«Molti dei nostri filosofi sarebbero d'accordo con questa affermazione» disse Hask. Fece una pausa. «Ma non tutti, naturalmente.» Per qualche momento tra i due ci fu silenzio. «Ho fame» disse il Tosok. La cosa non sorprese affatto Clete; per quanto ne sapeva, Hask non aveva mangiato niente dall'ammaraggio della sua capsula. «Ci vorranno diverse ore perché gli altri rinvengano. Hai bisogno di cibo?»
«Ho portato qualcosa con me» disse Clete. «Razioni della Marina. Non è alta cucina, ma serviranno allo scopo.»
«Vieni con me.»
Clete e Hask trascorsero il tempo mangiando e parlando. Clete trovò l'approccio dei Tosok al cibo assolutamente affascinante — per non dire disgustoso — e registrò tutto su videocassetta. Alla fine gli altri Tosok si ripresero abbastanza da lasciare la camera di ibernazione, e per la prima volta — quando si parlarono tra loro — Clete sentì la lingua dei Tosok. Aveva molti suoni simili all'inglese, ma c'era anche uno scoppiettio, un suono secco, e qualcosa che somigliava a due bastoncini di legno battuti l'uno sull'altro. Clete dubitava che un umano potesse parlare quella lingua senza un ausilio meccanico.
Il colore della pelle dei Tosok variava molto. La pelle di Hask era grigio-blu. Uno degli altri era di un colore tra il grigio e il marrone, un altro grigio neutro. Due avevano la pelle azzurra. Uno era blu marino. Kelkad era di un blu un po' più chiaro. Il colore degli occhi sembrava variare moltissimo; solo uno degli altri Tosok aveva tutti e quattro gli occhi dello stesso colore. Chiacchieravano incessantemente, e uno degli alieni era molto interessato a Clete, gli metteva il dito nelle costole, toccava la pelle e i capelli e lo guardava dritto in faccia con due occhi tondi a soli due millimetri di distanza.
Sembrava che Hask stesse facendo un resoconto agli altri. Da quello che Clete vedeva, i gesti non sembravano avere un ruolo significativo nella comunicazione tra Tosok — ma i ciuffi che avevano sulla testa facevano dei movimenti complessi che sembravano aggiungere delle sfumature al linguaggio parlato. Nel monologo di Hask sembrava ripetersi spesso una parola che suonava come kash-bum! Clete si chiese se fosse onomatopeica, magari riferita all'esplosione che doveva aver accompagnato la collisione nella cinta di Kuiper; a quanto sembrava, soltanto Hask e il Tosok che era morto erano rinvenuti in quel momento.
Era difficile dirlo, ma il capitano Kelkad sembrava seccato nei confronti di Hask — il volume della sua voce aumentava più del normale mentre pronunciava le frasi, e il suo ciuffo si muoveva con grande agitazione. Forse, pensò Clete, il capitano alieno pensava che Hask non avesse rispettato la sua autorità stabilendo il primo contatto prima di far rinvenire gli altri, o forse era arrabbiato perché un membro del suo equipaggio era morto.
Finalmente Kelkad si girò per guardare Clete. Disse qualche parola e Hask tradusse. «Kelkad dice che incontrerà i vostri leader ora. Siamo pronti a tornare giù.»
5
Il veicolo da atterraggio dei Tosok sfiorò la superficie dell'East River di New York fino a raggiunge Turtle Bay, la sede delle Nazioni Unite. Sfrecciò vicino all'edificio basso col lato concavo e il tetto a cupola dell'Assemblea Generale, poi fece tre giri intorno ai trentanove piani del Segretariato, prima di posarsi sull'ampio viale davanti all'Assemblea Generale. Non c'erano dubbi — i Tosok avevano un gusto teatrale. Quasi due miliardi di persone stavano assistendo all'evento in diretta, ed era come se mezza New York fosse per strada a guardare in su.
Intorno alle Nazioni Unite era stato organizzato un cordone. Le migliori guardie di New York da un lato della barriera, e le guardie in uniforme grigia delle Nazioni Unite dall'altro controllavano attentamente chi entrava. Frank Nobilio sperava che le precauzioni fossero sufficienti. Aveva passato ore a studiare le fotografie dell'astronave madre aliena che erano state fatte dal Telescopio spaziale Hubble (che ora era passato ripetutamente all'interno del suo campo di visibilità). Alla NASA/Ames avevano detto che la nave sembrava alimentata da fusione — e uno scarico di fusione puntato verso la Terra poteva fare danni enormi. Frank era terrorizzato dalle conseguenze nel caso uno dei Tosok potesse essere assassinato.
Eppure c'era qualcosa che lo toccava profondamente nell'essere lì alle Nazioni Unite. Oh, certo, nella loro storia probabilmente le Nazioni Unite avevano avuto più fallimenti che successi, ma rappresentavano ancora il più elevato degli ideali umani, e questo per Frank significava qualcosa, lui che a vent'anni era stato un anno nei Corpi di Pace, e che quand'era studente a Berkeley era stato coinvolto nelle proteste contro la guerra del Vietnam.
'Noi, il popolo degli Stati Uniti' erano davvero grandi parole, e neanche i decenni a Washington avevano indebolito la fede che Frank vi riponeva. Ma 'Noi, i popoli delle Nazioni Unite' erano parole ancora più grandi, pensò mentre guardava la gigantesca targa fuori dell'Assemblea Generale:
NOI, POPOLI DELLE NAZIONI UNITE, DECISI A SALVARE LE FUTURE GENERAZIONI DAL FLAGELLO DELLA GUERRA, CHE PER DUE VOLTE NEL CORSO DI QUESTA GENERAZIONE HA PORTATO INDICIBILI AFFLIZIONI ALL'UMANITÀ, A RIAFFERMARE LA FEDE NEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL'UOMO, NELLA DIGNITÀ E NEL VALORE DELLA PERSONA UMANA, NELLA EGUAGLIANZA DEI DIRITTI DEGLI UOMINI E DELLE DONNE E DELLE NAZIONI GRANDI E PICCOLE…
Erano parole di cui tutto il pianeta poteva essere fiero. Mentre la folla aspettava che il portello della capsula Tosok si aprisse, Frank sorrise tra sé. A dispetto di quelli che lo criticavano, era contento che ci fosse un posto come quello per far atterrare gli alieni.
E il portello si aprì — e ne uscì Cletus Calhoun. La folla, che normalmente sarebbe stata contenta di vedere una celebrità, reagì con disappunto. Una guardia delle Nazioni Unite si affrettò ad andargli incontro con un microfono, e Clete si avvicinò.
«Mi porti dal vostro capo» disse con un tono aspro e meccanico.
La folla rise. Il viso di Clete si aprì in un sorriso a trentadue denti. «Immagino che vi stiate chiedendo perché vi ho convocato qui oggi.»
Ancora risate.
«Signore e signori» disse facendosi serio. «E con grande onore che vi presento i primi visitatori extraterrestri sulla Terra.» Indicò il portello e ne uscì fuori il capitano dei Tosok, Kelkad.
Tutto il pubblico rimase senza fiato. Molti di loro avevano visto le foto che avevano fatto ad Hask a bordo della Kitty Hawk, ma vedere un vero alieno con i propri occhi…
Iniziò da un lato del vasto semicerchio di spettatori: una sola donna che batteva le mani. In pochi attimi si diffuse come un'onda su tutta la folla: una tempesta tonante di applausi.
I lunghi passi di Kelkad lo portarono rapidamente vicino a Clete. Frank riusciva a vedere Clete che parlava con l'alieno, probabilmente spiegandogli il significato dell'applauso. Kelkad fece un cenno con la mano posteriore e gli altri sei Tosok uscirono in fila. Si disposero dietro a Kelkad in due file di tre, e lui si spostò davanti al microfono.
L'applauso si interruppe di colpo. Erano tutti ansiosi di sentire quello che il capo alieno aveva da dire.
«Salve» disse Kelkad — o piuttosto il suo traduttore tascabile. Frank suppose che il database del vocabolario del traduttore di Hask fosse stato ormai copiato in quelli degli altri Tosok. «Bello il vostro pianeta.»
Di nuovo un applauso, con centinaia di sorrisi. Frank riconobbe nel commento il senso dell'umorismo di Clete; evidentemente aveva preparato Kelkad al discorso.
Frank si ritrovò ad applaudire così forte che gli dolevano le mani. E anche gli occhi, a vedere lo spettacolo degli alieni davanti all'arcobaleno delle centottantacinque bandiere delle Nazioni Unite della Terra.