— Penso di sì.
— E allora, se riuscirete a presentarle come una teoria scientifica, la invierò subito al Comitato Rama. Dirò che ne facciano avere una copia alla vostra chiesa e così tutto è sistemato.
— Grazie, signor Comandante.
— Oh, non crediate che lo faccia per salvarmi l'anima. Voglio soltanto vedere che cosa ne pensa il Comitato. Anche se non la penso come voi, sono sempre del parere che la vostra teoria porebbe essere valida.
— Lo sapremo al perielio, no?
— Certamente, lo sapremo al perielio.
Dopo che Rodrigo se ne fu andato, Norton pensò di aver risolto il problema nel modo migliore… e se poi Rodrigo aveva ragione, chissà che non avesse aumentato così le sue probabilità di far parte dei prescelti.
21
Mentre si avviavano verso il complesso di compartimenti stagni Alfa, Norton si chiese se l'impazienza non avesse preso il sopravvento sulla cautela. Avevano aspettato quarantott'ore, due preziose giornate, a bordo della Endeavour pronti a un immediato decollo qualora gli eventi lo avessero richiesto. Ma non era successo niente. Gli strumenti lasciati all'interno di Rama non avevano rilevato tracce di attività insolita. E purtroppo la telecamera installata sul mozzo era rimasta inutilizzata a causa di una nebbia fitta che riduceva quasi a zero la visibilità, e che solo adesso cominciava a diradarsi.
Quando uscirono dall'ultimo portello e fluttuarono nel reticolo di corde-guida che avevano installato intorno al mozzo, la prima cosa che colpì Norton fu il cambiamento della luce. Non era più di un azzurro vivido, ma più tenue e dolce, tanto da ricordargli una bella giornata di sole con un po' di foschia.
Guardò a lungo l'asse di Rama e tutto quello che riuscì a vedere fu un tunnel bianco, luminoso, che arrivava fino alle strane montagne del Polo Sud. La nebbia formava un cilindro più piccolo all'interno di quello più grande e rotante, con la parte centrale libera in cui vagavano alcuni cirri leggeri.
L'immenso tubo di nebbia era illuminato all'interno dai sei soli artificiali di Rama. La posizione dei tre soli del continente settentrionale era nettamente definita da tre lunghe strisce di luce diffusa, ma quelle situate oltre il Mare Cilindrico continuavano a fondersi in un'unica fascia abbagliante.
Cosa sta succedendo sotto quelle nuvole? si chiese Norton. Ma per lo meno l'uragano che le aveva centrifugate con tanta perfetta simmetria intorno all'asse di Rama, si era esaurito. A meno che non ci fossero altre sorprese, potevano arrischiarsi a scendere.
La squadra destinata alla prima esplorazione della seconda fase di ricerche era formata dagli stessi uomini che erano entrati per primi in Rama. Il sergente Myron, come del resto ormai tutto l'equipaggio della Endeavour, era in forma perfetta e aveva avuto il nulla osta dalla dottoressa Ernst.
Mentre Norton guardava Mercer, Calvert e Myron nuotare rapidi e sicuri giù per la scala a pioli, notò quanto quella discesa fosse diversa dalla prima fatta nel freddo e nel buio. Adesso scendevano verso la luce e il calore. Inoltre, nel corso delle visite precedenti, erano convinti che Rama fosse morto, il che poteva esser vero, in senso biologico. Ma qualcuno si stava svegliando. E l'ipotesi di Boris Rodrigo valeva quanto un'altra: lo spirito di Rama si era svegliato.
Quando raggiunsero la piattaforma alla base della scala a pioli e si prepararono a iniziare la discesa della gradinata, Mercer fece come sempre un controllo dell'atmosfera. Non si fidava mai di niente e anche quando tutti respiravano liberamente intorno a lui, doveva controllare l'atmosfera prima di aprire il visore del casco. Quando gli chiedevano il motivo di tanta cautela, rispondeva: — Perché i sensi umani non sono perfetti, ecco perché. Uno è convinto che l'aria sia respirabile, e tac, un momento dopo cade stecchito. — Guardò il contatore e imprecò.
— Cosa succede? — chiese Calvert.
— È rotto… segna un valore troppo elevato. Strano, non era mai successo, che io sappia. Ho appena controllato tutto il circuito del respiratore.
Inserì il piccolo analizzatore nel punto di controllo del respiratore e rimase in attesa per qualche momento, pensoso. I compagni lo guardavano ansiosi e preoccupati. Se Mercer era così sconvolto doveva trattarsi di una cosa grave.
Mercer disinserì l'analizzatore, se ne servì per analizzare l'atmosfera di Rama, poi chiamò il Controllo Mozzo: — Comandante, per favore volete misurare il contenuto di ossigeno?
Seguì una lunga pausa, e infine Norton trasmise: — Il mio contatore non funziona bene.
Un lento sorriso si diffuse sulla faccia di Mercer: — Supera il cinquanta per cento, non è così?
— Sì. Cosa significa?
— Che possiamo toglierci subito le maschere. Non è una bella cosa?
— Mah… mi sembra fin troppo bella per essere vera — ribatté Norton imitando il tono sempre dubbioso di Mercer. Non occorreva dire di più. Come tutti gli spaziali, Norton dubitava delle cose che sembrano troppo belle per essere vere.
Mercer socchiuse il visore del casco, e annusò cauto. Per la prima volta, a quell'altezza, l'aria era perfettamente respirabile. L'odore stantio di chiuso era scomparso, e così pure l'eccessiva aridità che in passato aveva provocato, in molti, disturbi respiratori. L'umidità era salita dell'ottanta per cento. Merito di tutto questo era indubbiamente lo scioglimento dei ghiacci. L'aria era calda e afosa, come in una sera estiva o su una costa tropicale, ma non sgradevole. Il clima all'interno di Rama aveva subito un mutamento enorme, negli ultimi giorni.
Perché? L'aumento dell'umidità non era un problema, invece era più difficile da spiegare quello dell'ossigeno. Mentre iniziavano la discesa, Mercer cominciò a fare una serie di calcoli mentali. Quando entrarono nello strato di nuvole non era ancora arrivato a un risultato soddisfacente.
Il passaggio fu brusco e sconvolgente. Un momento prima scivolavano rapidi sulla ringhiera nell'aria limpida, e subito dopo si erano trovati immersi in una nebbia bianca che riduceva la visibilità a pochi metri. Mercer frenò così rapidamente che per poco Calvert non andò a sbattergli contro facendolo ruzzolare dalla ringhiera.
— Rallentate — disse Mercer ai compagni, — e accorciate le distanze in modo che possiamo sempre tenerci d'occhio. E non accelerate, perché può darsi che debba frenare ancora di colpo.
Continuarono a scivolare in silenzio nella nebbia. Calvert riusciva appena a intravedere Mercer come un'ombra indistinta dieci metri dietro di lui. In un certo senso era ancora peggio della discesa al buio, perché allora c'era sempre il riflettore a illuminare il percorso, mentre adesso era come trovarsi in mezzo a un banco di nebbia in alto mare.
A un tratto, Mercer si fermò di nuovo, e quando gli altri lo ebbero raggiunto, bisbigliò: — Non sentite qualcosa?
— Sì — disse Myron dopo un istante. — Mi pare il rumore del vento.
Calvert non era altrettanto sicuro. Tese le orecchie, girando la testa per tentare di localizzare la direzione del leggero mormorio che avevano sentito nella nebbia, ma abbandonò ben presto l'inutile tentativo.
Quando furono arrivati al quinto livello, il rumore, che era cresciuto con intensità regolare, diventò nostalgicamente familiare. — Non lo riconoscete? — chiese Myron.
Avrebbero dovuto identificarlo già da tempo, ma era un rumore che nessuno di loro aveva pensato di sentire lontano dalla Terra. Nella nebbia, da un punto tuttora imprecisato, veniva il rombo di una cascata.
Pochi attimi dopo lo strato di nebbia finì, bruscamente come era cominciato e il gruppo si trovò nella luce abbagliante del giorno ramano, resa ancora più vivida dal riflesso delle nuvole basse.
Si fermarono alla quinta e penultima piattaforma per riferire che erano usciti dalla nebbia e per esaminare attentamcnte il panorama. Per quanto potevano vedere, nella pianura tutto era rimasto immutato, ma sulla volta a nord Rama aveva prodotto un'altra meraviglia.