Mary lo guardò stupita; poi comprese: si stava grattando. La scena le riportò alla mente una raffigurazione che aveva visto nel Libro della giungla di Disney, quella dell'orso Baloo, tutto soddisfatto. Represse a fatica un sorriso. In effetti anche la sua schiena le prudeva spesso. Dio, da quanto tempo non aveva più nessuno che la grattasse. D'altra parte, il dorso di Ponter doveva essere alquanto peloso, non c'era quindi da stupirsi che sentisse prurito. Evidentemente, nel suo mondo le stanze erano dotate di oggetti idonei a quell'uso.
Sarebbe stato educato offrirsi di grattargli la schiena? La cosa la fece riflettere. Probabilmente non avrebbe avuto mai più contatti con un uomo. Certo, il grattare una schiena non aveva implicazioni sessuali; ma se era per quello, non c'era niente di erotico neanche in uno stupro, come infatti aveva letto negli opuscoli che le aveva dato Keisha. D'altra parte, non aveva la minima idea su quali potessero essere i rapporti sociali tra un uomo e una donna nel mondo di Ponter; avrebbe potuto offenderlo, o…
Riprenditi, ragazza.
Senza dubbio, Ponter non trovava molto di attraente in lei, e del resto il sentimento era reciproco. Si grattò ancora per un po', quindi si avvicinò e con il palmo della mano aperto rivolto verso l'alto la invitò a fare altrettanto.
Mary temeva di danneggiare il legno o far cadere qualcosa, ma se tutto era andato liscio malgrado gli energici movimenti di Ponter…
«Grazie» gli disse. Attraversò la stanza, evitando un tavolino con la superficie di vetro, poggiò la schiena contro lo spigolo della libreria e ancheggiò leggermente contro il legno: in effetti era piacevole, anche se il gancio del reggiseno si impigliava contro lo spigolo.
«Buono, sì?» disse Ponter.
«Sì» rispose Mary con un sorriso.
Proprio in quel momento squillò il telefono. Entrambi si voltarono a guardarlo. Di nuovo uno squillo. «Certo non per io» disse Ponter.
Mary rise della battuta e andò a rispondere. «Casa Montego.»
«Per caso la professoressa Mary Vaughan si trova li?» chiese una voce maschile.
«Ehm, sono io.»
«Magnifico! Mi chiamo Sanjit. Sono il produttore di @discovery.ca, il programma notturno di informazione scientifica che va in onda sul Discovery Channel canadese.»
«Wow!» fece Mary. «È un gran bel programma. Complimenti.»
«Grazie. Senta, stiamo seguendo questa faccenda del Neandertal comparso a Sudbury. In tutta franchezza, sulle prime non ci abbiamo dato molto credito, ma, be', un'agenzia giornalistica ha appena diffuso una notizia secondo la quale lei avrebbe dichiarato autentico il campione del DNA.»
«Sì» confermò Mary «in effetti si tratta di un DNA della specie dei Neandertal.»
«E che mi dice di… dell'uomo in questione? Non si tratta di un impostore?»
«No, è un esemplare autentico.»
«Caspita! Bene, senta, ci piacerebbe averla nostra ospite nella puntata di domani. Possiamo mandare qualcuno a intervistarla lì dove si trova, mentre qui a Toronto sarà presente un altro ospite, Jay Ingram.»
«Ehm, be', penso che si possa fare.»
«Magnifico» disse Sanjit. «E adesso vorrei parlarle dell'argomento che tratteremo.»
Mary si voltò a guardare attraverso la finestra del soggiorno; in giardino, Louise e Reuben erano indaffarati attorno al barbecue. «La ascolto.»
«Per prima cosa, vorrei verificare alcuni dati biografici. Lei è ordinario all'università di York, vero?»
«Sì, insegno genetica.»
«È di ruolo?»
«Sì.»
«E la sua tesi di dottorato su cosa verteva?»
«Biologia molecolare.»
«Vediamo, nel 1996 si è recata in Germania per prelevare un campione di DNA da un fossile di Neandertal, è giusto?»
Mary lanciò un'occhiata fugace a Ponter, temendo che fosse offeso per il fatto che stava parlando al telefono, ma lui le sorrise comprensivo: poteva continuare la conversazione. «Sì.»
«Mi racconti qualcosa di quell'esperienza» disse Sanjit.
L'intervista andò avanti una ventina di minuti, durante i quali per un paio di volte Reuben e Louise fecero un salto in cucina, e il padrone di casa si affacciò un attimo per sincerarsi che tutto andasse bene. Aveva coperto il microfono con la mano e gli aveva detto chi era al telefono, al che Montego aveva sorriso ed era tornato in cucina. Finalmente Sanjit terminò le domande, e si misero d'accordo sui particolari per la registrazione dell'intervista. Quando attaccò, si scusò subito con Ponter: «Mi dispiace per la telefonata.»
All'improvviso Ponter fece come un balzo verso di lei, un braccio teso in avanti.
«Ti prego» implorò Mary. «Ti prego. Fermo o mi metto a gridare…»
Ponter si avvicinò ancora di un passo, sussultando, e poi…
… poi…
Mary urlò: «Aiuto! Aiuto!»
Il Neandertal stramazzò sul tappeto, la grossa fronte madida di sudore, il volto ceruleo. Mary gli si accovacciò accanto. Annaspava, il torace impazzito.
«Aiuto!» urlò ancora.
Finalmente la porta a vetri girevole si aprì; Reuben irruppe nella stanza, subito seguito da Louise. «Ma cosa… oh, Dio!»
Si chinò e gli afferrò il polso.
«Ponter è malato» disse la voce femminile di Hak.
«Sì» annuì Reuben. «Sai cosa ha?»
«Il battito cardiaco è accelerato e il fiato corto. La temperatura corporea è di 39 gradi.»
Per un attimo Mary fu sorpresa di sentire l'impianto usare quella che presumeva fosse una scala centigrada, ma poi rifletté che in fondo, per un essere con dieci dita, era piuttosto logico adottare quel tipo di misurazione.
«Soffre di qualche allergia?» domandò il medico.
Hak emise un bip.
«Allergie. Cibi o cose nell'ambiente che non fanno male alle persone normali, ma a lui sì.»
«No» rispose Hak.
«Era indisposto prima di lasciare il vostro mondo?»
«Indisposto?»
«Malato. Non stare bene.»
«No.»
Reuben lanciò un'occhiata all'orologio di legno, finemente lavorato, posto sulla libreria. «Sono passate circa cinquantuno ore da quando è qui. Cristo! Cristo!»
«Che c'è?» si allarmò Mary.
«Mio Dio, sono proprio un idiota» biascicò Reuben rialzandosi e uscendo di corsa dalla stanza. Rientrò dopo qualche attimo con una valigetta medica di pelle marrone, la aprì e ne tirò fuori un cataglosso e una piccola pila. «Ponter,» intimò con voce ferma «apri la bocca.»
Ponter aveva gli occhi semichiusi, ma ubbidì. Era evidente, però, che non era mai stato visitato in quel modo, perché opponeva resistenza alla spatola di legno poggiata sulla sua lingua. Probabilmente Hak lo aveva tranquillizzato, perché smise subito di lottare, e Reuben riuscì a illuminare la cavernosa cavità orale dell'uomo di Neandertal.
«Ha la gola e le tonsille molto infiammate» fu la diagnosi di Reuben.
«È in atto qualche tipo di infezione.»
«Ma noi siamo stati con lui e non stiamo male» disse Louise.
«Proprio così» scattò Reuben. «Di qualunque cosa si tratti, l'ha beccata qui, ed è qualcosa alla quale noi tre siamo immuni.» Frugò affannosamente nella valigetta finché non trovò una boccetta di pillole. «Louise,» disse senza girarsi «per cortesia, prendi un bicchiere d'acqua.»
Mentre Louise correva in cucina, Reuben si rivolse ad Hak o forse a Mary: «Adesso gli somministro un'aspirina fortissima che dovrebbe abbassargli la febbre.»
Louise tornò con il bicchiere colmo d'acqua, che diede a Reuben. Il medico infilò due pillole tra le labbra di Ponter e ordinò: «Hak, digli di ingoiare le pillole.»
Mary non era sicura che il Companion avesse capito, o se avesse semplicemente intuito le intenzioni di Reuben. Sta di fatto che con l'aiuto del dottore Ponter bevve un sorso d'acqua per mandare giù le pillole, anche se gran parte del liquido scivolò lungo la mascella senza mento, inumidendo la barba dorata.
Ma non aveva tossito, notò Mary. Un Neandertal non correva il rischio di soffocare; questo era l'aspetto positivo del fatto di non poter riprodurre alcuni suoni. Il cavo orale era tale da rendere praticamente impossibile che il cibo solido o liquido finisse nella cavità sbagliata. Reuben lo aiutò a mandare giù ancora qualche sorso d'acqua, finché il bicchiere fu vuoto.