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Qui vicino
il capitano James Cook
fu ucciso
il 14 febbraio 1779
La targa originale
fu affissa il 28 agosto 1928
dalla commissione per
il 200° anniversario della nascita
di Cook
e sostituita dalla commissione per
il 300° anniversario della sua morte
14 febbraio 2079

Erano passati molti anni da quel giorno, e cento milioni di chilometri di spazio. Ma in un momento come quello la presenza rassicurante di Cook gli sembrava vicinissima. Nel segreto della sua mente, Norton gli avrebbe chiesto: Be', capitano, cosa mi consigliereste voi? Era un diversivo a cui ricorreva quando non aveva a disposizione un numero sufficiente di dati per trarre un giudizio sicuro, e bisognava affidarsi all'intuito. E questo era stato uno dei lati del genio di Cook: aveva sempre fatto la scelta giusta, fino alla morte nella Baia di Kealakekua.

Il sergente aspettava pazientemente, mentre Norton fissava immobile la buia notte di Rama, interrotta solo dal debole e lontano chiarore delle lampade delle due squadre di esploratori.

Se sarà necessario potrò richiamarle con un'ora di preavviso, si disse Norton. Basterà di sicuro.

Poi, rivolgendosi al sergente: — Trasmettete questo messaggio: Rama al Comitato. Sorvegliate meglio Planetcom. Grazie del consiglio. Prenderemo precauzioni. Cosa significa improvvise perturbazioni? Rispettosamente: Norton, Comandante. Dalla Endeavour.

Dopo che il sergente si fu allontanato, riaccese il registratore. Ma il filo dei suoi pensieri si era spezzato, e non riusciva a tornare nello stato d'animo adatto… le sue famiglie avrebbero dovuto pazientare ancora qualche giorno.

Si ricordò allora che la povera Elizabeth Cook aveva visto molto di rado il marito nel corso dei sedici anni della loro vita coniugale. Eppure aveva messo al mondo sei figli, sopravvivendo a tutti.

Le sue mogli, distanti dieci minuti alla velocità della luce, non avevano proprio niente da lamentarsi.

17

Non era stato facile dormire durante le prime notti su Rama. Il buio e i misteri che racchiudeva erano opprimenti, ma più di tutto li turbava il silenzio. L'assenza assoluta di rumore non è una condizione naturale, i sensi umani esigono di stare continuamente in esercizio, altrimenti la mente crea allucinazioni.

Molti, infatti, si erano lamentati di aver sentito nel sonno forti rumori e perfino delle voci, naturalmente inesistenti, perché quelli che erano rimasti svegli non avevano sentito niente. La dottoressa Ernst aveva prescritto una cura semplice e efficace: durante i periodi di riposo una sommessa musica di fondo avrebbe cullato il sonno.

Ma a Norton quella notte la cura non fece effetto. Continuava a tendere le orecchie nel buio, sapendo quello che cercava di sentire. Ma sebbene di tanto in tanto una lieve brezza gli accarezzasse la faccia, non sentiva nessun rumore che avrebbe potuto essere provocato da un forte vento. Neppure le due squadre di esploratori ebbero qualcosa di nuovo da riferire.

Finalmente, a mezzanotte, ora di bordo, decise di coricarsi. C'era sempre un uomo di guardia alla console delle comunicazioni, nel caso arrivasse qualche messaggio urgente. Prendere altre precauzioni pareva inutile.

Ma nemmeno un uragano avrebbe potuto provocare il rumore che svegliò di soprassalto Norton e tutti gli altri. Pareva che stesse crollando il cielo, o che Rama si fosse spaccato e stesse disintegrandosi. Dapprima ci fu uno schianto lacerante, poi una serie di scrosci cristallini prolungati come se un milione di vetrine si fossero fracassate contemporaneamente. Il rumore durò alcuni minuti, e sembrarono ore. Continuava ancora, allontanandosi nel buio, quando Norton si mise in contatto col centro comunicazioni.

— Controllo Mozzo. Cosa sta succedendo?

— Un momento, Comandante… C'è qualcosa laggiù verso il mare. Stiamo spostando il riflettore.

Otto chilometri più in alto, sull'asse di Rama, il riflettore cominciò a spazzare col suo raggio la pianura sottostante. Raggiunse il mare e continuò, lentamente, fino a fermarsi a un quarto di giro dalla superficie cilindrica.

Lassù in cielo, perché la mente continuava a chiamarlo cielo, stava succedendo qualcosa di straordinario. In un primo momento sembrò a Norton che il mare stesse bollendo. Non era più immobile e gelato nella morsa di un inverno perenne. Un tratto enorme, lungo parecchi chilometri, era in preda a uno sconvolgimento turbolento. E stava anche cambiando colore: un'ampia fascia bianca avanzava attraverso il ghiaccio.

Improvvisamente, una lastra lunga almeno un chilometro cominciò a sollevarsi come una porta che si stesse aprendo. Con moto lento e maestoso raggiunse il cielo scintillando e mandando bagliori alla luce del riflettore. Poi scivolò all'indietro e ricadde sotto la superficie, e un'ondata spumeggiante si sollevò precipitandosi in tutte le direzioni, a partire dal punto in cui era caduta la lastra.

Solo allora Norton capì cosa stava succedendo: il ghiaccio cominciava a spezzarsi. Da giorni, forse da settimane, il mare aveva cominciato a fondersi in profondità. Era difficile concentrarsi a causa degli schianti che si susseguivano riecheggiando, ma lui si sforzò di trovare una causa logica a quelle drammatiche convulsioni. Quando sulla Terra un lago o un fiume ghiacciati cominciano a sciogliersi, non succedeva niente di simile. Ma certo! Adesso capiva tutto: questo mare si fondeva a partire dal fondo poiché era lì che lo aveva ragiunto il calore del Sole dopo aver attraversato lo spessore dello scafo di Rama. E quando il ghiaccio si trasforma in acqua occupa un volume minore.

Perciò il mare era andato contraendosi al di sotto degli strati superiori ancora gelati, che erano venuti a trovarsi privi di sostegno. La fusione era continuata finché adesso la banchisa che circondava l'equatore di Rama stava crollando come un ponte privato del pilone centrale. E si frantumava in migliaia e migliaia di isole e isolette galleggianti, che si accavallavano e si schiantavano una contro l'altra, finché non si fondevano a loro volta. Norton si sentì gelare al pensiero che aveva progettato di raggiungere New York con la slitta.

Il tumulto ebbe presto fine, come se acqua e ghiaccio avessero raggiunto un accordo. Nel giro di poche ore, con l'aumento continuo della temperatura, l'acqua avrebbe vinto, e le ultime tracce di ghiaccio sarebbero scomparse. Ma poi, quando lasciata l'orbita solare Rama avesse ripreso il suo viaggio nella notte siderale, il ghiaccio sarebbe stato il vero e decisivo vincitore.

Norton chiamò la pattuglia che si trovava più vicino al mare e con suo grande sollievo Rodrigo rispose subito. No, l'acqua non era arrivata fino a loro. Le ondate non avevano superato l'orlo della scarpata. — Adesso almeno sappiamo perché l'hanno fatta, quella scarpata — disse calmo.

Norton annuì in silenzio, aggiungendo fra sé che questo però non spiegava come mai la scarpata opposta fosse alta dieci volte di più.

Il riflettore continuava a illuminare il mare che andava calmandosi. La ribollente schiuma bianca non correva più allontanandosi dalle isole di ghiaccio sommerse. Dopo un quarto d'ora era tornata la calma.

Ma Rama non era più silenzioso. Destatosi dal suo sonno, parlava a tratti con la voce del ghiaccio che finiva di sgretolarsi o degli ultimi icebergs che si scontravano schiantandosi.

La primavera è arrivata un po' in ritardo, pensò Norton, ma almeno l'inverno è finito.

Ed era tornata la brezza, più forte di prima. Rama l'aveva avvertito: era ora di andarsene.

19
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