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Quel 2,75 era il vanto della corporazione, basato su studi ed esami accurati. Sebbene molti non credessero alla veridicità di quella cifra, pareva invece che fosse esatta perché gli scim erano felici di lavorare quindici ore al giorno e non si stancavano a ripetere sempre le stesse cose. In questo modo, gli esseri umani non erano costretti a occuparsi di molti lavori manuali, il che, a bordo di un'astronave, era una cosa di importanza vitale.

Al contrario delle scimmie con cui erano più strettamente imparentate, gli scim della Endeavour erano docili, obbedienti e per niente curiosi. Essendo oltretutto asessuati, non creavano problemi neppure da quel lato. Erano vegetariani, rispettosi, puliti e non puzzavano. Sarebbero stati gli animali domestici ideali, ma erano talmente costosi che nessuno se li poteva permettere.

Ma nonostante tutti questi vantaggi, la loro presenza a bordo faceva sorgere alcuni problemi. Vivevano in alloggi speciali, detti, come è facile immaginare, la gabbia delle scimmie. La loro piccola mensa era sempre immacolata, e dotata di giochi vari e macchine programmate per l'insegnamento. Per evitare incidenti non avevano accesso ai locali tecnici della nave: tutti gli ingressi erano dipinti in rosso e gli scim erano condizionati in modo che per loro era psicologicamente impossibile oltrepassare quelle barriere visive.

Poi c'erano i problemi delle comunicazioni. Per quanto avessero un quoziente d'intelligenza equivalente a sessanta e fossero in grado di capire qualche centinaio di parole, non potevano parlare. Comunicavano a segni.

Quelli fondamentali erano facili e di rapido apprendimento, per cui tutti i membri dell'equipaggio erano in grado di tradurre i messaggi semplici. Ma solo uno parlava correntemente la lingua degli scim: il capo steward McAndrews.

Ovviamente si sentiva spesso dire che il sergente Ravi McAndrews sembrava un scim, il che, del resto, non era un insulto, visto che gli scim erano bestiole graziose col pelo colorato liscio e folto e i movimenti aggraziati. Erano anche affettuosi e tutti a bordo avevano il loro preferito. Quello di Norton si chiamava Goldie perché aveva il pelo biondo oro.

Ma i rapporti affettuosi che si potevano instaurare così facilmente con gli scim facevano sorgere un altro problema di cui si servivano spesso come argomento decisivo coloro che erano contrari al loro impiego nello spazio. Poiché venivano addestrati solo per lavori semplici, manuali, in caso d'emergenza erano peggio che inutili: potevano costituire un pericolo per se stessi e per gli esseri umani. Fra l'altro, non erano mai riusciti a imparare come indossare una tuta, forse perché il concetto dell'utilità di un simile indumento esulava dalla loro comprensione.

Nessuno amava parlarne, ma tutti sapevano cosa sarebbe stato necessario fare in caso di avaria e di abbandono della nave. Finora era successo una volta sola, e l'incaricato aveva eseguito anche troppo bene il compito assegnatogli. L'avevano trovato insieme ai suoi scim, morto per effetto dello stesso veleno. In seguito, l'incarico dell'eutanasia era stato deferito all'ufficiale medico che, almeno si presumeva, non doveva essere tanto affezionato alle bestiole.

Norton era ben lieto che almeno quella responsabilità non ricadesse sulle spalle del Comandante. Conosceva persone che avrebbero ammazzato con molta maggior indifferenza di Goldie.

12

Nell'atmosfera limpida e fredda di Rama, il fascio di luce del riflettore era completamente invisibile. Un ovale luminoso illuminava, per un centinaio di metri, tre chilometri sotto il mozzo centrale, e parte della colossale gradinata. Al centro di quell'ovale si muovevano tre figure che parevano formiche e che gettavano davanti a sé ombre lunghissime.

Come avevano previsto e sperato, la discesa era stata tranquilla e sicura. Avevano sostato per qualche minuto sulla prima piattaforma, e Norton aveva seguito per qualche centinaio di metri quella sporgenza stretta e incurvata prima di iniziare la discesa della seconda rampa. Qui s'erano tolti il respiratore e avevano assaporato l'aria. Adesso potevano muoversi più liberamente e non avevano la preoccupazione che si guastasse qualche congegno del respiratore.

Al quinto ripiano, quando mancava solo una rampa alla fine della gradinata, la forza di gravità era circa metà di quella terrestre. La rotazione centrifuga di Rama si faceva sentire in pieno, gli sploratori erano in balia delle forze implacabili che dominano tutti i pianeti, e che sono capaci di chiedere uno scotto spietato per il più piccolo errore. Scendere era ancora facile, ma il pensiero del ritorno su per quelle migliaia e migliaia di gradini cominciava a diventare un incubo.

La gradinata non era più ripida come all'inizio, si era appiattita e i gradini erano alti un quinto dei primi, e cinque volte più larghi. Gli uomini riuscivano a camminare senza difficoltà fisiche o psicologiche. Solo la forza di gravità inferiore impediva loro di credere che stessero scendendo un'ampia e lunga gradinata terrestre. Norton aveva visitato le rovine di un tempio azteco, e adesso riprovò la stessa sensazione di allora, anche se centuplicata. C'era lo stesso senso di mistero e di timore reverenziale, unito alla tristezza per un passato scomparso per sempre. Qui tuttavia era tutto talmente ampliato, sia nel senso dello spazio che in quello del tempo, che la mente si rifiutava di mantenersi in uno stato di stupore continuo. Norton pensava che forse un giorno Rama gli sarebbe parsa normale.

Ma il parallelo con le rovine terrestri falliva completamente sotto un altro aspetto. Rama era infinitamente più antico di qualsiasi costruzione sopravvissuta sulla Terra, ancor più antico della Grande Piramide, eppure tutto sembrava nuovo di zecca, non c'erano segni di logorio o di decadenza.

Questo aspetto di Rama aveva dato molto da pensare a Norton, che alla fine era giunto alla conclusione che gli sembrava più plausibile, ovvero che la zona fino allora esaminata faceva parte di un sistema secondario d'emergenza che veniva usato pochissimo. Non riusciva a immaginare i ramani a meno che non fossero fanatici dell'esercizio fisico di una specie sconosciuta sulla Terra) che salivano e scendevano quelle interminabili scale. Forse le tre gradinate che formavano un'enorme Y erano servite solo durante il periodo di costruzione di Rama, e in seguito non erano più state usate. Per il momento, questa teoria poteva anche reggere, eppure Norton sentiva che era sbagliata.

Nell'ultimo chilometro non scivolarono sulla ringhiera, ma scesero i gradini due alla volta in lunghi salti regolari. L'aveva ordinato Norton perché serviva a esercitare i muscoli di cui avrebbero dovuto per forza servirsi in seguito. Quando la scala terminò, così bruscamente da lasciarli interdetti, si trovarono davanti l'enorme distesa grigia della pianura, debolmente illuminata dal lontanissimo raggio del riflettore e che si perdeva nel buio a poche centinaia di metri di distanza.

Norton seguì il fascio di luce fino alla sua sorgente lontana più di otto chilometri, in alto, sull'asse. Sapeva che Mercer li stava seguendo col cannocchiale e agitò la mano in segno di saluto.

— Qui il Comandante — riferì per radio. — Tutto bene. Nessun problema. Tutto prosegue secondo i piani.

— Bene — rispose Mercer. — Vi osserviamo.

Un attimo di silenzio, poi la voce del Comandante in seconda: — Non basta, Comandante — disse. — Sapete che radio e televisione ci stanno tempestando da una settimana. Non esigono un romanzo, ma qualche particolare in più potreste anche fornircelo.

— Ci proverò — rispose Norton. — Ma ricordate che per ora non si vede ancora niente. È come… be', come stare su un palcoscenico enorme e copletamente buio, con un unico riflettore. I primi cento scalini della gradinata salgono fino a confondersi col buio sovrastante. Da quel po' che possiamo vedere, la pianura sembra perfettamente piatta. La curvatura è così ampia da essere impercettibile in una zona limitata. Non c'è altro.

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