— Come si chiama? — chiese Margherita.
— Be’, a dire il vero, non lo so ancora neppur io, — rispose Korov’ev, — bisogna domandare ad Azazello.
— E chi è con lui?
— Be’, quello stesso suo scrupoloso subordinato. Felicissimo! — gridò Korov’ev agli ultimi due.
Lo scalone era deserto. Per prudenza aspettarono ancora un poco. Ma dal camino non usciva piú nessuno.
Un attimo dopo, senza capire come fosse successo, Margherita si ritrovò nella stanza della vasca, e qui, piangendo per il dolore al braccio e alla gamba, cadde in terra di schianto. Ma Hella e Nataša, confortandola, la trassero di nuovo sotto la doccia di sangue, di nuovo le massaggiarono il corpo, e Margherita si sentí rivivere.
— Ancora, ancora, regina Margot, — sussurrò Korov’ev, apparso accanto a lei, — deve fare a volo il giro della sala affinché gli spettabili ospiti non si sentano abbandonati.
E Margherita volò di nuovo fuori della stanza con la vasca. Sul palco dietro i tulipani, dove prima suonava l’orchestra del re dei valzer, adesso infuriava un jazz di scimmie. Un gigantesco gorilla dalle fedine irsute dirigeva, con una tromba in mano, ballonzolando pesantemente. In una sola fila sedevano degli orangutàn che soffiavano nelle trombe luccicanti. Allegri scimpanzé con le fisarmoniche sedevano a cavalcioni sulle loro spalle. Due amadriadi dalle criniere simili a quelle dei leoni, suonavano ai pianoforti, e questi pianoforti non si sentivano in mezzo al rombo allo strimpellio e ai tonfi dei sassofoni, dei violini e dei tamburi fra le zampe dei gibboni, dei mandrilli e delle bertucce. Sul pavimento di specchi una moltitudine innumerevole di coppie, come fuse insieme, sorprendenti per l’agilità e la precisione dei movimenti, girando in un solo senso, avanzavano come un muro, minacciando di spazzar via tutto sul loro cammino. Farfalle di raso vive si tuffavano sopra le schiere danzanti, dal soffitto piovevano fiori. Nei capitelli delle colonne, quando si spegneva la luce elettrica, s’accendevano miriadi di lucciole e nell’aria vagavano fuochi fatui.
Poi Margherita si trovò in una piscina di spropositate dimensioni, incorniciata da un colonnato. Un gigantesco Nettuno nero eruttava dalle fauci un largo flutto roseo. Un odore inebriante di champagne saliva dalla vasca. Qui regnava un’allegria sfrenata. Le signore, ridendo, consegnavano le borsette ai loro cavalieri o ai negri che correvano con lenzuola fra le mani, poi con un grido si slanciavano come rondini nella piscina. Colonne di spuma schizzavano in alto. Il fondo cristallino della piscina brillava di una luce proveniente da sotto che trapelava dalla massa del vino e rischiarava i corpi argentei delle nuotatrici. Le donne saltavano fuori dalla vasca completamente ubriache. Le risate squillavano sotto le colonne e rimbombavano come jazz.
In mezzo a tutta questa baraonda rimase impresso nella memoria un volto di donna ubriaca fradicia, dagli occhi inebetiti, ma imploranti anche nell’ebetudine, e rimase il ricordo di una parola: «Frida».
L’odore di vino cominciava già a far girar la testa a Margherita, ed essa voleva andarsene, ma il gatto allestí nella piscina un numero di varietà che la trattenne. Behemoth eseguí non si sa quali manipolazioni magiche attorno alle fauci del Nettuno e di colpo l’ondeggiante massa di champagne si ritirò frizzando e rumoreggiando dalla piscina e il Nettuno cominciò a eruttare un’onda di color giallo scuro che non spumeggiava. Le signore strillarono e urlarono:
— È cognac!! — e dall’orlo della piscina si ritrassero precipitosamente dietro le colonne. Dopo pochi secondi la piscina fu piena e il gatto, rotando in aria tre volte su se stesso, piombò nel cognac ondeggiante. Tornò a galla sbuffando con la cravatta ammosciata, avendo perso la doratura dei baffi e il binocolo. Una sola coppia si decise a seguire l’esempio di Behemoth: quella tale sarta ingegnosa e il suo cavaliere, uno sconosciuto giovane mulatto. Entrambi si gettarono nel cognac, ma a quel punto Korov’ev prese Margherita per il braccio ed essi abbandonarono i bagnanti.
Sembrò a Margherita d’aver sorvolato un sito dove aveva visto montagne di ostriche in enormi stagni pietrosi.
Poi era volata sopra un pavimento di vetro sotto al quale ardevano fornelli infernali, e in mezzo ad essi si agitavano diabolici cuochi bianchi. Poi, chi sa dove, avendo ormai cessato di capirci qualcosa, aveva visto certe cantine buie in cui alcune ragazze avevano servito carne sfrigolante sui carboni ardenti e s’era bevuto alla sua salute, vuotando grandi bicchieri. Poi aveva visto degli orsi bianchi che suonavano la fisarmonica e ballavano la danza dei moscerini su un palcoscenico. È un giocoliere-salamandra che non bruciava nel camino… E per la seconda volta essa era allo stremo delle sue forze.
— Un ultimo giro, — le bisbigliò Korov’ev, preoccupato, — e saremo liberi.
Scortata da Korov’ev, essa apparve di nuovo nella sala da ballo, ma adesso non ballavano piú, e la folla innumerevole degli ospiti si assiepava fra le colonne, lasciando libero il centro della sala. Margherita non ricordava chi l’aiutasse a salire su un podio apparso in mezzo allo spazio libero della sala. Quando vi fu salita, sentí con sua meraviglia che da qualche parte scoccava la mezzanotte mentre, secondo i suoi calcoli, doveva essere passata da un pezzo.
Con l’ultimo rintocco dell’orologio che non si sapeva dove fosse, il silenzio cadde sulla folla degl’invitati.
Fu allora che Margherita rivide Woland. Egli veniva avanti, attorniato da Abadonna, Azazello e da alcuni altri, bruni e giovani, somiglianti ad Abadonna. Margherita s’accorse allora che di fronte al suo podio ne era stato preparato un altro, per Woland. Ma egli non ne fece uso. Margherita fu colpita dal fatto che per quest’ultimo grande giro del ballo Woland si presentasse esattamente nello stesso stato in cui era in camera da letto. La medesima camicia sudicia e rattoppata gli pendeva dalle spalle ai piedi aveva delle ciabatte scalcagnate. Woland portava la spada, ma di questa spada sguainata si serviva come d’un bastone, appoggiandosi ad essa.
Zoppicando leggermente, Woland si fermò accanto al suo podio, e subito Azazello comparve dinanzi a lui con un piatto fra le mani, e sopra questo piatto Margherita vide la testa tagliata d’un uomo coi denti davanti rotti. Continuava a regnare il piú completo silenzio, che fu interrotto soltanto una volta da una scampanellata, lontana, incomprensibile in quelle circostanze, come se qualcuno avesse suonato all’ingresso principale.
— Michail Aleksandrovič, — disse Woland con voce contenuta, rivolgendosi alla testa, e allora le palpebre dell’ucciso si sollevarono, e sul volto morto Margherita, rabbrividendo, vide gli occhi vivi, pieni di pensiero e di sofferenza.
— Tutto si è avverato, nevvero? — continuò Woland guardando la testa negli occhi. — La testa è stata tagliata da una donna, la seduta non ha avuto luogo e io abito nel suo appartamento. Questo è il fatto. E il fatto è la cosa piú ostinata del mondo. Ma adesso c’interessa quel che accadrà ulteriormente, e non un fatto già compiuto. Lei è sempre stato un ardente fautore della teoria che, una volta tagliata la testa, la vita cessa nell’uomo, egli si converte in cenere e se ne va nel non essere. Mi è gradito comunicarle in presenza dei miei ospiti, sebbene essi servano di prova a una teoria del tutto diversa, che la sua teoria è seria e ingegnosa. Del resto, tutte le teorie si equivalgono. Fra di esse ce n’è anche una secondo cui a ognuno verrà dato secondo la sua fede. Si avveri pure questo! Lui se n’andrà nel non essere, e io avrò il piacere di bere alla salute dell’essere dalla coppa in cui si convertirà!
Woland alzò la spada. Subito i tegumenti della testa si scurirono e si rattrappirono, poi si staccarono a pezzi, gli occhi scomparvero e ben presto Margherita vide sul piatto un cranio giallognolo con occhi di smeraldo e denti di perla, montato su un piede d’oro. La calotta cranica, aperta, pendeva da una cerniera.