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Il suo volto largo e soffice aveva visto un sacco di storia. Dale era nato a Montgomery, Alabama. Era giovane nel 1955, quando Rosa Parks fu arrestata per aver rifiutato di cedere il suo posto sull'autobus a un bianco.

Nel 1961 Dale era diventato un Cavaliere della Libertà e aveva messo alla prova l'ordine della Corte Suprema che vietava la segregazione nelle stazioni degli autobus. Quando l'autobus su cui si trovava entrò ad Anniston, Alabama, uno squadrone di uomini bianchi con bastoni, mattoni, tubi di metallo e coltelli era lì ad aspettare. Il bus venne incendiato, e i passeggeri bianchi e neri che fuggivano vennero selvaggiamente picchiati; fu durante quella battaglia che ruppero il naso a Dale.

Nel 1965 lui e altre duecentocinquantamila persone marciarono su Washington, D.C., e ascoltarono il discorso 'Ho fatto un sogno…' del reverendo Martin Luther King, Jr.

Dale Rice aveva conosciuto King, e anche Malcolm X. Conosceva Jessie Jackson e Louis Farrakhan. C'era chi diceva che era il top degli avvocati per i diritti civili negli Stati Uniti. Lo stesso Dale pensava che probabilmente era vero; pensava anche che fosse molto triste che dopo tutto quel tempo gli Stati Uniti avessero bisogno di avvocati per i diritti civili.

L'apparecchio di comunicazione interna sulla sua scrivania suonò. Premette il pulsante con un dito a salsiccia. «Sì?» disse, con una voce bassa e profonda.

«Dale,» disse una voce di donna «c'è qui un uomo che vuole vederti. Non ha appuntamento, ma…»

«Sì, Karen?»

«Mi ha mostrato un tesserino di identificazione. Lavora per il presidente degli Stati Uniti.»

Le sopracciglia scure si sollevarono verso la nuvola di capelli bianchi. «Mandamelo.»

Un bianco molto magro entrò nella stanza. Aveva gli occhiali con la montatura dorata e un vestito grigio che sembrava meno costoso di quello di Dale. «Mr. Rice,» disse con una voce leggermente nasale «mi chiamo Francis Nobilio. Sono il consulente scientifico del presidente.»

Dale stava seduto e guardava Frank da sopra le mezze lenti degli occhiali da vista. Dale era un uomo di pochi movimenti, e non tese la mano. Indicò una delle poltroncine che erano davanti alla scrivania. Non lo fece con un gesto, ma con un semplice cenno dei suoi occhi vecchi e stanchi. «L'ho vista in TV» disse. «Lei fa parte dell'entourage che vive con quegli alieni.»

«È esatto signore. Ed è per questo che sono qui. Uno dei Tosok è stato arrestato per omicidio.»

Dale annuì. «Ero in tribunale oggi. Ne parlavano tutti. La vittima era un signore della PBS, vero?»

«Sì, Cletus Calhoun.»

«E lei vuole che io difenda il Tosok?»

«Sì.»

«Perché io?»

Frank alzò le spalle, come se fosse ovvio. «Il suo curriculum.»

«Ci sono molti buoni avvocati in questa città.»

«È vero. Ma, ecco…» Fece una pausa, apparentemente incerto su cosa dire. «Guardi, non si tratta esattamente di un caso di diritti civili, ma…»

«Ma io sono un nero.»

Frank distolse lo sguardo. «Appunto.»

«E molti dei miei casi più importanti hanno coinvolto imputati neri.»

«Sì.»

«Compreso un certo numero di neri accusati di aver ucciso dei bianchi.»

Frank si spostò in avanti sulla poltroncina. «Be', sì.»

«Quindi ha pensato che io sia un esperto nella difesa di individui che la corte potrebbe considerare come cittadini di seconda classe.»

«Io non la metterei in questi termini.»

«Ma questo è il punto, non è vero? La sua preoccupazione è che i giurati considerino il Tosok inferiore agli umani.» Dale aveva una voce da James Earl Jones; ogni sillaba che pronunciava era come un giudizio dall'alto.

«Quest'idea ha sfiorato la mia mente, sì.»

Lo sguardo di Dale era risoluto. «Sarebbe venuto da me se il morto fosse stato un nero?»

«Io… non lo so. Non ci ho mai pensato.»

«Cadavere nero, killer alieno — non sarebbe proprio la stessa cosa, eh? Una giuria probabilmente si infuria meno per la morte di un nero.»

«Preferirei pensare che il colore della vittima non faccia differenza.»

Gli occhi di Dale continuarono per qualche secondo a perforare il cranio di Frank. «Ma non è così» disse semplicemente.

«Senta, devo trovare qualcuno che rappresenti Hask entro oggi. Ho chiamato Janet Reno e Janet dice che è lei il migliore che ci sia. Ma se non vuole l'incarico…»

«Non ho detto questo. Voglio solo essere sicuro che sia la cosa giusta per me… e che le sue aspettative siano realistiche. Mi offrono cento cause al giorno; le rifiuto quasi tutte.»

«Lo so. Le hanno chiesto di far parte del Dream Team per il processo a O.J. Simpson.»

«È vero. E ho rifiutato.»

«Perché?»

Dale si fermò un momento a pensare se voleva rispondere a questa domanda. Alla fine disse: «Troppi capi, troppi ego. Io non lavoro in quel modo. Vogliono me, hanno me…e con me uno dei miei associati. Buona parte del motivo per cui il processo Simpson è durato tanto, è che ognuno dei signori che sedevano al tavolo della difesa doveva avere il suo momento di attenzione.»

«Lei sarebbe il difensore principale. Il resto del team risponderebbe a lei.»

Dale si fermò a pensare. «Lei ha citato Simpson, dottor Nobilio. Lasci che le faccia una domanda. Perché è stato dichiarato innocente?»

Frank si mordicchiò il labbro inferiore. Sembrava che stesse cercando di trovare una risposta diplomatica. Alla fine, alzò le spalle. «Abilità degli avvocati.»

«Lei pensa che sia stato lui? Pensa che abbia ucciso Nicole Brown e Ronald Goldman?»

«Be', sì.»

«In quel processo è stata fatta giustizia?»

Frank scosse la testa.

«Lei ha bisogno di un altro avvocato. La mia segretaria le consiglierà alcuni nomi.» Dale sollevò il corpo massiccio dalla poltrona di pelle e questa volta tese una mano nerboruta.

Frank non si alzò. «Non mi mandi via, Mr. Rice. Ho bisogno di lei. Se pensa che la mia opinione sia sbagliata, mi dica perché.»

Dale sapeva che la sua espressione naturale era accigliata; ora fece vedere a Frank com'era quando era veramente accigliato. Ma poi si rimise a sedere, e la sedia scricchiolò sotto il suo peso. «I giurati per Simpson hanno deliberato in quattro ore» disse Dale. «Sa perché? Perché era un caso ovvio.»

Frank inarcò le sopracciglia. «Ovvio!»

«Certamente. Alla giuria è stata fatta una sola domanda: esiste un ragionevole dubbio sulla colpevolezza di O.J. Simpson? E la risposta era semplice: naturalmente sì. Lei e la maggior parte dell'America bianca volevate che la domanda fosse: è stato Simpson? Ma non si chiede mai a una giuria di decidere questo. Quello che si chiede, invece, è se c'è un ragionevole dubbio. E un dubbio c'era, su decine di piani diversi. La prova lampante che Mark Fuhrman avesse giurato il falso sul banco dei testimoni, l'idea che avesse potuto far sparire delle prove, la EDTA nei campioni di sangue di Simpson, la possibilità della contaminazione del DNA, i guanti che non andavano, eccetera, eccetera, eccetera. Ecco un ragionevole dubbio.»

Frank non disse niente.

«Dato che esisteva un ragionevole dubbio, è stato liberato. L'abilità degli avvocati non c'entra niente.»

Frank aveva un tono incerto. «Ah.»

«Johnnie, Lee e gli altri non hanno fatto nessun miracolo per Simpson. Tutto ciò che hanno fatto è stato mettere in evidenza il ragionevole dubbio sulla sua colpevolezza. Qualsiasi avvocato competente poteva fare la stessa cosa — in quel caso. Ma lei, dottor Nobilio, è in cerca di uno che faccia miracoli?

«Prego?»

«Esiste un ragionevole dubbio sulla colpevolezza dell'alieno?»

Dale vide la sorpresa sul volto di Frank. «Certo che c'è. Hask non avrebbe mai commesso un omicidio.»

«Come fa a saperlo?»

«Io… be', voglio dire, è un alieno e…»

«L'ho vista a Nightlife un paio di settimane fa» disse Dale. «Ha detto qualcosa sul fatto che se i Tosok sono evidentemente superiori a noi dal punto di vista tecnologico, devono esserlo anche moralmente. Loro hanno affrontato tutti i demoni dell'adolescenza tecnologica e ne sono usciti.»

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