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Kivrin riscaldò dell'acqua e preparò dei panni bagnati da mettere sul bubbone, ma anche se l'acqua era appena tiepida Rosemund urlò al primo contatto e Kivrin fu costretta a fare di nuovo ricorso all'acqua fredda, che non serviva a nulla.

Non c'è niente che serva a qualcosa, pensò sconsolata, mentre teneva il panno freddo contro l'ascella di Rosemund. Niente.

Doveva trovare il sito… ma i boschi si allargavano tutt'intorno per chilometri e c'erano centinaia di querce, dozzine di radure, e non sarebbe mai riuscita a individuare quella giusta. E poi, non poteva lasciare Rosemund.

Forse Gawyn sarebbe tornato. Durante la peste alcune città avevano sbarrato le porte, quindi forse lui non era riuscito a entrare a Bath o forse aveva incontrato dei profughi lungo la strada e parlando con loro si era reso conto che Lord Guillaume doveva essere morto.

Torna indietro, implorò mentalmente. Spicciati a tornare indietro.

Per l'ennesima volta esaminò il contenuto del cofanetto di Imeyne, assaggiando quello che c'era nei singoli sacchetti. La polvere gialla era zolfo… durante le epidemie i dottori lo avevano bruciato per purificare l'aria con il suo fumo, e lei ricordava di aver studiato nel corso di Storia della Medicina che lo zolfo uccideva certi batteri, anche se non ricordava se questo avvenisse soltanto in alcuni composti dello zolfo. In ogni caso, era una misura meno pericolosa che incidere il bubbone.

Per fare una prova lasciò cadere un pizzico di polvere sul fuoco ed essa esalò immediatamente una nube gialla che le bruciò la gola anche attraversola maschera. Il segretario annasò per respirare e Imeyne cominciò a tossire violentemente nel suo angolo.

Kivrin si era aspettata che il puzzo di uovo marcio si disperdesse in pochi minuti, ma il fumo giallo rimase sospeso nell'aria come una cortina, bruciando gli occhi. Maisry corse fuori tossendo con la faccia nascosta nel grembiule ed Eliwys portò Imeyne e Agnes nel solaio per sottrarsi a quella puzza.

Kivrin puntellò la porta della sala in modo che restasse aperta e smosse l'aria con uno dei panni di cucina, riuscendo a disperdere il fumo a poco a poco anche se si sentiva ancora la gola in fiamme. Il segretario continuò a tossire, ma Rosemund smise e il suo battito rallentò al punto che non si riusciva quasi più ad avvertirlo.

— Non so più cosa fare — ammise Kivrin, tenendo fra le mani il polso secco e rovente della ragazza. — Ho tentato di tutto.

Roche entrò tossendo nella sala.

— È colpa dello zolfo — spiegò Kivrin, poi aggiunse: — Rosemund sta peggio.

Roche guardò la ragazza e controllò il suo polso, poi tornò ad uscire e Kivrin interpretò la cosa come un segno positivo… di certo il prete non se ne sarebbe andato se Rosemund fosse stata davvero grave.

Roche tornò però di lì a poco con indosso i paramenti e portando con sé l'olio e il viatico per il rito estremo.

— Cosa è successo? — domandò Kivrin. — La moglie del castaldo è morta?

— No — replicò lui, e spostò lo sguardo su Rosemund.

— No — sussurrò Kivrin, alzandosi in piedi per interporsi fra lui e la ragazza. — Non te lo permetterò.

— Non deve morire senza essere stata confessata — affermò il prete.

— Rosemund non sta morendo — insistette lei.

Poi però seguì con lo sguardo quello del prete e si accorse che la ragazza sembrava già morta, con le labbra screpolate semiaperte e gli occhi vacui e fissi; la sua pelle aveva assunto una tonalità giallastra ed era tesa al massimo sul volto sottile.

No, pensò disperatamente Kivrin. Devo fare qualcosa per impedire che muoia. Ha soltanto dodici anni.

Roche venne avanti con il calice e Rosemund sollevò un braccio come in un gesto di supplica, lasciandolo poi ricadere.

— Dobbiamo incidere il bubbone e far uscire il veleno — disse Kivrin.

Per un momento credette che Roche avrebbe rifiutato e avrebbe insistito per sentire prima la confessione della ragazza, ma lui posò invece il contenitore dell'olio e il calice sul pavimento di pietra e andò a prendere un coltello.

— Bada che sia affilato — gli gridò dietro Kivrin, — e porta del vino. Mentre aspettava rimise sul fuoco la pentola dell'acqua e quando Roche fu di ritorno lavò il coltello con l'acqua del secchio, grattando via con l'unghia la porcizia incrostata vicino all'impugnatura, poi lo tenne sul fuoco dopo aver avvolto l'elsa in un angolo della sua sopravveste e infine vi versò sopra in successione acqua bollente, vino e ancora acqua.

Spostarono quindi Rosemund più vicina al fuoco con il fianco dove c'era il bubbone rivolto verso di esso in modo che fosse illuminato al massimo, e Roche s'inginocchiò accanto alla testa della ragazza mentre Kivrin le sfilava con delicatezza il braccio dalla camicia e le appallottolava la stoffa sotto la testa come un cuscino. Infine Roche afferrò il braccio di Rosemund e lo tenne girato in modo da esporre il gonfiore.

Adesso il bubbone aveva assunto le dimensioni di una mela e tutta la giuntura era infiammata e gonfia. I bordi del bubbone erano morbidi e quasi gelatinosi mentre il centro era ancora duro.

Kivrin apri la bottiglia del vino che Roche le aveva portato, ne versò un poco su un panno e tamponò delicatamente il bubbone… al tatto sembrava una roccia infissa nella carne, tanto da farle dubitare che il coltello potesse inciderlo.

Quando tutto fu pronto prese il coltello e lo tenne sospeso sopra il bubbone, timorosa di tagliare un'arteria o di diffondere l'infezione o di aggravarla.

— Non è più in grado di provare dolore — mormorò Roche.

Abbassando lo sguardo sulla ragazza, Kivrin si rese conto che non si era mossa quando lei aveva esercitato pressione sul gonfiore e che adesso aveva lo sguardo fisso su un punto remoto, dando l'impressione di vedere qualcosa di terribile.

Non posso rendere le cose peggiori di così, rifletté. Anche se la uccido, le sue condizioni non saranno certo peggiori di queste.

— Bloccale il braccio — ordinò al prete, che serrò il polso e l'avambraccio della ragazza, tenendo l'arto premuto contro il pavimento.

Rosemund non reagì in nessun modo. Dicendosi che sarebbero bastati due rapidi colpi, Kivrin accostò il coltello al gonfiore.

Immediatamente il braccio di Rosemund ebbe una contrazione e lei cercò di allontanare la spalla dalla lama, serrando ad artiglio la mano sottile.

— Cosa fate? — gridò con voce rauca, — Lo dirò a mio padre!

Kivrin ritrasse di scatto il coltello mentre Roche tornava a spingere il braccio di Rosemund contro il pavimento e lei cercava debolmente di colpirlo con l'arto libero.

— Io sono la figlia di Lord Guillaume D'Iverie — disse ancora Rosemund. — Non mi potete trattare così.

Kivrin indietreggiò fuori della sua portata e si alzò in piedi, cercando di impedire al coltello di urtare qualsiasi cosa. Protendendosi in avanti, Roche serrò con facilità entrambi i polsi della ragazza in una grande mano e allora Rosemund tentò di scalciare debolmente contro Kivrin, rovesciando il calice e spargendo il vino al suolo in una pozza scura.

— Dobbiamo legarla — decise Kivrin, rendendosi conto che stava brandendo in alto il coltello come un'assassina; abbassandolo, lo avvolse in uno dei panni procurati da Eliwys e ne fece a pezzi un altro per ottenere delle bende.

Roche legò i polsi di Rosemund sopra la sua testa e Kivrin le legò le caviglie alla gamba di una delle panche rovesciate, senza che la ragazza opponesse resistenza.

— Io ti conosco — disse però, quando Roche le coprì il torace con la camicia. — Sei il bandito che ha assalito Lady Katherine.

Protendendosi in avanti, Roche gravò con tutto il proprio peso sul braccio della ragazza, e Kivrin incise il bubbone.

Il sangue filtrò e poi fiottò dall'incisione, tanto che Kivrin ritenne di aver colpito un'arteria. Sia lei che Roche si lanciarono sul mucchio di bende e Kivrin ne afferrò una manciata, premendola contro la ferita. La stoffa s'inzuppò immediatamente, e quando Kivrin allentò la pressione per prendere un altro tampone che Roche le porgeva il sangue zampillò ancora dal piccolo taglio. Kivrin premette contro di esso un angolo della sua sopravveste e Rosemund emise un gemito sommesso e impotente come quelli del cucciolo di Agnes, poi parve crollare anche se le era impossibile cadere perché era già distesa.

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