E subito, secondo il racconto della ragazza, lo presentò a tutti coloro che stavano pranzando alla mensa della filiale come un noto specialista per l’organizzazione di club di canto corale.
I volti dei futuri alpinisti s’incupirono, ma il direttore invitò subito tutti a star su di morale e lo specialista scherzò e fece lo spiritoso e giurò che il canto porta via pochissimo tempo, mentre se ne ricava un utile a carrettate.
Naturalmente, disse la ragazza, per primi saltarono su Fanov e Kosarcuk, ben noti leccapiedi della filiale, e dichiararono che s’iscrivevano subito. Gli altri impiegati allora si convinsero che cantare era inevitabile, e dovettero iscriversi anche loro. Decisero di dedicarsi al canto nell’intervallo di mezzogiorno, perché tutto il tempo rimanente era già impegnato da Lermontov e dalla dama. Per dare il buon esempio, il direttore dichiarò che aveva una voce tenorile, poi tutto si svolse come in un brutto sogno. Il maestro del coro, il tipo a quadretti, urlò:
— Do-mi-sol-do! — trasse fuori i piú timidi da dietro gli armadi, dove questi tentavano di salvarsi dal canto, disse a Kosarcuk che aveva un orecchio perfetto, cominciò a gemere, a frignare, pregò di non far fare brutta figura al vecchio maestro di cappella canterino, picchiettava il diapason sulle dita, supplicando di attaccare Celebre mare.
Attaccarono. E attaccarono bene. Il tipo a quadretti se ne intendeva davvero. Finirono la prima strofa. Qui il maestro di cappella chiese scusa, disse: «Un minuto soltanto…» e scomparve. Pensavano che sarebbe ritornato un minuto dopo. Ma di minuti ne passarono dieci, e ancora non si vedeva. Gli impiegati della filiale esultarono: era scappato!
Ma a un tratto cominciarono da soli a cantare la seconda strofa. Chi guidò tutti era Kosarcuk che non aveva magari un orecchio perfetto, ma disponeva di una voce tenorile abbastanza gradevole. Cantarono. Il maestro di cappella non c’era! Si diressero ai propri posti, ma non fecero in tempo a sedersi che, contro la propria volontà, presero a cantare. Fermarsi? Magari! Stavano zitti per tre minuti forse, e poi via di nuovo! Tacevano, poi attaccavano ancora! Capirono allora che erano nei guai. Dalla vergogna, il direttore si chiuse a chiave nel suo ufficio!
Il racconto della ragazza s’interruppe a questo punto: la valeriana non era servita proprio a niente.
Un quarto d’ora piú tardi, si avvicinarono all’inferriata nel vicolo Vagan’kovskij tre camion su cui fu caricato l’intero organico della filiale, il direttore in testa.
Non appena il primo camion, traballando nel portone, uscí nel vicolo, gli impiegati che, in piedi sul cassone, si sostenevano l’un l’altro di spalle, spalancarono la bocca e la nota canzone risuonò nel vicolo. Il secondo camion fece eco, e poi anche il terzo. E andarono cosí. I passanti, che correvano per i fatti loro, lanciavano ai camion una rapida occhiata senza stupirsi affatto, pensando che si trattasse di una gita in campagna. Stavano effettivamente andando in campagna, ma non in gita, bensí nella clinica del professor Stravinskij
Mezz’ora dopo, il ragioniere, che aveva completamente perso la testa, arrivò alla sezione finanziaria, sperando di potersi finalmente sbarazzare del denaro dell’ufficio. Reso saggio dall’esperienza, anzitutto diede cautamente una capatina nella sala oblunga dove, dietro ai vetri smerigliati con le scritte dorate, sedevano gli impiegati. Il ragioniere non scorse alcun segno di inquietudine o disordine. Regnava il silenzio, come si conviene in un ente che si rispetti.
Vasilij Stepanovič infilò la testa nello sportello su cui stava scritto: «Incassi», salutò un impiegato che non conosceva, e chiese educatamente un modulo di versamento.
— Perché? — chiese il funzionario dello sportello.
Il ragioniere si stupí.
— Voglio fare un versamento. Sono del Varietà.
— Un attimo, — rispose l’impiegato, e immediatamente chiuse l’apertura con una rete.
«Strano!…», pensò il ragioniere. Il suo stupore era perfettamente naturale. Era la prima volta in vita sua che gli capitava una cosa del genere. È noto a tutti come sia difficile riscuotere del denaro, in questo si possono sempre incontrare ostacoli. Ma nella pratica trentennale del ragioniere, non era mai successo che chiunque, fosse persona giuridica o fisica, avesse fatto difficoltà a incassare denaro. Infine la rete fu scostata, e il ragioniere si strinse di nuovo allo sportello.
— Sono tanti? — chiese il funzionario.
— Ventunmilasettecentoundici rubli.
— Oho! — esclamò il funzionario, con un’inspiegabile ironia, e gli porse un foglietto verde.
Conoscendo bene il modulo, il ragioniere lo riempí in un batter d’occhio e cominciò a slacciare lo spago del pacco. Quando disfece l’involto, gli si abbagliarono gli occhi ed egli mugolò qualcosa con un’espressione di dolore.
Davanti ai suoi occhi balenava denaro straniero: c’erano mazzette di dollari canadesi, sterline inglesi, gulden olandesi, lat lettoni, corone estoni…
— È uno di quelli che fanno i trucchi al Varietà, — si udí una voce minacciosa rimbombare sopra il ragioniere inebetito. E subito Vasilij Stepanovič venne arrestato.
CAPITOLO DICIOTTESIMO
Visitatori sfortunati
Nello stesso momento in cui lo zelante ragioniere attraversava Mosca in tassí per imbattersi nel vestito autoscrivente, da un vagone di prima classe riservato del treno n. 9 proveniente da Kiev, arrivava a Mosca, tra gli altri, un passeggero distinto, con in mano una valigia di fibra. Questo passeggero altri non era che Maksimilian Andreevič Poplavskij, lo zio del defunto Berlioz, un economista pianificatore, che viveva a Kiev nell’ex via Institutskaja. Il motivo del suo arrivo a Mosca era un telegramma che egli aveva ricevuto due giorni prima, a tarda sera, e il cui contenuto era il seguente:
«SONO SCHIACCIATO DA TRAM Al PATRIARŠIE STOP FUNERALE VENERDÌ ORE QUINDICI STOP VIENI — Firmato: BERLIOZ».
Maksimilian Andreevič era considerato, e meritatamente, uno degli uomini piú intelligenti di Kiev. Ma anche l’uomo piú intelligente non saprebbe che pesci pigliare di fronte a un simile telegramma. Se una persona telegrafa che è appena stata schiacciata, è chiaro che non è stata schiacciata a morte. Allora che c’entra il funerale? Oppure sta malissimo e prevede di morire? Non è impossibile, ma allora è oltremodo strana la precisione: come può sapere che il suo funerale avrà luogo venerdí alle tre pomeridiane? Un telegramma sbalorditivo!
Però gli intelligenti sono intelligenti proprio per vederci chiaro nelle cose imbrogliate. Semplicissimo: c’era un errore. Il telegramma era stato trasmesso in modo inesatto. La parola «sono» doveva appartenere a un altro telegramma e aveva sostituito la parola «Berlioz» andata a finire in fondo come firma. Con questa rettifica, il senso del testo diventava chiaro ma, naturalmente, tragico.
Quando si calmò lo scoppio di dolore che aveva colpito la consorte di Maksimilian Andreevič, questi cominciò subito a far le valige per andare a Mosca.
Occorre svelare un segreto di Maksimilian Andreevič.
Non c’è dubbio che sentisse pietà per il nipote della moglie, perito nel fiore degli anni. Ma, naturalmente, da uomo pratico, capiva benissimo che la sua presenza al funerale era tutt’altro che indispensabile. Eppure Maksimilian Andreevič non vedeva l’ora di andare a Mosca. Di che si trattava? Di una cosa sola: l’appartamento. Un appartamento a Mosca, questa sí che era una cosa seria! Chi sa perché, Kiev a Maksimilian Andreevič non piaceva, e il pensiero di trasferirsi a Mosca negli ultimi tempi lo rodeva al punto che aveva persino cominciato a perdere il sonno.