— Sí. Ma lui, — l’ospite chiuse gli occhi, — si è rifiutato di berla.
— Quale dei tre? — chiese Pilato.
— Scusami, egemone! — esclamò l’ospite. — Non ti ho detto il nome? Era Hanozri.
— Pazzo! — disse Pilato, facendo una smorfia. Sotto l’occhio sinistro gli tremò una vena. — Morire bruciato dal sole! Perché rifiutare ciò che è proposto conformemente alla legge? Con quali termini ha rifiutato?
— Ha detto, — rispose l’ospite, chiudendo di nuovo gli occhi, — che ringraziava e che non accusava perché gli toglievano la vita.
— Non accusava chi? — chiese con voce sorda Pilato.
— Questo, egemone, non l’ha detto…
— Non ha tentato di predicare qualcosa in presenza dei soldati?
— No, egemone, questa volta non era loquace. L’unica cosa che ha detto è che, tra i vizi umani, uno dei maggiori è, secondo lui, la codardia.
— A quale proposito lo disse? — l’ospite udí una voce improvvisamente incrinata.
— Non lo si poteva capire. Si comportava in modo strano, come del resto fa sempre.
— In che consisteva la stranezza?
— Tentava continuamente di fissare negli occhi ora uno ora un altro di coloro che lo circondavano, e per tutto il tempo sorrideva d’un sorriso smarrito.
— Nient’altro? — chiese la voce rauca.
— Nient’altro.
Il procuratore urtò la coppa mescendosi del vino. Dopo averla vuotata fino in fondo, disse:
— Si tratta di questo: anche se non siamo in grado di scoprire — almeno per ora — suoi ammiratori o seguaci, tuttavia non si può garantire che non ne esistano.
L’ospite ascoltava con attenzione, chinando la testa.
— Perciò, ad evitare sorprese di qualsiasi genere, — continuava il procuratore, — ti prego di far scomparire immediatamente e senza rumore dalla faccia della terra i corpi dei tre giustiziati e di seppellirli in segreto, in modo che non se ne senta piú parlare.
— Ubbidisco, egemone, — disse l’ospite, e si alzò dicendo: — Data la complessità e la responsabilità della cosa, permettimi di andare subito.
— No, siedi ancora un istante, — disse Pilato, fermandolo con un gesto, — ci sono ancora due questioni. La prima: le tue immense benemerenze nel difficilissimo lavoro di capo del servizio segreto presso il procuratore della Giudea mi danno la gradita possibilità di farne rapporto a Roma.
A queste parole, il volto dell’ospite divenne roseo; egli si alzò e fece un inchino al procuratore, dicendo:
— Non faccio che compiere il mio dovere al servizio dell’imperatore.
— Ma vorrei pregarti, — continuava l’egemone, — se ti proponessero un trasferimento con una promozione, di rifiutarlo e di restare qui. Non vorrei assolutamente separarmi da te. Ti ricompensino in qualche altro modo.
— Sono felice di servire sotto i tuoi ordini, egemone.
— Ne sono ben lieto. Ora, la seconda questione. Riguarda quel… come si chiama… Giuda di Kiriat.
Qui l’ospite lanciò al procuratore il suo sguardo, e subito, com’era doveroso, lo spense.
— Dicono, — continuò il procuratore abbassando la voce, — che abbia ricevuto del denaro per aver accolto cosí cordialmente a casa sua quel filosofo pazzo.
— Ne riceverà, — lo corresse sommesso il capo del servizio segreto.
— Una grossa somma?
— Questo non lo può sapere nessuno, egemone.
— Neanche tu? — chiese l’egemone, la cui sorpresa equivaleva a una lode.
— Ahimè, neanch’io, — rispose calmo l’ospite. — Ma che riceverà il denaro questa sera, lo so. È stato convocato per oggi al palazzo di Caifa.
— Ah, l’avido vecchio di Kiriat, — osservò il procuratore sorridendo; — è un vecchio, nevvero?
— Il procuratore non sbaglia mai, ma questa volta si è sbagliato, — rispose affabile l’ospite. — L’uomo di Kiriat è un giovanotto.
— Ma no! Mi puoi dire qualcosa di lui? È un fanatico?
— Oh no, procuratore.
— Bene. Qualcos’altro?
— È bellissimo.
— E poi? Ha forse qualche passione?
— È difficile conoscere a fondo tutti in questa immensa città, procuratore…
— Oh no, no, Afranio! Non sminuire i tuoi meriti!
— Ha una passione, procuratore — . L’ospite fece una brevissima pausa. — La passione del denaro.
— Che fa?
Afranio alzò gli occhi al cielo, rifletté un istante, poi disse:
— Lavora nella bottega di un cambiavalute suo parente.
— Ah, già, già, già, già… — Qui il procuratore tacque, si voltò a guardare che non vi fosse nessuno sul balcone, e disse con voce sommessa: — Ecco di che si tratta: oggi ho saputo che stanotte lo ammazzeranno.
Qui non solo l’ospite lanciò il suo sguardo sul procuratore, ma ve lo trattenne addirittura un istante, poi rispose:
— Tu, procuratore, hai dato un giudizio troppo lusinghiero su di me. Non credo di meritare il tuo rapporto. Non ho notizie del genere.
— Tu sei degno della piú alta ricompensa, — rispose il procuratore, — ma queste notizie esistono.
— Posso permettermi di chiedere da dove provengono?
— Consentimi di non dirlo per ora, tanto piú che sono notizie casuali, oscure e dubbie. Ma sono obbligato a prevedere tutto. È questo il mio incarico, ma, soprattutto, ho fede nel mio presentimento che non mi ha mai ingannato. Le informazioni sono queste: un ignoto amico di Hanozri, sdegnato dal mostruoso tradimento di quel cambiavalute, si sta accordando coi suoi complici per ucciderlo questa notte, e fare avere di nascosto il denaro del tradimento al gran sacerdote con il biglietto: «Restituisco il denaro maledetto».
Il capo del servizio segreto non lanciò piú occhiate inattese all’egemone, e continuò ad ascoltarlo strizzando gli occhi, mentre Pilato proseguiva:
— Pensa un po’, al gran sacerdote farà piacere ricevere un regalo cosí in una notte di festa?
— Non solo non gli farà piacere, — rispose l’ospite con un sorriso, — ma immagino, procuratore, che questo causerà un grosso scandalo.
— Sono dello stesso parere. Proprio per questo ti prego di occuparti di questa faccenda, cioè di prendere le misure opportune per proteggere Giuda di Kiriat.
— L’ordine dell’egemone sarà eseguito, — disse Afranio, — ma devo tranquillizzarlo: il proposito dei malfattori è assai difficilmente realizzabile. Basta pensare, — senza smettere di parlare, l’ospite si voltò e proseguí: — pedinare un uomo, ammazzarlo, e per di piú sapere quanto ha preso e riuscire a restituire il denaro a Caifa, e tutto questo in una sola notte! Oggi!
— Eppure lo ammazzeranno oggi, — ripeté Pilato con ostinazione. — Ti dico che ne ho il presentimento! Non è mai successo che m’ingannasse! — Il volto del procuratore fu percorso da una smorfia, ed egli si fregò in fretta le mani.
— Ubbidisco, — rispose l’ospite docilmente, si alzò, si drizzò, e all’improvviso chiese con severità: — Allora lo ammazzeranno, egemone?
— Sí, — rispose Pilato, — e ogni speranza è riposta nella tua sbalorditiva efficienza.
L’ospite si aggiustò il pesante cinturone sotto il mantello e disse:
— Ti saluto, ti auguro salute e gioia!
— Ah sí, — esclamò sommessamente Pilato, — me ne ero dimenticato! Ti sono debitore!…
L’ospite si stupí:
— Davvero, procuratore, non mi devi niente.
— Ma come? Quando arrivai a Jerushalajim, ricordi, la folla di mendicanti… volevo buttar loro del denaro, ma non ne avevo con me, e ne presi da te.
— Oh, procuratore, è un’inezia!
— Bisogna ricordare anche le inezie — . Pilato si voltò, sollevò il mantello che stava sulla scranna dietro di lui, prese una borsa di pelle che si trovava sotto ad esso e la tese all’ospite. Questi fece un inchino accettandola, e la nascose sotto il suo mantello.
— Aspetto, — disse Pilato, — la relazione sulla sepoltura nonché su Giuda di Kiriat questa notte stessa, mi senti, Afranio, oggi. La guardia avrà l’ordine di svegliarmi non appena tu arriverai. Ti aspetto.
— Ti saluto, — disse il capo del servizio segreto e voltandosi, uscí dal balcone. Si udí la sabbia bagnata scricchiolare sotto i suoi piedi, poi si sentí lo scalpiccio dei suoi stivali sul marmo tra i leoni, poi gli sparirono le gambe, il torso, e infine scomparve anche il cappuccio. Solo allora il procuratore si accorse che il sole non c’era piú, e che era sopraggiunto il crepuscolo.