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Qui il gruppo si divise in due gruppi piú piccoli: uno attraversò il portone e il cortile e si diresse verso l’interno sei, l’altro aprí un portoncino abitualmente sprangato che dava sull’ingresso di servizio, ed entrambi cominciarono a salire per due scale diverse verso l’appartamento n. 50.

In quel momento, Korov’ev e Azazello — Korov’ev col suo abbigliamento abituale, e non con il frac festivo — erano seduti nella sala da pranzo e stavano terminando di far colazione. Woland, secondo il suo solito, era in camera da letto. Dove però fosse il gatto, non si sapeva. Ma il fracasso delle pentole che giungeva dalla cucina faceva pensare che Behemoth si trovasse proprio lí, intento a combinar guai, secondo il suo solito.

— Che cosa sono questi passi per le scale? — chiese Korov’ev giocherellando col cucchiaino nella tazza di caffè nero.

— Vengono per arrestarci, — rispose Azazello, e bevette un bicchierino di cognac.

— A-ah!… ma guarda.. — rispose Korov’ev.

Nel frattempo, coloro che salivano la scala principale erano giunti sul pianerottolo del terzo piano. Lí, due idraulici stavano dandosi da fare con un radiatore del termosifone. Quelli che salivano scambiarono con gli idraulici sguardi espressivi.

— Sono tutti in casa, — sussurrò uno degli idraulici, picchiettando un tubo col martello.

Allora quello che apriva il gruppo tolse di sotto il cappotto una nera rivoltella, e un altro, vicino a lui, dei grimaldelli. In genere, quelli che stavano andando nell’appartamento n. 50 erano attrezzati di tutto punto. Due di essi avevano in tasca sottili reti di seta facili da aprire. Un altro aveva un cappio, un altro ancora maschere di garza e fiale di cloroformio.

Bastò un attimo per aprire l’ingresso principale dell’appartamento n. 50, dopo di che si trovarono tutti in anticamera, e la porta che sbatté contemporaneamente in cucina segnalò che anche il secondo gruppo, salito dalla scala di servizio, era arrivato al momento giusto.

Questa volta, riportarono un successo, sia pur parziale. Gli uomini si sparsero istantaneamente nelle stanze e non trovarono nessuno, però in sala da pranzo videro sul tavolo i resti di una colazione evidentemente abbandonata un attimo prima, e in salotto sulla mensola del camino, vicino a una caraffa di cristallo, sedeva un enorme gatto nero. Nelle zampe stringeva un fornello a petrolio.

In un silenzio assoluto, gli uomini entrati nel salotto contemplarono quel gatto per un tempo piuttosto lungo.

— Giaà… mica male, davvero… — sussurrò uno di loro.

— Non faccio scherzi, non tocco nessuno, sto solo aggiustando il fornello, — disse il gatto in tono ostile e imbronciato, — e ritengo pure mio dovere avvertire che il gatto è un animale antico e intoccabile.

— Un lavoro coi fiocchi, — mormorò uno degli uomini mentre un altro diceva con voce chiara e forte:

— Be’, intoccabile gatto ventriloquo, si accomodi qui!

La rete si aprí e volò, ma chi l’aveva lanciata, con grande stupore di tutti, sbagliò il colpo e prese solo la caraffa che si frantumò immediatamente con fracasso.

— Mancato! — sbraitò il gatto. — Urrà! — e abbandonando il fornello, afferrò alle proprie spalle una browning. La puntò in un batter d’occhio contro l’uomo che gli era piú vicino, ma — prima che il gatto avesse il tempo di sparare nella mano dell’uomo divampò una fiammata, e, contemporaneamente allo sparo il gatto stramazzò a testa in giú dalla mensola del camino, lasciando cadere la browning e gettando via il fornello.

— Tutto è finito, — disse con voce debole il gatto, e si distese languidamente in una pozza di sangue, — allontanatevi da me per un attimo, lasciatemi dare l’addio alla terra. Oh, Azazello, amico mio, — gemette il gatto dissanguandosi, — dove sei? — Rivolse verso la porta della sala da pranzo gli occhi che si stavano spegnendo: — Non sei venuto ad aiutarmi nella impari lotta, hai abbandonato il povero Behemoth per un bicchiere di cognac — sia pure ottimo, lo riconosco. Ebbene, che la mia morte ricada sulla tua coscienza; ti lascio in eredità la mia browning…

— La rete, la rete, la rete… — sussurravano voci inquiete intorno al gatto. Ma la rete, il diavolo sa perché, si era impigliata nella tasca di un poliziotto e rifiutava di venirne fuori.

— L’unica cosa che può salvare un gatto mortalmente ferito, — diceva ancora il gatto, — è un sorso di petrolio, e approfittando della confusione, avvicinò la bocca all’apertura rotonda del fornello e trangugiò il petrolio. Immediatamente il sangue che fluiva da sotto la zampa anteriore sinistra si arrestò. Il gatto balzò su vivo e vegeto, si mise il fornello sotto l’ascella, con esso balzò sulla mensola del camino, da lí, stracciando la carta da parati, si arrampicò sul muro, e due secondi dopo era in alto sopra gli uomini, appollaiato su un’asta metallica.

Immediatamente varie mani afferrarono la tenda e la strapparono giú insieme con l’asta, e il sole inondò la stanza prima ombreggiata. Ma né il gatto furfantescamente guarito né il fornello caddero. Senza mollare il fornello, il gatto riuscí a balzare sul lampadario appeso nel centro della stanza.

— Una scala! — gridarono dal basso.

— Vi sfido a duello! — urlò il gatto svolazzando sopra le teste, appeso al lampadario oscillante, e qui nelle sue zampe riapparve la rivoltella, mentre il fornello fu sistemato tra i bracci del lampadario. Prese la mira, e, volando come un pendolo sopra le teste degli uomini, cominciò a sparare contro di loro. Il fracasso scosse l’appartamento. Dal lampadario caddero in terra pezzi di cristallo, lo specchio sul camino s’incrinò a stella, volò polvere di intonaco, saltellarono bossoli sul pavimento, s’infransero i vetri delle finestre, dal fornello colpito cominciò a sprizzare petrolio. Adesso non c’era neppure da pensarci di prendere il gatto vivo, e i sopraggiunti gli rispondevano sparando con furia e precisione rivoltellate nella testa, nella pancia, nel petto e nella schiena. La sparatoria suscitò il panico nel cortile asfaltato.

Ma la sparatoria durò pochissimo tempo e si placò da sé. Il fatto è che non causava danno alcuno né al gatto né agli uomini. Non solo non vi furono morti, ma neppure feriti. Tutti — compreso il gatto — rimasero illesi. Uno degli uomini, per verificare il fatto in modo definitivo, scaricò cinque pallottole nella testa della maledetta bestia, e il gatto rispose sveltamente con un intero caricatore, sempre con lo stesso risultato: la cosa non fece impressione a nessuno. Il gatto si dondolava sul lampadario, le cui oscillazioni diminuivano sempre piú di ampiezza, soffiava nella canna della browning e si sputava sulla zampa.

Sul volto degli uomini che stavano in basso in silenzio si dipinse un’espressione di assoluta perplessità. Era l’unico caso — o uno degli unici casi — in cui una sparatoria si dimostrava totalmente inefficace. Si poteva supporre naturalmente che la browning del gatto fosse una semplice rivoltella scacciacani, ma lo stesso non si poteva di certo affermare delle armi della polizia. La prima ferita del gatto, circa la quale, evidentemente, non c’era alcun dubbio, non era stata che un trucco e una sconcia finta, come, del resto la bevuta di petrolio.

Fecero ancora un tentativo per catturare il gatto. Fu lanciato il cappio, ma questo s’impigliò in una delle candele, e il lampadario rovinò a terra. Sembrò che il suo tonfo facesse tremare l’intero edificio, ma non successe niente di straordinario. I presenti furono innaffiati di frammenti mentre il gatto volava per aria e andò a sedersi in alto, sotto il soffitto, sulla parte superiore della cornice dorata dello specchio sul camino. Non aveva la minima intenzione di fuggire, anzi, seduto in un luogo relativamente sicuro, iniziò un discorso:

— Non capisco proprio, — diceva dall’alto, — le cause di un trattamento cosí brutale…

Questo discorso fu interrotto sin dall’inizio da una voce greve e bassa che giunse da chi sa dove:

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