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Frank annuì. «Segnaliamo i primi cinque» disse.

Il marinaio guardò il capitano per avere conferma. Il capitano annuì, e il marinaio azionò la levetta della luce con il dito. Nell'oblò Frank vide la nave aliena che si muoveva verso il ponte di volo.

L'interfono fischiò. Il capitano prese il ricevitore. «Qui Raintree.»

«Signore,» disse una voce rauca «il sottomarino russo ci ha contattato via radio chiedendoci di mandare un elicottero per portare immediatamente qui tre osservatori, signore.»

Il capitano guardò Frank, che aggrottò le sopracciglia. «Cristo, non voglio…» interruppe Clete. «Frankie, hanno scelto le acque internazionali. Non puoi…»

«No, no, suppongo di no. Okay, capitano.»

«Se ne occupi lei, Mr. Coltrane» disse il capitano, e rimise a posto il ricevitore.

«Voglio che sul ponte sia installata un'attrezzatura video» disse Frank. «Voglio che tutto venga registrato.»

Il capitano parlò di nuovo nell'interfono.

«Andiamo» disse Clete.

Il capitano Raintree, Frank e Clete ridiscesero la scala circolare che avevano percorso prima e sbucarono dalla stessa porta alla base della torre di comando, uscendo sul ponte di volo. Non c'era molto vento, e il cielo era quasi completamente limpido. La capsula si stava ancora abbassando.

«Dannazione» disse il capitano.

«Che succede?» chiese Frank sopra il frastuono dello scarico della capsula.

«Sta scendendo al centro della pista. Non c'è modo di decollare se sta lì.»

Frank scrollò le spalle. «È l'area più grande disponibile.»

In lontananza un altro Seahawk della Marina si manteneva sulla torre di comando del sottomarino russo. Era stata calata una scala a corda, e un uomo stava salendo sull'elicottero.

Il capitano Raintree guardò Frank. «Abbiamo della musica registrata, signore. Potremmo suonare l'inno nazionale.»

«C'è un inno delle Nazioni Unite?» chiese Frank.

«Che io sappia no, signore» disse il capitano.

«C'è qualcuno che ha la sigla di Star Trek su un nastro?» disse Clete.

Il capitano lo guardò.

Clete alzò le spalle. «Era solo un'idea.»

«Potrei organizzare un picchetto d'onore.»

«Con i fucili?» disse Frank. «Neanche per idea.»

La capsula di atterraggio si fermò. Frank sentiva le vibrazioni delle lastre del ponte sotto i piedi.

«Andiamo a dare un'occhiata?»

«Signore,» disse il capitano «potrebbe essere radioattiva. Le consiglio di farla prima controllare dai miei uomini con un contatore Geiger.»

Frank annuì. Il capitano usò di nuovo l'interfono per dare l'ordine.

«Pensi che usciranno fuori?» chiese Clete.

Frank alzò le spalle. «Non lo so. Potrebbero essere impossibilitati a uscire — anche se hanno delle tute spaziali, la gravità potrebbe essere troppo alta per loro.»

«E allora perché sarebbero atterrati sulla Kitty Hawk

«Forse a forza di essere sballottati dall'oceano gli è venuto il mal di mare.»

In quel momento l'elicottero stava lasciando il sottomarino russo e si dirigeva verso la Kitty Hawk.

Clete indicò i segni grigio-verdi sullo scafo scuro della nave. Erano complessi, formati da una linea orizzontale da cui scendevano varie spirali e curve. Non c'era modo di stabilire se si trattasse di un unico carattere, di una parola, o solo di arte astratta.

Accanto al capitano comparve un marinaio con un contatore Geiger. Il capitano gli fece segno di procedere annuendo. L'uomo sembrava nervoso, ma attraversò il ponte di volo verso la navetta da sbarco.

«Capitano,» disse Frank «può portare questa nave a New York?»

«Vuoi portarli a vedere Cats?» disse Clete.

Frank aggrottò le ciglia. «Alle Nazioni Unite, naturalmente.»

Il capitano annuì. «Certo, possiamo andare ovunque.»

L'elicottero atterrò. Insieme al pilota sbarcarono due uomini e una donna russi. Si avvicinarono al capitano americano.

«Sergei Korolov» disse il russo, un uomo tarchiato sulla trentina. Fece il saluto militare. «Sono il primo ufficiale — come direste voi — sul Suvorov.» Fece un cenno col capo verso la donna. «Il nostro medico, Valentina Danilova, e l'ufficiale addetto ai sistemi radio, Piotr Pushkin. Nessuno dei due parla inglese.»

«Splendido» borbottò Frank. «Io sono Frank Nobilio, consulente scientifico del presidente degli Stati Uniti. Questi sono Cletus Calhoun, astronomo, e il capitano Raintree.»

«Voglio puntualizzare» disse Korolov «che il mezzo è atterrato sulla vostra nave solo perché era impossibile atterrare sul nostro sottomarino. Ma secondo le leggi internazionali di salvataggio, è chiaramente nostro — lo abbiamo preso per primi.»

Frank sospirò. «Non è nostra intenzione rubare la navetta da sbarco, Mr. Korolov. Infatti intendo portarlo alle Nazioni Unite, a New York.»

«Dovrò interpellare il mio capitano, e lei dovrà interpellare Mosca» disse Korolov. «Non è…»

L'uomo con il contatore Geiger tornò. «È pulito, signore. Solo normali radiazioni di fondo.»

«Molto bene» disse il capitano Raintree. «Volete andare a dare un'occhiata più da vicino, dottor Nobilio?»

«Assolutamente. Andiamo… mio Dio.»

Una sezione della parete curva della capsula si stava aprendo. Il portello era completamente invisibile da chiuso, ma l'apertura era evidente. Dentro c'era un vano con le pareti grigie — con tutta probabilità una camera di equilibrio. E nel mezzo si trovava una figura.

Una figura che non era umana.

«Dannazione» disse il capitano sottovoce. «Signore, se quella cosa porta germi alieni, dovremo, ehm, sterilizzare la nave.»

Frank rispose fermamente. «Prenderò io questa decisione, capitano.»

«Ma…»

«Capitano, stia zitto.» Frank si avvicinò alla capsula. Il cuore gli martellava negli orecchi.

Un alieno.

Un vero, genuino alieno.

Non aveva la testa grossa, gli occhi enormi, il corpo minuscolo o qualsiasi altra delle caratteristiche associate agli avvistamenti degli UFO, naturalmente. Frank aveva sempre dato per scontato che quelle descrizioni prive di fantasia degli esseri alieni fossero una prova del fatto che gli UFO non avevano niente a che fare con la vita extraterrestre, nonostante le ridicole asserzioni di Packwood Smathers. No, questo era chiaramente qualcosa che si era evoluto altrove.

La creatura non era un umanoide.

Era alta circa un metro e sessantacinque e, tirando a indovinare, probabilmente pesava settanta chili. Aveva quattro arti, ma sembravano tutti attaccati alle spalle. Il destro e il sinistro erano lunghi, e toccavano terra. L'anteriore e il posteriore erano più corti, e pendevano a mezz'aria. La testa non era che una semplice cupola che si alzava dalle spalle, e in cima c'era un ciuffo o una ciocca di filamenti bianchi che sembravano ondeggiare indipendentemente dalla leggera brezza. Vicino alla parte frontale della cupola erano posizionati due cerchi convessi a specchio che avrebbero potuto essere occhi. Sotto di essi c'era un orifizio che poteva essere una bocca. La pelle dell'essere era grigio-blu. Indossava qualcosa di simile a un vestito grigiastro, con parecchie tasche.

Clete era andato vicino a Frank. «Niente tuta spaziale» disse. «Respira la nostra aria e sta in piedi alla nostra gravità.»

L'alieno cominciò a camminare in avanti. Gli arti destro e sinistro erano uniti in tre punti, e il suo passo era di quasi due metri. Anche se non sembrava che si stesse affrettando, coprì metà della distanza tra lui e Frank in pochi secondi — poi si fermò, inerte, a una distanza di circa quindici metri.

Il significato sembrava abbastanza chiaro: un invito ad avvicinarsi. L'alieno non intendeva invadere il territorio di Frank, ed era evidente che non voleva prenderlo e portarlo sulla capsula. Frank avanzò; Clete gli andò dietro. Anche i russi cominciarono a muoversi. Frank si voltò indietro. «Solo uno di voi» disse. «Non vogliamo che pensi che ci siamo uniti contro di lui.»

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