinghia del sottopancia in mano, aspettandosi di sentirla suonare ancora. Sapeva che i colpi previsti per una donna erano tre, e sapeva anche perché Roche si era fermato. Un colpo per un bambino. Oh, Rosemund.

Legò la cinghia del sottopancia e cominciò a riempire le bisacce: erano troppo piccole per contenere tutto, quindi avrebbe dovuto legare anche i sacchi sul dorso del mulo. Riempì una sacca di tela grezza con l'avena per nutrire l'animale, prelevandola dalla mangiatoia con entrambe le mani e rovesciandone in abbondanza sul pavimento sporco, poi cercò di prendere una rozza corda che pendeva dallo stallo del pony di Agnes per poterla chiudere. La corda era però legata allo stallo con un nodo che non riusciva a sciogliere, quindi alla fine si arrese e corse fino alla cucina per prendere un coltello, e al ritorno portò con sé i sacchi di viveri che aveva preparato in precedenza.

Staccata la corda dallo stallo la divise in pezzi più piccoli e si avvicinò all'asino, che stava cercando di praticare con i denti un buco nella sacca dell'avena, gli legò sul dorso tutti i bagagli con i pezzi di corda e lo condusse nel cortile e attraverso la piazza, fino alla chiesa.

Roche non si vedeva da nessuna parte. Kivrin doveva ancora andare a prendere le coperte e le candele, ma voleva riporre prima i sacramenti nelle sacche. Cibo, avena, coperte, candele. Aveva dimenticato qualcosa?

Roche apparve sulla soglia della chiesa, senza però avere nulla in mano.

— Dove sono i sacramenti? — gli chiese Kivrin.

Lui non rispose e per un momento si appoggiò allo stipite, con la faccia improntata alla stessa espressione che aveva avuto quando era venuto a dirle della morte del castaldo.

Ma sono morti tutti, pensò Kivrin. Non c'è più nessuno che possa morire.

— Devo suonare la campana — disse quindi Roche, e si avviò attraverso il cortile in direzione della torre campanaria.

— L'hai già suonata — replicò Kivrin. — Non c'è tempo per la campana a morto perché dobbiamo metterci in viaggio per la Scozia. — Legò quindi l'asino al cancello del porticato, annaspando con le dita gelate per serrare la corda, e gli corse dietro, afferrandolo per una manica. — Cosa c'è?

Lui si girò quasi con violenza, e l'espressione del suo volto la spaventò: sembrava un tagliagole, un assassino.

— Devo suonare la campana dei vespri — ribatté, e si liberò dalla sua stretta con un gesto energico.

Oh, no, pensò Kivrin.

— È appena mezzogiorno — insistette. — Non è ancora ora dei vespri.

È soltanto stanco, si disse. Siamo entrambi stanchi e non riusciamo a pensare in maniera coerente.

— Vieni, padre — aggiunse, prendendolo per una manica. — Dobbiamo andare, in modo da essere fuori del bosco prima di notte.

— L'ora è passata e non ho ancora suonato i vespri — replicò Roche. — Lady Imeyne si infurierà.

Oh no, gemette interiormente Kivrin. Oh no, oh no.

— Li suonerò io — si offrì, parandosi davanti a lui per fermarlo. — Adesso devi andare in casa e riposare.

— Si fa buio — ribatté il prete, con rabbia, poi aprì la bocca come per inveire ancora e da essa scaturì una grande boccata di vomito e di sangue che andò a spruzzare il giustacuore di Kivrin.

Oh no oh no oh no.

Roche guardò con espressione sconcertata il giustacuore macchiato e ogni traccia di violenza svanì dal suo volto.

— Sono malato? — chiese, continuando a fissare il giustacuore sporco di sangue.

— No — rispose Kivrin. — Ma sei stanco e devi riposare.

Lo guidò verso la chiesa, e quando lui incespicò ebbe un momento di panico, perché sapeva che se fosse caduto non sarebbe riuscita a farlo rialzare. Lo aiutò ad entrare, tenendo puntellata la pesante porta con la schiena, e lo fece sedere con le spalle addossate alla parete.

— Temo che il lavoro mi abbia stancato — mormorò Roche, appoggiando la testa contro le pietre. — Dormirò un poco.

— Sì, dormi — approvò Kivrin, e non appena lui ebbe chiuso gli occhi tornò di corsa al maniero per prendere delle coperte e una trapunta per preparargli un pagliericcio. Quando però entrò di volata in chiesa il prete non era più dove lo aveva lasciato. — Roche! — chiamò, cercando di vedere qualcosa nella navata buia. — Dove sei?

Non ebbe risposta e saettò di nuovo fuori tenendo le coperte ancora stette al petto, ma lui non era nella torre campanaria e neppure nel cortile della chiesa e non poteva essere arrivato fino alla casa, quindi tornò di corsa in chiesa e risalì la navata, trovandolo infine inginocchiato ai piedi della statua di Santa Caterina.

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