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«Salve» rispose Singh avvicinandosi e stringendogli la mano. «Il telefono scotta, eh? Alla miniera lo hanno staccato.»

Reuben sorrise. «Sì, non c'era altra soluzione. Sembra che tutti vogliano sapere qualcosa sul nostro signor Ponter.»

«Lo so. Sono felice che stia bene» disse Singh «e anzi vorrei che fosse dimesso. Purtroppo non abbiamo letti a sufficienza, grazie a Mike Harris.»

Reuben annuì, testimoniandogli la propria solidarietà. Quello spilorcio dell'ex Presidente dell'Ontano aveva fatto chiudere o aveva accorpato molti ospedali della regione.

«E poi,» continuò Singh «anche se non è una cosa bella a dirsi, se andasse via da qui la stampa finirebbe di tormentarmi.»

«Dove potremmo portarlo?»

«Questo lo ignoro» replicò Singh. «Ma se sta bene, non c'è nessuna ragione per cui debba essere trattenuto qui.»

Reuben annuì. «Ha ragione. Vorrà dire che lo porteremo via con noi. È possibile farlo uscire di nascosto, senza avere la stampa tra i piedi?»

«Potremmo dare la notizia che è stato già dimesso» propose Singh.

«Sì, certo. Ma il problema è che dovremmo portarlo in qualche posto sicuro prima che capiscano come stanno le cose.»

«Capisco» disse Singh. «Potete portarlo via dal garage sotterraneo. Parcheggiate giù, prendete l'ascensore di servizio che porta al B2 e imboccate il corridoio di fronte. Se Ponter si sdraia sul sedile, non lo vedrà nessuno.»

«Benissimo.»

«Vi sarei grato se lo portaste via oggi stesso.»

«Va bene» disse Reuben annuendo.

«Grazie» concluse Singh.

Reuben e Louise salirono al piano.

«Salve Ponter» lo salutò il medico entrando nella stanza. Il Neandertal sedeva sul letto; indossava gli stessi abiti di quando lo avevano trovato. Sulle prime pensò che stesse guardando la televisione, ma poi notò che aveva il braccio sinistro sollevato, con l'impianto rivolto verso lo schermo. Molto probabilmente il Companion stava studiando per apprendere la lingua.

Reuben notò anche che non aveva reagito come un normale maschio in presenza di una splendida ragazza; a dire il vero, non aveva nemmeno abbozzato un sorriso.

«Salve, Reuben» rispose Hak, presumibilmente per conto di Ponter.

Il medico fece le presentazioni: «Louise, questo è Ponter.»

«Salve, Ponter. Mi chiamo Louise Benoít» disse la ragazza facendo un passo avanti.

«È stata lei a salvarti» lo informò.

Finalmente Ponter sorrise. Forse gli esseri umani a lui parevano tutti uguali, pensò Reuben. «Lou» disse la voce di Hak. Ponter si strinse nelle spalle, come per scusarsi.

«Non riesce a pronunciare la i lunga» le spiegò.

Louise sorrise. «Non importa. Tanti amici mi chiamano così.»

«Lou,» ripeté Ponter con la sua voce baritonale «Io… tu… io…»

«Conosce pochissime parole. Temo che non gli abbiamo ancora insegnato le presentazioni. Sono convinto che stia tentando di ringraziarti per avergli salvato la vita.»

«È stato un piacere» disse Louise. «Sono contenta che stai bene.»

Reuben annuì, e cogliendo l'occasione: «A proposito di stare bene, Ponter, tu andare via da qui.»

L'enorme sopracciglio di Ponter si arcuò sulla fronte spaziosa. «Sì» disse Hak parlando di nuovo in sua vece. «Dove? Dove andare?»

Reuben si grattò la testa rasata: «Questa è una bella domanda.»

«Lontano» disse Hak. «Lontano.»

«Vuoi andare via lontano da qui?» si stupì Reuben. «Perché?»

«Il… il…» ad Hak mancò la voce, ma Ponter alzò una mano a coprire il suo enorme naso: forse l'equivalente neandertaliano per comunicare la presenza di qualche odore cattivo.

«L'odore?» gli chiese Reuben, che annuì e si rivolse a Louise. «Con una proboscide come quella non mi stupisce che abbia un olfatto così fine. Anche a me dà fastidio la puzza di ospedale, anche se dovrei esserci abituato.»

«Non avete scoperto da dove può essere venuto?» gli chiese Louise continuando a osservare il Neandertal.

«No.»

«E se venisse da qualche mondo parallelo?» disse con semplicità la ragazza.

«Cosa? Oh, andiamo.»

Louise si strinse nelle spalle. «Da dove altro può essere saltato fuori?»

«Be', questa è una buona domanda, ma…»

«E se venisse da un mondo parallelo al nostro? Supponiamo che lì non esistano motori a combustione interna o tutte quelle cose che avvelenano la nostra aria. Se anche noi avessimo avuto degli olfatti così sensibili non avremmo adottato tecnologie che producono i fetidi odori che ci sommergono.»

«Molto probabile, ma da qui a dire che il nostro amico proviene da un altro universo ce ne passa.»

«Comunque sia,» disse Louise spostando dagli occhi una ciocca dei lunghi capelli castani «sembra proprio che non veda l'ora di allontanarsi dalla civiltà, magari per andare in qualche posto dove l'aria non è così cattiva.»

«Be', potrei prendere qualche giorno di ferie» rifletté Reuben. «Il bello dell'essere il medico in una società è che puoi firmarti le ferie da te. Mi piacerebbe moltissimo continuare a lavorare con lui.»

«Anche io sono libera, finché non riaprono l'osservatorio.»

Reuben provò un tuffo al cuore. Maledizione, si sentiva ancora un segugio da caccia. Che stupido, sicuramente la ragazza pensava di unirsi a loro solo per un interesse scientifico. Eppure, sarebbe stato magnifico trascorrere più tempo con lei; aveva un modo di parlare incredibilmente sexy.

«Mi chiedo se le autorità lo vorranno tutto per loro» disse Reuben.

«È qui solo da un giorno, e scommetto che a Ottawa ancora nessuno ha preso la faccenda sul serio. Per loro si tratta solo di un'ennesima inchiesta nazionale. Non è che gli agenti federali e i militari si fanno vivi ogni volta che qualcuno afferma di aver avvistato un UFO. Sono convinta che non hanno nemmeno cominciato a pensare che questa storia potrebbe essere vera.»

Gli odori sono davvero insopportabili, pensò Ponter guardando Lou e Reuben. Ai suoi occhi i due contrastavano fortemente: l'uomo con la pelle scura, completamente calvo; la donna con la pelle molto chiara, più della sua, e con una folta massa di capelli cascanti sulle spalle minute.

Era ancora confuso e spaventato, e ogni volta che Hak ne percepiva l'agitazione gli mormorava parole tranquillizzanti. Senza il suo aiuto sarebbe certo impazzito.

Era accaduto tutto in così breve tempo! Appena ieri mattina si era svegliato nel suo letto accanto ad Adikor, aveva dato da mangiare al cane, era andato al lavoro…

E adesso eccolo , dovunque fosse quel posto. Hak aveva ragione: quella doveva essere la Terra. Aveva sempre sospettato che negli infiniti recessi dello spazio potessero esserci altri pianeti abitabili, ma lì il suo peso era lo stesso di quello di casa, e l'aria era respirabile… per lo meno nella misura in cui la cucina del suo amato Adikor era commestibile! In realtà era piena di effluvi nauseabondi, tanfi che sapevano di frutta, di gas, di agenti chimici, e altri ancora che non riusciva a identificare. Anche se, doveva ammettere, quell'aria lo manteneva in vita, e il cibo che gli avevano dato era quasi del tutto compatibile con il suo apparato digerente.

La Terra, quindi. Sicuramente non la Terra del passato. Nel suo mondo c'erano delle zone non ancora esplorate, soprattutto nelle regioni equatoriali, ma, come aveva sottolineato Hak, la vegetazione che avevano notato era la stessa di quella di Saldak, il che rendeva improbabile che si trovassero in un altro continente o nell'emisfero meridionale. E anche se il clima era caldo, molti degli alberi che avevano visto erano caducifogli, quindi non potevano trovarsi nella zona equatoriale.

E se fosse stato proiettato nel futuro? Ma no. Se la sua specie fosse scomparsa per una qualche incomprensibile ragione, non sarebbero certo stati i Gliksins a prenderne il posto. I Gliksins erano estinti, e una loro ricomparsa sarebbe stata altrettanto improbabile di quella dei dinosauri.

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