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— È questa la fanciulla? — chiese una voce di donna.

Sollevando lo sguardo, Kivrin vide che si trattava della sorella di Sir Bloet, Yvolde, che era seguita da vicino da Imeyne. La donna fissò Kivrin in volto per un lungo momento, con la bocca contratta nella consueta espressione di disapprovazione, poi scosse il capo.

— No, non è la figlia di Ulurich — disse. — Quella ragazza era bassa e bruna.

— E neppure la pupilla di de Ferrers? — chiese Imeyne.

— È morta — replicò Yvolde. — Non rammenti proprio nulla di chi sei? — domandò poi a Kivrin.

— No, buona signora — rispose lei, ricordando troppo tardi che avrebbe dovuto tenere lo sguardo modestamente abbassato verso il pavimento.

— L'hanno colpita alla testa — intervenne spontaneamente Agnes.

— E tuttavia ricordi il tuo nome e come si fa a parlare. Sei di buona famiglia?

— Non ricordo la mia famiglia, buona signora — spiegò Kivrin, cercando di mantenere un tono di voce sottomesso.

— Sembra originaria dell'ovest — sbuffò Yvolde. — Hai mandato a chiedere informazioni a Bath?

— No — replicò Imeyne. — La moglie di mio figlio vuole prima aspettare che lui arrivi. Hai sentito nulla da Oxenford?

— No, ma là c'è molta malattia — ribatté Yvolde.

— Conosci la famiglia di Lady Katherine, Lady Yvolde? — domandò Rosemund, avvicinandosi.

— No. — Yvolde concentrò la propria disapprovazione sulla ragazza e aggiunse: — Dov'è la spilla che mio fratello ti ha dato?

— Io… è sul mio mantello — balbettò Rosemund.

— Non onori i suoi doni abbastanza da portarli indosso?

— Va' a prenderla — intervenne Lady Imeyne. — Voglio vederla.

Rosemund sollevò il mento di scatto ma si avviò verso la parete esterna a cui erano appesi i mantelli.

— Mostra per i doni di mio fratello lo stesso entusiasmo che manifesta per la sua presenza — commentò Yvolde. — A cena non gli ha parlato neppure una volta.

Rosemund tornò portando con sé il mantello verde su cui era fissata la spilla e la mostrò in silenzio ad Imeyne.

— Voglio vedere anch'io — strillò Agnes, e Rosemund si chinò per accontentarla.

Il monile era un cerchio d'oro decorato da pietre rosse con l'ago della spilla fissato in basso senza cardine, in modo da essere infilato direttamente nella stoffa. Sul lato esterno del cerchio d'oro erano incise le parole: «Io suiicen lui dami amo»

— Cosa significa? — chiese Agnes, indicando la scritta intorno al cerchio d'oro.

— Non lo so — rispose Rosemund, in un tono che sottintendeva chiaramente un «e non me ne importa».

Vedendo che Yvolde stava serrando la mascella, Kivrin si affrettò a intervenire.

— Dice «Tu sei qui al posto dell'amico che amo», Agnes — lesse. Subito dopo si rese conto con un senso di panico di ciò che aveva fatto e si affrettò a sollevare lo sguardo su Imeyne, che però non pareva essersi accorta di nulla.

— Queste parole dovrebbero essere sul tuo petto invece che appese a un piolo — dichiarò Imeyne, prendendo la spilla e fissandola sul davanti dell'abito di Rosemund.

— E invece di indulgere in giochi infantili tu dovresti essere accanto a mio fratello come si addice alla sua fidanzata — rincarò Yvolde, indicando con la mano in direzione del focolare dove Bloet sedeva semiaddormentato e sotto i chiari effetti delle conseguenze delle sue capatine all'esterno. Rosemund scoccò a Kivrin un'occhiata implorante.

— Va' a ringraziare Sir Bloet per il suo dono generoso — ingiunse freddamente Imeyne.

Rosemund consegnò il mantello a Kivrin e si avviò per attraversare la sala.

— Avanti, Agnes, ora devi riposare — disse Kivrin.

— Voglio ascoltare i rintocchi del Diavolo — protestò la bambina.

— Lady Katherine — intervenne Lady Yvolde, ponendo una strana enfasi sulla parola «Lady» — tu ci hai detto di non ricordare nulla, e tuttavia hai letto senza difficoltà la scritta sulla spilla. Sai dunque leggere?

So leggere, pensò Kivrin, ma nel quattordicesimo secolo meno di un terzo della popolazione sapeva farlo, e un numero ancor più ridotto di donne.

Scoccò un'occhiata a Imeyne, che la stava fissando come aveva fatto la prima mattina che lei aveva trascorso lì, quando aveva esaminato i suoi abiti e le sue mani.

— No — rispose infine, fissando Yvolde negli occhi, — temo di non saper leggere neppure il Paternoster. Tuo fratello ci ha detto il senso di quelle parole quando ha dato la spilla a Rosemund.

— Non lo ha fatto — trillò Agnes.

— Tu eri occupata a guardare la tua campanella — la rimbeccò Kivrin, pensando che Lady Yvolde non le avrebbe creduto, avrebbe chiesto conferma al fratello e lui avrebbe replicato di non averle mai rivolto la parola.

Yvolde però parve soddisfatta.

— Non pensavo che una come lei potesse saper leggere — commentò, rivolta ad Imeyne, poi la prese per mano ed entrambe di avviarono verso Sir Bloet.

Kivrin si lasciò ricadere sulla panca.

— Voglio la mia campanella — insistette Agnes.

— Non la legherò se non ti sdrai.

— Prima mi devi raccontare la storia — dichiarò Agnes, arrampicandosi sulle sue ginocchia. — C'era una volta una fanciulla…

— C'era una volta una fanciulla — cominciò Kivrin, continuando a tenere l'occhio Imeyne ed Yvolde, che si erano sedute accanto a Sir Bloet e stavano parlando con Rosemund. La ragazza disse qualcosa, con il mento alto e le guance in fiamme; Sir Bloet rise e chiuse la mano intorno alla spilla, facendola poi scivolare sul seno di Rosemund.

— C'era una volta una fanciulla… — ripeté Agnes, con insistenza.

— … che viveva al limitare di una grande foresta — narrò Kivrin. — 'Non andare nella foresta da sola,' l'ammonì suo padre…

— Ma lei non gli diede ascolto — commentò Agnes, sbadigliando.

— No, non gli diede ascolto. Suo padre l'amava e si preoccupava soltanto per la sua sicurezza, ma lei non volle dargli ascolto.

— Cosa c'era nella foresta? — domandò Agnes, annidandosi contro Kivrin.

Tagliagole e ladri, pensò lei, coprendo la bambina con il mantello di Rosemund. E vecchi lascivi con le loro sorelle zitelle. E amanti proibiti. E mariti. E giudici.

— Ogni sorta di cose pericolose — disse soltanto.

— Lupi — suggerì Agnes, con voce assonnata.

— Sì, lupi — confermò Kivrin, senza distogliere lo sguardo da Imeyne e da Yvolde, che si erano allontanate da Sir Bloet e adesso la stavano fissando mentre confabulavano fra loro.

— E cosa le è successo, dopo? — domandò Agnes, con gli occhi che già le si chiudevano.

— Non lo so — mormorò Kivrin, stringendola a sé. — Non lo so.

20

Agnes si era addormenta da forse cinque minuti quando la campana smise di suonare per poi ricominciare con un ritmo molto più rapido, chiamando a messa i fedeli.

— Padre Roche ha iniziato troppo presto, non è ancora mezzanotte — sentenziò Lady Imeyne, ma quelle parole non le erano ancora uscite di bocca che anche le altre campane dei dintorni presero a suonare: quella di Wychlade e di Bureford e, molto lontano verso est, tanto da essere soltanto una flebile eco, il concerto delle campane di Oxford.

Le campane di Osney e quelle di Carfax, pensò Kivrin, chiedendosi se quella notte stessero suonando anche nella sua epoca.

Sir Bloet si issò in piedi e aiutò la sorella ad alzarsi, e subito uno dei servitori arrivò in tutta fretta con i loro mantelli bordati di pelliccia mentre le ragazze recuperavano i loro nel mucchio generale senza smettere di chiacchierare e Lady Imeyne svegliava Maisry che si era addormentata sulla panca dei mendicanti per ordinarle di andare a prendere il suo Libro delle Ore. Maisry si allontanò strascicando i piedi e sbadigliando verso la scala del solaio; contemporaneamente Rosemund venne a prendere il suo mantello che era scivolato di dosso ad Agnes.

La bambina era profondamente addormentata e Kivrin esitò, detestando svegliarla ma certa che neppure i bambini di cinque anni e sfiniti fossero esentati da questa messa.

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