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«Non faccia un altro passo» disse Perez.

Michaelson spostò leggermente la mira, sui pulsanti per chiamare l'ascensore. Sparò un solo colpo. Il rumore fu forte, e la pistola fece una piccola fiammata. I pulsanti dell'ascensore esplosero in una pioggia di scintille.

«Lei è il prossimo» disse Michaelson, puntando di nuovo la pistola su Kelkad.

«Molto bene» disse Kelkad. Si fermò, e iniziò a sollevare la mano anteriore verso il soffitto. Anche quella posteriore, nascosta dal corpo, doveva essersi alzata, perché appena la mano ripassò sulla testa a cupola, Perez si accorse che le quattro dita stringevano un oggetto bianco e lucido.

Nel palmo di Kelkad si vide un lampo di luce, e si udì un suono forte, come di un foglio di metallo che si piegava. Michaelson venne scaraventato contro il muro. Perez si girò. Un buco netto, forse di tre centimetri, in mezzo al torace dell'uomo. Il cadavere stava scivolando sul pavimento, lasciando una lunga scia di sangue sul muro dietro di sé.

Quattro lampi veloci, quattro suoni di alluminio, e gli altri quattro agenti erano morti. «Non mi costringa a uccidere anche lei, detective Perez» disse Kelkad. «Pensava che dopo l'attentato ad Hask me ne sarei andato in giro disarmato?»

Perez si abbassò immediatamente a raccogliere la pistola di Miachaelson, che era ormai sul pavimento. Il tempo di prenderla e Kelkad era già sparito giù per l'ala destra dell'edificio. Perez scivolò di lato, tenendo l'arma puntata sui cinque Tosok, che sembravano disarmati. Prese la pistola di un altro agente. Un'altra arma però era finita vicino a uno dei Tosok. Perez non poteva raggiungerla senza esporsi a un assalto fisico e non poteva rincorrere Kelkad senza che gli altri Tosok prendessero quella e gli altri due revolver. Perez infilò una delle pistole nella cinta dei pantaloni e, tenendo l'altra puntata sui Tosok, afferrò il cellulare con la sinistra per chiamare rinforzi.

Hask era nella sua stanza al secondo piano della Valcour Hall, e stava portando via i suoi effetti personali. Con gli altri Tosok in prigione, non aveva molto senso che lui continuasse a vivere in quel residence gigante, che oltre tutto serviva alla USC per altri scopi.

Era abbastanza brutto essere un traditore del proprio popolo e sapere che non avrebbe mai rivisto la propria casa, ma almeno i suoi pochi oggetti lo avrebbero aiutato a ricordare il passato. Prese il disco lostartd che aveva decorato la sua stanza. La crepa al centro, dove le due metà erano state incollate, era visibile solo tenendolo inclinato alla luce. Preparò con cura la valigia che Frank gli aveva dato, avvolgendola in due delle sue tuniche per proteggerla.

All'improvviso sentì uno sparo. Veniva dal piano di sopra. I suoi quattro cuori presero a martellargli in modo asincrono — il rumore gli ricordava il colpo che lo aveva ferito sul prato davanti all'edificio. Qualche istante dopo sentì cinque scariche di un'arma da fuoco Tosok. Dio — uno di loro doveva aver portato con sé un'arma! Hask non aveva pensato che potessero esserci armi a bordo; dopo tutto, non si prevedeva alcun contatto diretto con gli alieni.

Collegò gli spari ai fatti. Gli altri Tosok stavano opponendo resistenza all'arresto. Il suo udito sensibile percepì un altro suono, lontano — l'eco di passi Tosok sul cemento. Uno degli altri stava venendo giù per le scale.

Gli spari dell'arma Tosok erano stati cinque — presumibilmente ora c'erano cinque umani morti. E il Tosok armato stava venendo a prendere lui.

Valcour Hall era grande. Se Kelkad — chi se non il capitano poteva avere un'arma? — era al sesto piano, doveva scenderne quattro. Il suono veniva chiaramente dalle scale in fondo all'altra ala dell'edificio; questo significava che doveva anche percorrere l'intero piano per raggiungere la stanza di Hask.

Pensò a una via di fuga, rompendo il vetro della finestra e saltando giù. La gravità sulla Terra era minore di quella del suo mondo; era un bel volo, ma probabilmente poteva sopravvivere. Poi avrebbe dovuto tentare di fuggire attraversando il campus. Ma l'arma aveva una gittata di diverse centinaia di chilometri — Kelkad non avrebbe avuto difficoltà a prenderlo. No, no. Doveva rimanere lì.

Ora Hask conosceva le leggi umane: stava per essere attaccato con un'arma ad altissima potenza, e credeva onestamente che la sua vita fosse in pericolo. Quindi era autorizzato a rispondere con forza micidiale.

Se solo avesse avuto un'arma…

Il capitano Kelkad percorse una rampa di scale dopo l'altra. Fu diverse volte sul punto di perdere l'equilibrio; gli scalini umani erano troppo corti per lui, e il corrimano era inutilizzabile. Ma continuò a scendere fino a quando raggiunse il secondo piano. Con la mano spinse la maniglia a sbarra che teneva chiusa la porta. Fece un passo indietro, rimanendo protetto dalla porta. Si guardò intorno: nessun segno di Hask, né di altri. Si fermò un attimo. Gli orifizi per la respirazione si contraevano per gli spasmi, inghiottendo aria e odori. Sentiva i feromoni di Hask. Doveva essere nella sua stanza, dall'altra parte del piano.

Il posto giusto per la morte di un traditore.

C'era voluto un minuto per prepararsi, ma ora Hask era pronto. Sentiva il passo deciso di Kelkad che veniva giù per il corridoio perpendicolare. Hask guardò fuori della porta. A dieci metri di distanza c'era una delle porte di vetro e metallo che normalmente servivano ad attutire i rumori; quando la Valcour Hall si sarebbe riempita di studenti, sarebbe stata utile qualsiasi cosa in grado di isolare i suoni. La porta era rimasta quasi sempre aperta, nel periodo in cui i Tosok avevano utilizzato la struttura; sotto c'era un fermo di legno a tenerla.

Sicuramente Kelkad sapeva che Hask non era armato; a giudicare dal suono, stava arrivando a tutta velocità. Ma Hask conosceva bene il suo capitano: non avrebbe fatto fuoco subito. Prima avrebbe voluto confrontarsi con Hask, accusandolo di essere un traditore…

Improvvisamente nella hall tra le due ali dell'edificio comparve Kelkad. Hask si schiacciò contro la parete della sua stanza, tenendo solo la testa fuori, per guardare. Quando cambiava direzione Kelkad perdeva velocità ma ben presto arrivò nel corridoio, sapendo che non aveva molto tempo e che altri agenti di polizia stavano sicuramente precipitandosi al campus.

«Hask» gridò Kelkad. Uno dei vantaggi di avere canali separati per le bocche e l'apparato respiratorio era che poteva parlare pur essendo senza fiato. «Distalb! Traditore! Sei un…»

Aprì la porta in mezzo alla hall, e all'improvviso smise di parlare.

L'impeto di Kelkad — tutta quella rabbia, la velocità, e la massa — lo portò dall'altro lato della porta.

Proseguì per un metro circa oltre la soglia e poi iniziò a barcollare…

… Iniziò a cadere a pezzi da tutte le parti, come un blocco di costruzioni fatto da un bambino…

… Cubi di carne ossa e muscoli, coperti di sangue rosa, cadevano a terra — alcuni addirittura rimbalzavano…

Hask uscì dalla sua stanza e andò verso i pezzi che prima erano stati il suo capitano. Alcune parti pulsavano, ma la maggior parte giaceva completamente immobile.

Naturalmente non c'era molto sangue; le valvole delle arterie e delle vene funzionavano ancora, anche dopo la morte.

Con la mano posteriore Hask si toccò il ciuffo, sentendolo ondeggiare di sollievo. Guardò il telaio della porta e l'arnese da taglio attaccato con la Krazy Glue sulla parte sinistra dello stipite a circa un metro da terra. Si vedevano anche dodici granelli blu incollati sul lato dello stipite, sull'architrave e sulla soglia di metallo alla base della porta. Ciò che non si vedeva era il monofilamento stesso, teso in una griglia di linee orizzontali e verticali da un lato all'atro della porta.

Le parole del suo caro amico Cletus Calhoun gli tornarono in mente. «Taglia!» diceva Clete. «Trita!»

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