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A pensarci, un olfatto così sviluppato aveva certo i suoi svantaggi: aveva sentito dire che la ragione per cui la sua specie, a differenza degli altri primati, mangiava pochissimi vegetali era la difficoltà a tollerare le flatulenze prodotte da una dieta a base di verdure.

Rimase in attesa, le narici dilatate. Probabilmente fu la prima a sentire l'odore, anche se la stanza dove stava visionando il cubo era piuttosto lontana dal luogo in cui aveva lasciato il congegno, ma evitò di dare l'allarme. Rimase seduta finché non sentì qualcuno accorrere, quindi lasciò la sala, trattenendo i conati di vomito procurati dall'insopportabile odore. Un tipo grande e grosso uscì di corsa da una stanza, la mano sul naso. Lurt pensò che fosse l'addetto alla sorveglianza di Adikor, e ne ebbe la conferma quando dal corridoio intravide nell'ologramma a bolla l'immagine di Jasmel e Adikor che uscivano di casa.

«Cos'è questa puzza terribile?» disse la Custode degli alibi con una smorfia che le deformava il viso.

«È terribile!» disse un altro, facendosi largo a forza verso l'uscita.

«Aprite le finestre! Aprite le finestre!» gridò un terzo.

Lurt si unì al gruppo che si affrettava verso l'uscita. Ci sarebbe voluta qualche ora prima che quella puzza si disperdesse e i locali fossero di nuovo agibili.

Sarebbe bastato ad Adikor per mettere in atto il suo progetto?

Il giorno seguente Mary si recò all'università Laurenziana; aveva finalmente deciso di liberarsi una volta per tutte dei giornalisti che presidiavano l'ingresso del suo albergo. I reporter erano rimasti delusi di non aver incontrato Ponter. Reuben aveva dichiarato che il Neandertal aveva bisogno di riposo, e aveva fatto in modo di depistare la stampa. Quella sera stessa Mary lo aveva accompagnato di nuovo a casa di Reuben.

Quando alle dieci e trenta, nel corridoio di fronte ai laboratori di genetica, si imbatté in Louise Benoìt, ne fu molto sorpresa. La ragazza indossava un paio di attillatissimi pantaloncini corti di cotone e una maglietta bianca con un nodo alla cintola che metteva a nudo il ventre piatto. Be', pensò, faceva sì un caldo micidiale, ma così conciata sembrava proprio che se la stesse cercando…

No!

Si maledì per averlo pensato; una donna poteva vestirsi come voleva, avere il diritto di essere lasciata in pace e potersi muovere liberamente senza subire molestie di nessun genere. Decise di mostrarsi cordiale, e la salutò con quelle poche parole di francese che conosceva: «Bonjour. Comment ça va?»

«Bene, grazie. E lei?»

«Bene. Che fa di bello da queste parti?»

«Sono andata a trovare degli amici del dipartimento di fisica. In questo periodo non ho molto da fare all'osservatorio. Hanno finito di drenare la camera di rilevamento, e la ditta costruttrice della sfera di acrilico si sta occupando della sua sistemazione, ma ci vorranno ancora delle settimane. Così ho pensato di discutere di una certa idea con un paio di persone, per vedere se potevano danni qualche dritta.»

Mary si avvicinò a un distributore automatico per prendere una busta di patatine al malto e aceto, un vizio che poteva permettersi solo dal punto di vista economico, ma che da lungo tempo si concedeva, iniziando la settimana lavorativa con una confezione da 43 grammi.

«E gliel'hanno data?»

Louise scosse il capo.

«L'idea è buona?»

«Suppongo di sì» rispose Louise. Mary frugò nella borsa in cerca di spiccioli, tirò fuori un dollaro e un quarto e lo inserì nel distributore automatico, mentre la giovane ricercatrice prendeva del caffè da un altro distributore.

«Si ricorda quella riunione nella sala conferenze della Inco?» disse Louise. «Be', come dissi allora, le teorie della meccanica quantistica sull'esistenza di universi paralleli affermano che ogniqualvolta un evento quantistico può prendere due direzioni, allora le prende effettivamente.»

«Una scissione della sequenza temporale?» chiese Mary sedendosi sul bracciolo di una poltroncina imbottita in vinile.

«Oui» disse Louise. «Be', ne abbiamo parlato parecchio con Ponter.»

«Sì, lo aveva detto infatti, ma non ci avevo fatto caso» ricordò Mary.

«Era sera tardi, e…»

«È tornata nella sua stanza dopo la lezione di inglese?» chiese Mary, incredula dell'impeto di… o mio Dio, gelosia, che l'aveva colta.

«Certo. Lo sa che mi piace stare sveglia la notte. Ero curiosa di saperne di più sulle cognizioni di fisica dei Neandertal.»

«E allora?» volle sapere, sforzandosi di mantenere fermo il tono della voce.

«Be', è molto interessante» disse Louise mentre sorseggiava il caffè. «Qui da noi ci sono due principali interpretazioni della meccanica quantistica: quella di Copenaghen e quella dell'esistenza di mondi paralleli di Everett. La prima conferisce un ruolo fondamentale all'osservatore, la cui coscienza influenzerebbe la realtà. Be', questa idea mette a disagio un sacco di ricercatori, e da alcuni è vista come un ritorno al vitalismo. La teoria di Everett elabora questo concetto, affermando che i fenomeni quantistici provocano una continua scissione dei mondi, ma gli effetti di queste interazioni quantistiche hanno luogo ognuno in un universo differente. Non è l'osservatore a determinare la realtà, bensì ogni realtà concepibile come esistente, esiste di per sé.»

«Capisco» disse Mary, più che altro per fermare quel fiume in piena.

«Be', Ponter e la sua gente hanno elaborato una teoria unica di meccanica quantistica, una sorta di sintesi delle nostre due. Anch'essa contempla l'ipotesi dell'esistenza di molteplici universi paralleli, ma non ritiene che tali universi siano il frutto di eventi quantistici casuali, bensì che siano creati dall'azione di osservatori consapevoli.»

«E perché noi non abbiamo elaborato questa sintesi?» chiese Mary alle prese con una patatina più grande delle altre.

«Probabilmente perché una serie di calcoli matematici rende incompatibili le nostre due teorie. Eppoi c'è sempre l'antico problema di deontologia professionale: i fisici che condividono la teoria di Copenaghen passano la vita a cercare di dimostrarne la validità, e lo stesso avviene per i seguaci di Everett. Non accade mai che facciano autocritica, ammettendo che potrebbero anche essere in errore.»

«Ah, è un po' come il dibattito esistente in antropologia tra la 'continuità regionale' e la 'sostituzione.'»

Louise annuì. «Se lo dice lei. Ma supponiamo che la teoria elaborata dai Neandertal sia giusta: sottintende che la coscienza e la volontà umane possono creare nuovi universi. Be', questa concezione porta al nodo focale della nascita dell'universo: in origine, presumibilmente al momento del big bang, doveva esserci un solo universo, che in un secondo momento ha cominciato a scindersi.»

«Credevo che Ponter non condividesse la teoria del big bang» disse Mary.

«Infatti, sembra che i loro scienziati ritengano che l'universo sia sempre esistito. Credono che, su larga scala, gli spostamenti verso il rosso dello spettro della luce stellare — la prova fondamentale della teoria dell'universo in continua espansione — siano proporzionali all'età e non alla distanza; cioè, la massa varia nel tempo. E credono anche che la struttura delle galassie e gli ammassi galattici siano stati prodotti da monopòli e da turbini di filamenti magnetici che hanno compresso il plasma. Ponter sostiene che la microonda cosmica di sottofondo — che noi riteniamo sia il residuo dell'esplosione del big bang - in realtà è il prodotto di elettroni intrappolati in questi forti campi magnetici che assorbono ed emettono le microonde. Questi continui processi di assorbimento ed emissione di miliardi di galassie hanno dissolto l'effetto, dando luogo allo sfondo uniforme che oggi percepiamo.»

«Le sembra possibile?»

Louise scrollò le spalle. «Non lo so, ho intenzione di approfondire l'argomento.» Bevve un sorso di caffè, quindi aggiunse: «Ma non è tutto. Quella notte Ponter mi ha detto un'altra cosa sorprendente.»

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