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Bolbay annuì come se condividesse la supposizione fatta dall'accusato. «Non pretendo di conoscere bene Ponter Boddit quanto te, ma condivido quanto hai detto. Ma ti chiedo ancora: ci potrebbero essere state delle ragioni per spingerlo al suicidio?»

Adikor fu colto di sorpresa: «Quali?»

«Be', per esempio il vostro lavoro. Perdonami, scienziato Huld, ma non trovo un modo cortese per affermare che il vostro lavoro è stato un fallimento. La sessione del Consiglio dei Grigi, nella quale entrambi avreste dovuto discutere del vostro contributo alla comunità, era imminente. Potrebbe darsi che lui si sia tolto la vita temendo che avrebbero fermato i vostri esperimenti?»

«No» rispose Adikor sbigottito. «No. In effetti, se qualcuno rischiava qualcosa davanti al Consiglio, quello ero io.»

Bolbay lasciò che le parole fossero pienamente recepite dall'uditorio, quindi chiese: «Saresti così gentile da illustrarci meglio la situazione?»

«Nel nostro progetto Ponter è il teorico. Le sue teorie non sono state dimostrate ma nemmeno invalidate, quindi bisognerà continuare a lavorarci su. Io sono l'ingegnere: il mio compito è quello di costruire un sistema sperimentale in grado di verificare le sue idee. Ed è proprio quel sistema — il nostro prototipo di computer quantistico — ad aver fallito. Il Consiglio avrebbe potuto reputare inadeguato il mio contributo, ma certo non quello di Ponter.»

«Quindi escludi che Ponter possa essersi suicidato» gli chiese per la seconda volta Bolbay.

«Le ripeto» intervenne nuovamente il giudice Sard «che deve parlare dello scienziato Boddit come se fosse vivo, finché non decreterò il contrario.»

Bolbay si inchinò di nuovo verso il giudice: «Le porgo di nuovo le mie scuse.» Quindi tornò a rivolgersi all'accusato: «Se Ponter avesse voluto uccidersi, è ragionevole supporre che lo avrebbe fatto senza coinvolgerti?»

«L'ipotesi del suicidio è così inverosimile…» cominciò Adikor.

«Sì, su questo siamo d'accordo,» lo interruppe Bolbay pacatamente «ma, sempre in via ipotetica, sei d'accordo che se avesse deciso di farlo avrebbe scelto un modo che non avrebbe suscitato dei sospetti su di te?»

«Sì, sono d'accordo.»

«Grazie» disse Bolbay. «E invece, riguardo alla questione da te stesso sollevata: l'inadeguatezza del tuo contributo…»

Adikor si agitò sulla panca. «Ebbene?»

«Be', io non ho certo intenzione di sollevare questo dubbio» aggiunse Bolbay, e Adikor intuì il colpo basso. «Ma dal momento che sei stato tu stesso a parlarne, sarebbe forse il caso di esaminare un po' più a fondo la questione… anche solo per dissipare ogni dubbio, come certo capirai.»

Adikor rimase in silenzio, finché Bolbay non riprese: «Come ci si sente a vivere all'ombra di qualcun altro?» gli chiese nel modo più amabile di questo mondo.

«… Come, prego?»

«Insomma, hai appena affermato che non era il suo contributo ad essere messo in questione, ma il tuo.»

«Mi riferivo alla riunione del Consiglio,» si difese Adikor «ma in generale…»

«In generale» disse Bolbay con voce melliflua «devi ammettere che il tuo contributo rispetto al suo è minimo. Non è forse vero?»

«La domanda è pertinente con il dibattimento?» interloquì Sard.

«In verità, Vostro Onore, credo che lo sia» rispose l'accusatrice.

Sard sembrò dubbiosa, ma col capo fece segno a Bolbay di continuare, cosa che ella fece immediatamente: «Scienziato Huld, sono certa che tu sia consapevole del fatto che i futuri studiosi di fisica si imbatteranno di frequente nel nome di Ponter, mentre il tuo sarà praticamente dimenticato.»

Adikor sentiva il cuore scalpitare. «Non ho mai pensato a cose simili» rispose.

«Oh, andiamo» l'incalzò Bolbay, come se stesse parlando di qualcosa che entrambi sapevano bene. «La differenza dei vostri contributi è lampante.»

«Daklar Bolbay, la diffido nuovamente a continuare su questo argomento» la riprese il giudice. «Non c'è ragione di umiliare l'accusato.»

«Sto solamente cercando di indagare il suo stato mentale» ribatté Bolbay, inchinandosi ancora una volta, e senza aspettare la risposta del giudice continuò a rivolgersi all'imputato: «Allora, scienziato Huld, spiega a tutti noi come ci si sente ad essere quello che dà il contributo minore.»

Adikor respirò a fondo. «Non sta a me giudicare i nostri rispettivi meriti.»

«Certo che no, ma la differenza è fuori questione» insisté Bolbay come se Adikor stesse svicolando invece di affrontare la questione. «Tutti sanno che tra voi due il genio è Ponter» aggiunse accompagnando le parole con un sorriso. «Quindi, ti chiedo nuovamente di spiegarci come si vive nella consapevolezza della propria inferiorità.»

«Provo esattamente quello che provavo prima della scomparsa di Ponter. L'unica differenza è una tristezza indicibile per la perdita del mio migliore amico» rispose Adikor cercando di controllare il tono della voce.

Adesso Bolbay gli era dietro. La panca su cui sedeva era girevole, quindi avrebbe potuto girarsi per seguire i movimenti circolari della sua accusatrice, ma decise di rimanere fermo. «Il tuo migliore amico?» ripeté Bolbay come se si trattasse di una ammissione sorprendente. «Il tuo migliore amico, dici. E in che modo hai reagito alla sua scomparsa? Proclamando a gran voce che i vostri esperimenti riguardavano il software e i computer creati da te, piuttosto che i suoi teoremi?»

Adikor rimase a bocca aperta. «Io… io non ho mai affermato una cosa simile. Ho solo detto ad un Esibizionista che riguardo ai nostri esperimenti potevo esprimere delle opinioni solamente sul ruolo del software e dell'hardware, perché questi sono sotto la mia diretta responsabilità.»

«Proprio così! È dal momento della sua scomparsa che stai minimizzando il contributo di Ponter.»

«Daklar Bolbay!» scattò Sard. «Le intimo di trattare lo scienziato Huld con il dovuto rispetto.»

«Rispetto?» ribatté Bolbay sprezzante. «Come quello che ha dimostrato nei confronti di Ponter da quando è scomparso?»

Adikor ebbe un capogiro. «Possiamo controllare il mio archivio degli alibi, o quello dell'Esibizionista» riuscì a dire. Poi, facendo un cenno a Sard come se fossero vecchi amici:. «Il giudice potrà ascoltare le parole esatte che ho usato.»

Bolbay fece un cenno con la mano, come se Adikor avesse detto una sciocchezza. «Non importano le parole esatte ma i sentimenti che rivelano. E ciò che è lampante è il senso di sollievo per la scomparsa del tuo rivale…»

«No» disse Adikor duro.

«Daklar Bolbay, è la terza volta che la richiamo» disse il giudice aspramente.

«Una liberazione di cui avevi bisogno» continuò Bolbay.

«No!» sbottò Adikor con l'ira che gli montava dentro.

«Un sollievo» incalzò Bolbay con voce sempre più alta «che è il tuo unico contributo rispetto a tutto quello che avete fatto insieme.»

«La smetta, Bolbay!» sbraitò il giudice Sard sbattendo il palmo della mano sul bracciolo della sedia.

«Sollievo» urlò Bolbay «per la morte del tuo rivale!»

Adikor scattò in piedi e si voltò a fronteggiarla, serrando i pugni e preparandosi a colpire.

«Scienziato Huld!» tuonò la voce del giudice nella sala.

Adikor si immobilizzò, il cuore che martellava nelle tempie. Aveva notato che Bolbay si era astutamente messa sottovento, in modo che i ventilatori non potessero portare i suoi feromoni nella sua direzione. Si guardò il pugno contratto: avrebbe potuto fracassare il cranio della donna con un sol colpo, sfondarne il torace, frantumare le costole e perforare il cuore. Quel pugno gli fece l'effetto di un'entità aliena, come se non appartenesse al suo corpo. Abbassò il braccio, ancora talmente pervaso d'ira e d'indignazione che per parecchi secondi non riuscì ad allentare la stretta delle dita. Si voltò verso il giudice e in tono implorante disse: «Io… Vostro Onore, può ben capire… Io… Io non avrei mai potuto…» Scosse la testa. «Lei ha sentito quello che mi ha detto. Io… nessuno può…»

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