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«E che cosa fa l'appendice?»

Wills strizzò i suoi occhi azzurri. «L'opinione comune è che non faccia nulla; è solo un organo rudimentale. I primati nostri progenitori erano erbivori, e nella sua forma originaria l'appendice aveva probabilmente qualche utilità nel facilitare la digestione — gli erbivori attuali hanno un intestino cieco esteso che somiglia a una versione allungata della nostra appendice. Ma per noi l'appendice fa poco, se non niente.»

«Ed esistono pericoli associati all'appendice?»

«Oh, sì. È soggetta a infezione e infiammazione. Circa una persona su quindici nel corso della sua vita ha un'appendicite.»

«È una condizione minore, vero?»

«No. È un problema serio, acuto e potenzialmente fatale. Di solito l'appendice deve essere rimossa chirurgicamente.»

«Grazie professore. A lei il teste, avvocato Ziegler.»

Ziegler si consultò brevemente con Trina Diamond e poi scrollò le spalle. «Nessuna domanda.»

«Va bene» disse il giudice Pringle. «Data l'ora tarda, ci aggiorniamo a domani mattina alle dieci.» Guardò la giuria. «Vi prego di ricordare le mie ammonizioni. Non discutete il caso tra di voi, non formatevi alcuna opinione, non prendete alcuna decisione, e non permettete a nessuno di comunicare con voi in merito al processo.» Batté il martelletto. «La Corte si ritira.»

Hask passava ancora le notti nella sua stanza alla Valcour Hall. Come sempre Frank lo riaccompagnava a casa, insieme a quattro poliziotti della Polizia di Los Angeles — due in macchina con loro e altri due in una seconda auto. L'unico problema con la Valcour Hall era che anche se l'edificio era stato completato, il parcheggio adiacente non era ancora pronto; così la macchina della polizia doveva far scendere Hask a circa due metri dal residence. Tutt'intorno erano stati piantati dei picchetti di legno nell'erba, con un nastro adesivo giallo che andava da uno all'altro su cui era scritto 'Polizia — non oltrepassare'. Però, ogni giorno dopo l'udienza, centinaia di studenti, impiegati universitari e altri cittadini aspettavano dietro la linea per vedere Hask. Frank e Hask scesero insieme dall'auto della polizia. Come al solito, Frank aveva dei problemi a stare dietro al Tosok, che faceva dei passi molto più lunghi dei suoi. Erano solo le quattro e quaranta del pomeriggio. Il Sole era ancora alto nel cielo limpido.

All'orecchio di Frank i due suoni sembrarono simultanei, ma naturalmente uno di essi doveva aver preceduto l'altro. Il primo suono fu uno schiocco così forte da far male agli orecchi, come un tuono, un osso che si rompeva, o un lago ghiacciato che si frantumava sotto il peso di un uomo incastrato. Riecheggiò sulle pareti di vetro e pietra, risuonando per diversi secondi.

Il secondo suono era acuto e trillante, qualcosa che Frank non aveva mai sentito prima. Era in parte il suono di un vetro infranto, in parte quello delle ruote di un treno in frenata sui binari di metallo, e in parte il gemito di cento telefoni lasciati troppo a lungo staccati.

Frank aveva pensato — sperato — che il primo suono fosse lo scoppio di un motore di una macchina, ma non lo era. In una confusione di movimenti, due dei quattro poliziotti si lanciarono avanti, correndo verso la folla che era dietro la striscia gialla. Misero a terra un uomo quasi immediatamente. Frank si guardò il torace e vide uno schizzo rosa a ragnatela sulla giacca, la camicia e la cravatta.

E a quel punto realizzò cos'era stato il secondo suono.

Hask era ancora in piedi, ma mentre Frank lo guardava si accasciò a terra come al rallentatore; ognuna delle gambe si piegò prima alla giuntura inferiore, poi a quella superiore. Il tronco cadde all'indietro, e l'urlo dell'alieno si spense mentre il quadrato della bocca si rimpiccioliva finché non rimase niente se non la fessura orizzontale che segnava l'apertura esterna. Continuò a cadere, con il braccio posteriore che si stendeva dietro di lui. Frank si buttò avanti, cercando di prenderlo, ma il collasso del Tosok si concluse prima che l'umano lo raggiungesse.

L'assalitore, un bianco sulla trentina, era inchiodato a terra. Gridava: «È morto il demonio? È morto il demonio?»

Il buco del proiettile nella tunica di Hask era evidente, circondato dal rosa del sangue Tosok. Meno evidente, però, era cosa bisognasse fare. Gli spettatori ormai stavano ignorando il nastro della polizia, ed erano corsi intorno all'alieno, affollandosi a cerchio vicino a lui. Frank mise un orecchio vicino a uno degli orifizi da cui Hask respirava. Usciva aria, la sentiva sulla guancia. Ma non aveva idea di dove sentire le pulsazioni. Dalla ferita non era uscito molto sangue — forse un segno che i quattro cuori dell'essere avevano smesso di pompare.

Frank alzò lo sguardo, per dire a qualcuno di chiamare un'ambulanza, ma uno dei poliziotti lo stava già facendo dalla radio dell'auto. Frank prese il suo cellulare dalla tasca della giacca. Premette i tasti di selezione veloce e fece il numero del telefonino che era stato dato al capitano Kelkad, poi — senza aspettare che lui rispondesse — passò il telefono all'altra poliziotta. Frank si piegò di nuovo su Hask. «Hask» disse. «Hask, mi senti?»

Non ci fu nessuna risposta. Frank si allentò la cravatta, se la sfilò dalla testa e la usò appallottolata come benda di compressione sulla ferita. Non aveva idea se fosse la cosa giusta da fare, considerato quanto poco sapeva della fisiologia Tosok, ma…

«Frank» disse la poliziotta. «Ho Kelkad al telefono.» Gli passò il cellulare. Lo prese con la mano sinistra, mentre con la destra continuava a premere la cravatta appallottolata.

«Kelkad, che devo fare?» disse Frank. «Hanno sparato ad Hask.»

Kelkad e gli altri Tosok erano in macchine separate, e stavano tornando dal Tribunale Penale. La linea era disturbata. Ci fu una lunga pausa, poi una raffica di parole indistinte in lingua Tosok — ma non era la voce di Kelkad — poi ancora qualcos'altro in Tosok; questa volta era Kelkad. E poi la voce del traduttore. «Descrivi la ferita, e il modo in cui è stata fatta.» Frank realizzò che Kelkad doveva passare continuamente il telefono dal traduttore all'orecchio.

Frank sollevò la mano dal bendaggio. Sebbene la cravatta fosse coperta di sangue Tosok — che si stava cristallizzando come un sottile strato di ghiaccio, invece di coagulare come il sangue umano — il volume totale dell'emorragia sembrava minimo. «È stato colpito da un proiettile di metallo — presumibilmente di piombo. È disteso sulla schiena, respira ancora, ma sembra svenuto. Il proiettile è entrato tra il braccio frontale e la gamba sinistra, circa venti centimetri sotto l'orifizio di respirazione. Non so come si sia mosso dentro il corpo. Stavo facendo pressione sulla ferita, ma sembra che abbia smesso di sanguinare, e il sangue si sta cristallizzando.»

Si sentì un suono da Kelkad, e dei rumori dal traduttore — più i rumori del traffico e una sirena. La macchina su cui si trovava Kelkad si stava precipitando sul posto.

«Probabilmente non gli farai del male se lo giri» disse Kelkad. «Il proiettile ha attraversato il corpo?»

Frank passò il telefono alla poliziotta e afferrò la parte superiore della gamba sinistra di Hask con tutte e due le mani, sentendo lo strano scheletro alieno sotto la pelle, e poi girandolo di novanta gradi. Esaminò il retro della tunica di Hask, ma non trovò alcun foro d'uscita. Guardò la poliziotta. «Gli dica che non ci sono segni di uscita del proiettile.»

Lo fece, e poi rimase un momento ad ascoltare. «Kelkad chiede di confermare che il numero atomico del piombo è ottantadue.»

«Cosa?» disse Frank. «Cristo, non ne ho idea.»

«Dice che il piombo è altamente tossico per i Tosok. Dice che il proiettile dovrà essere rimosso entro un'ora.»

«Dov'è quella dannata ambulanza?» disse Frank.

«Sta arrivando» disse l'altro poliziotto, che li aveva raggiunti. Indicò in lontananza. Si stava avvicinando un furgone bianco con sopra la sirena.

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