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Korolov annuì e rivolse poche parole a Pushkin e Danilova. Entrambi apparvero contrariati, ma obbedirono agli ordini e tornarono indietro vicino al capitano Raintree.

I tre umani coprirono la distanza che rimaneva. Quando arrivarono a due metri o poco più dall'alieno, Clete alzò una mano. «Sarà meglio fermarci qui, Frankie» disse. «Non sappiamo quale sia la sua concezione del suo spazio personale.»

Frank annuì. Avvicinandosi, vedeva che la pelle della creatura era un reticolato di piccole linee, che la dividevano in squame o placche a rombi, e… Frank non riuscì a trattenere un sorriso. C'era una piccola striscia adesiva, forse lunga otto centimetri e larga due, attaccata sul lato della testa a cupola dell'alieno — sembrava una benda, come se l'alieno avesse battuto la testa. In qualche modo quel piccolo segno di fallibilità lo faceva apparire come qualcosa di molto più accessibile, di molto meno spaventoso.

Presumibilmente l'alieno stava studiando gli umani, ma nelle lenti a specchio non erano visibili le pupille — non c'era modo di capire dove stesse guardando.

Come procedere? Per un momento Frank pensò di fare con la mano il segnale di Incontri ravvicinati — e quel pensiero gli fece venire un'idea migliore. Alzò un dito, poi due — era consapevole di fare un cenno di pace — poi tre e poi cinque. Poi sollevò l'altra mano e aggiunse due dita, per un totale di sette.

L'alieno sollevò il suo arto frontale e alzò la mano, che finiva con quattro dita con la punta piatta, equidistanti dall'estremità circolare del braccio. Le dita sembravano identiche — erano tutte della stessa lunghezza, senza alcun pollice riconoscibile. Il primo e il terzo dito erano opposti l'uno all'altro, e così pure il secondo e il quarto.

L'alieno alzò un dito, poi due, poi tre. Poi fece girare la sua seconda mano da dietro il corpo, e alzò due dita — per un totale di cinque — e poi le altre due, arrivando a sette.

Fino a lì, tutto bene. Ma poi Frank pensò che forse aveva fatto un errore. Forse ora l'alieno credeva che gli umani comunicassero attraverso un linguaggio gestuale, invece che parlato. Si toccò il petto con la mano e disse «Frank.»

«Frank.» L'alieno era un imitatore di grande talento — la voce era identica a quella di Frank.

No, no, non era così — aveva registrato la sua voce e l'aveva immediatamente riprodotta. Ci doveva essere qualche attrezzatura di registrazione nella tunica che aveva addosso.

Frank puntò il dito verso l'alieno. Non c'era motivo di pensare che il gesto avrebbe significato qualcosa per la creatura. Ma quasi contemporaneamente la bocca dell'alieno si mosse. Era una struttura complessa, con un'apertura esterna orizzontale e uno strato interno di tessuto che aveva invece un'apertura verticale, formando una serie di fori rettangolari. «Hask» disse l'alieno. La sua voce era armoniosa e profonda — Frank non aveva visto niente sull'essere che potesse somigliare ai genitali, ma il suono era di una voce maschile. La voce partì piano, ma alla fine della parola il volume si fece più alto.

A quel punto Frank realizzò che non aveva stabilito un bel niente. Hask era il nome dell'essere? O il nome della sua razza? Oppure la parola significava qualcos'altro? Magari 'Ciao'? Frank indicò Clete. «Clete» disse. L'alieno ripeté la parola, e questa volta Frank fu certo che il suono non proveniva dalla bocca, ma dal torace dell'alieno. Una delle tasche del suo vestito conteneva un piccolo oggetto rettangolare; la sua forma appariva evidente dal modo in cui la stoffa era deformata, e la parte superiore dell'oggetto spuntava fuori dal bordo della tasca. Il suono sembrava provenire da lì.

L'alieno indicò Frank e disse il suo nome — questa volta il suono veniva dalla bocca. Poi indicò Clete e disse il suo nome. In entrambi i casi la parola iniziò piano ma il volume aumentò alla fine della sillaba. L'alieno indicò il russo. Frank lo guardò, ma non si ricordava il nome neanche lontanamente.

«Sergei» disse il russo.

«Sergei» ripeté l'apparecchio nella tasca dell'alieno, e poi, un momento dopo, lui stesso disse: «Sergei.»

Allora Frank indicò se stesso, Clete e Sergei. «Umani» disse.

«Aspettate» disse Sergei. «Mi oppongo a che il contatto sia in inglese.»

Frank guardò l'uomo. «Non è questo il momento…»

«Certo che è il momento. Voi…»

Clete intervenne. «Non stia a seccarci. Qui è al comando il dottor Nobilio, e…»

«Niet.»

«Per l'amor del cielo» disse Frank «Stiamo registrando tutto su video. Non discutiamo.»

Sergei sembrò alterato ma non aggiunse altro. Frank si voltò di nuovo verso l'alieno, indicò di nuovo ognuno di loro e ripeté: «Umani.»

L'alieno si toccò il torace, proprio come aveva fatto Frank prima. «Tosok.»

«Tosok» disse Frank. «Hask.»

«Umani» disse Hask. «Frank, Clete, Sergei.»

«Ora sì che ci siamo» disse Clete.

3

Il capitano Raintree e gli altri russi si avvicinarono. Decine di membri dell'equipaggio della Kitty Hawk avevano trovato delle scuse per salire sul ponte di volo, e ben presto Hask fu circondato da una folla intimorita. Frank e Clete passarono delle ore a insegnare all'alieno i nomi inglesi e alcuni verbi semplici — come 'camminare', 'correre', 'alzare'.

Via via che il tempo passava Frank notava più dettagli nell'aspetto di Hask. L'alieno aveva quattro lenti a specchio argentate — due sulla parte frontale della testa a cupola sopra al braccio anteriore, e altre due sul retro sopra al braccio posteriore, che appariva meno robusto e un po' più corto rispetto a quello anteriore. Dentro la bocca sulla parte frontale della testa sembrava esserci una specie di dentiera color ruggine, ma dietro la testa c'era un'altra bocca che non conteneva niente del genere. C'erano anche due piccoli orifizi ai lati, della testa, e sembrava che l'alieno respirasse attraverso quelli.

Quando iniziarono a costruire delle frasi divenne chiaro che i Tosok parlavano aumentando il volume della voce passando dall'inizio alla fine della frase. Sembrava che Hask avesse dei problemi a seguire quello che Frank diceva perché l'umano non era in grado di emulare questo effetto; Hask riusciva ad analizzare la parlata di Frank se lui faceva una pausa di un secondo tra le frasi.

Dopo circa un'ora un marinaio si avvicinò a circa tre metri da Frank e fece dei gesti per catturare la sua attenzione. Frank disse «scusami» ad Hask — non che fosse una parola che Hask conosceva, ma Frank sperava che l'alieno capisse che intendeva essere garbato. Si avvicinò al marinaio. «Cosa c'è?»

«Signore, abbiamo appena ricevuto un messaggio dal NORAD. Hanno localizzato l'astronave madre aliena. È in un'orbita polare, circa trecento chilometri a nord. E, signore, è immensa.»

La Kitty Hawk fece rotta per New York. L'alieno entrò nella portaerei e lasciò che Frank e Clete lo guidassero nel quadrato ufficiali. Con grande stupore di Frank, appena furono dentro Hask sollevò simultaneamente le braccia anteriori e posteriori e lasciò cadere le quattro lenti specchiate nei suoi palmi quadrati — erano l'equivalente Tosok degli occhiali da sole, anche se Frank non capiva esattamente come avessero fatto a rimanere al loro posto. Hask accatastò ordinatamente le lenti una sull'altra e poi le lasciò cadere in una delle tante tasche del suo vestito.

Gli occhi di Hask erano tondi e lacrimosi. Uno di quelli frontali era arancione, l'altro verde; anche uno dei posteriori era verde, mentre il quarto era grigio-verde. Ognuno aveva una piccola pupilla verticale nera; ogni paio sembrava muoversi insieme.

Hask non poteva usare sedie con la spalliera per via del suo braccio posteriore. Un furiere rimediò da qualche parte uno sgabello, ma non sembrò che Hask avesse alcun desiderio di sedersi.

Clete e Frank continuarono a insegnare l'inglese all'alieno; fino a quel momento non aveva mostrato alcun interesse a contraccambiare insegnando il suo linguaggio agli umani.

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