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Poco dopo lo si poteva vedere mentre entrava nel portone del cortile di Caifa. Poco piú tardi, mentre lasciava questo stesso cortile.

Dopo la visita al palazzo, in cui erano già stati accesi candelabri e torce e dove ferveva il trambusto festivo, il giovane camminò con passo ancora piú allegro e vivace, e ritornò verso la città bassa. Proprio all’angolo dove la strada sboccava nella piazza del mercato, nel ribollire della calca, lo oltrepassò, con andatura di danza, una donna snella dal velo abbassato fin sugli occhi. Superando il bel giovanotto, la donna sollevò per un istante il velo, lanciò un’occhiata al giovane, ma non solo non rallentò il passo, bensí l’affrettò come se volesse nascondersi da colui che aveva superato.

Il giovane non solo notò la donna, no: la riconobbe, e riconosciutala, trasalí, si fermò guardandole perplesso la schiena, e di colpo si gettò a inseguirla. Facendo quasi cadere un passante con una caraffa in mano, il giovane raggiunse la donna e, col respiro pesante per l’emozione, l’apostrofò:

— Nisa!

La donna si voltò, socchiuse gli occhi, sul suo volto si dipinse un gelido fastidio, quindi rispose in greco:

— Ah, sei tu, Giuda? Non ti ho riconosciuto subito. Del resto, meglio cosí. Da noi si dice che chi non viene riconosciuto diventerà ricco…

Emozionato al punto che il suo cuore cominciò a saltare come un uccello coperto da un velo nero, Giuda chiese in un rotto sussurro, temendo di farsi udire dai passanti:

— Ma dove vai, Nisa?

— Che te ne importa? — rispose Nisa rallentando il passo e guardando Giuda con alterigia.

Allora nella voce di Giuda si udí un’intonazione infantile, ed egli sussurrò smarrito:

— Ma come… Se eravamo d’accordo… Volevo passare a casa tua, avevi detto che saresti stata in casa tutta la sera…

— Oh, no, no, — rispose Nisa, e sporse il labbro inferiore con un’espressione capricciosa, e a Giuda sembrò che il suo volto, il volto piú bello che avesse mai visto in vita sua, diventasse ancora piú bello, — mi sono annoiata. Voi avete la festa, ma io che dovrei fare? Starmene lí ad ascoltarti sospirare sul terrazzo? E per di piú, temere che la serva glielo vada a riferire? No, no, ho deciso: vado fuori città ad ascoltare il canto degli usignoli.

— Come fuori città? — chiese smarrito Giuda. — Da sola?

— Naturalmente, da sola, — rispose Nisa.

— Permettimi di accompagnarti, — chiese Giuda ansando. I suoi pensieri si erano fatti confusi, aveva dimenticato ogni cosa al mondo, e guardava con occhi supplici gli occhi azzurri di Nisa, che ora sembravano neri.

Nisa non rispose e affrettò il passo.

— Perché non dici niente, Nisa? — chiese querulo Giuda adattando la sua andatura a quella di lei.

— Non mi annoierò con te? — chiese all’improvviso Nisa fermandosi. Allora i pensieri di Giuda si confusero del tutto.

— Ma sí, — si addolcí infine Nisa, — andiamo pure.

— Ma dove, dove?

— Aspetta… entriamo in questo cortile e mettiamoci d’accordo, se no, temo che qualche conoscente mi veda e dica a mio marito che mi sono trovata col mio amante per strada.

Nel mercato non si videro piú né Nisa né Giuda: stavano sotto un portone a confabulare.

— Vai nel podere degli ulivi, — sussurrava Nisa tirandosi il velo sugli occhi e voltando la schiena a un uomo che entrava nel portone con un secchio in mano, — a Getsemani oltre il Kedron, hai capito?

— Sí, sí, sí…

— Io andrò avanti, — continuava Nisa, — ma tu non seguirmi da vicino, stai lontano da me. Io vado avanti… Quando avrai attraversato il torrente… Sai dov’è la grotta?

— Sí, lo so…

— Passerai oltre il frantoio, andrai su e girerai verso la grotta. Ti attenderò lí. Ma guai se mi segui subito, devi avere pazienza, aspetta qui, — con queste parole, Nisa uscí dal portone come se non avesse neppure parlato con Giuda.

Giuda rimase fermo da solo per un po’, cercando di concentrare i propri pensieri dispersi. Tra l’altro, si chiedeva come avrebbe spiegato ai familiari l’assenza dal pranzo festivo. Giuda cercava d’inventare una qualsiasi bugia, ma per l’emozione non gli venne in mente nulla e allora uscí lentamente dal portone.

Adesso cambiò direzione, non si affrettava piú verso la città bassa, ma svoltò invece verso il palazzo di Caifa. La festa era già irrotta nella città. Intorno a Giuda non solo alle finestre brillavano le luci, ma si udivano già i canti rituali. Sulla strada, i ritardatari incitavano gli asinelli, li frustavano, li ingiuriavano. I piedi di Giuda volavano, ed egli non si accorse come gli sfuggissero ai lati le tremende torri Antonie coperte di muschio, non sentí neanche l’urlo delle trombe nella fortezza, non fece caso a una pattuglia romana a cavallo con una torcia che inondò la sua strada d’una luce inquieta.

Passando accanto alla torre, Giuda si voltò e vide che a un’immensa altezza sopra il tempio erano stati accesi due giganteschi candelabri a cinque bracci. Ma Giuda li vide anch’essi come in una nebbia. Gli sembrò che sopra Jerushalajim vi fossero accese dieci lampade di grandezza mai vista, che facevano a gara con la luce di una lampada unica che si alzava sempre di piú sopra Jerushalajim: la luna.

Adesso a Giuda non interessava nulla, si affrettava verso la porta di Getsemani, voleva lasciare la città al piú presto. A volte gli sembrava che davanti a lui, tra le schiene e i volti dei passanti, balenasse una figura dall’andatura danzante che lo guidava. Ma era un abbaglio. Giuda capiva che Nisa era molto piú avanti di lui. Corse oltre le botteghe dei cambiavalute e giunse infine alla porta di Getsemani. Lí, pur ardendo d’impazienza, fu costretto a fermarsi. In città stavano entrando i cammelli, seguiti da una pattuglia militare siriana, che Giuda maledí in cuor suo…

Ma tutto ha una fine. L’impaziente Giuda era già oltre le mura della città. Alla sua sinistra, vide un piccolo cimitero, e, vicino, alcune tende a strisce di pellegrini. Attraversata la strada polverosa inondata dalla luna, Giuda si affrettò verso il torrente Kedron per attraversarlo. L’acqua gorgogliava lievemente intorno ai suoi piedi. Saltando da una pietra all’altra, giunse finalmente alla riva opposta, quella di Getsemani, e con grande gioia vide che la strada tra i giardini era deserta. Si vedeva poco lontano il cancello mezzo distrutto dell’oliveto.

Dopo l’afa cittadina, Giuda fu colpito dal profumo inebriante della notte primaverile. Attraverso lo steccato si riversava dal giardino un’ondata di profumo di mirti e acacie proveniente dai prati di Getsemani.

L’ingresso non era sorvegliato, nei suoi pressi non c’era nessuno e, alcuni minuti dopo, Giuda correva sotto l’ombra misteriosa di enormi ulivi frondosi. La strada era erta. Giuda saliva, col respiro affannoso, uscendo a volte dall’ombra per trovarsi su ornati tappeti di luce lunare che gli ricordavano i tappeti visti nella bottega del geloso marito.

Poco dopo balenò alla sua sinistra, su un prato, il frantoio con la pesante macina di pietra e un mucchio di barili. Nel giardino non c’era nessuno; i lavori erano stati terminati al tramonto, e adesso risuonavano in alto cori di usignoli.

La meta di Giuda era vicina. Sapeva che a destra, nell’oscurità, avrebbe subito udito il lieve sussurrio dell’acqua che cadeva nella grotta. Difatti percepí quel suono. Faceva sempre piú fresco. Rallentò allora il passo, e chiamò sommesso:

— Nisa!

Ma, invece di Nisa, si staccò dal grosso tronco di un ulivo e balzò sulla strada una tarchiata sagoma maschile; qualcosa brillò nella sua mano e subito si spense. Con un leggero grido, Giuda si gettò indietro, ma un secondo uomo gli sbarrò la strada.

Il primo, che era davanti, chiese a Giuda:

— Quanto ti hanno dato? Rispondi, se vuoi salva la vita!

La speranza s’accese nel cuore di Giuda, che gridò con voce terribile:

— Trenta tetradracme! Trenta tetradracme! Ho con me tutto quello che mi hanno dato! Ecco il denaro! Prendetelo, ma lasciatemi la vita!

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