— Come sono felice, oh, ottima regina, che mi sia toccato il grande onore… — sussurrò la Tofana col fare d’una monaca, tentando di mettersi in ginocchio, impedita com’era dalle stanghette. Korov’ev e Behemoth l’aiutarono a rialzarsi.
— Sono lieta, — le rispose Margherita, porgendo nel contempo la mano agli altri.
Per lo scalone stava ormai salendo una fiumana di gente. Margherita aveva cessato di vedere quel che accadeva nell’atrio. Essa alzava e abbassava meccanicamente il braccio e sorrideva allo stesso modo a tutti gl’invitati. Sul pianerottolo c’era già un rombo nell’aria, dalle sale da ballo, che Margherita aveva abbandonato, la musica arrivava come un mare.
— Quella sí è una donna noiosa, — disse forte Korov’ev, che non sussurrava piú, sapendo che nel frastuono delle voci la sua non si sarebbe piú sentita, — adora i balli e non pensa ad altro che a lagnarsi del suo fazzoletto.
Fra quelli che stavano salendo, Margherita scoperse con un’occhiata colei alla quale Korov’ev accennava. Era una giovane donna di una ventina d’anni, con un corpo insolitamente bello, ma con occhi irrequieti e insistenti.
— Che fazzoletto? — domandò Margherita.
— La cameriera adibita a lei, — spiegò Korov’ev, — le mette da trent’anni un fazzoletto sul tavolino da notte. Quando essa si sveglia, il fazzoletto è già lí. L’ha già bruciato nella stufa e annegato nel fiume, ma non serve a niente.
— Che fazzoletto? — sussurrò Margherita, alzando e abbassando il braccio.
— Un fazzoletto con un orlino blu. Il fatto è che quando essa era a servizio in un caffè, una volta il padrone la chiamò nella dispensa, e dopo nove mesi essa diede alla luce un bimbo, lo portò nel bosco e gli ficcò in bocca il fazzoletto, poi sotterrò il bimbo. In tribunale disse che non aveva di che mantenere il bambino.
— E dov’era il padrone di quel caffè? — chiese Margherita.
— Regina, — stridette da giú il gatto, — mi permetta di domandarle cosa c’entra il padrone. Non fu mica lui a soffocare il bimbo nel bosco!
— Mascalzone, se ancora una volta ti permetti di metter bocca nel discorso…
Behemoth cacciò uno strillo che non aveva nulla di festoso e borbottò:
— Regina… mi si gonfierà l’orecchio… perché rovinare il ballo con un orecchio gonfio?… Ho parlato da giurista, da un punto di vista giuridico… Ammutolisco, ammutolisco, faccia conto che non sia un gatto, ma un pesce, ma molli il mio orecchio!
Margherita mollò l’orecchio, e gli occhi cupi e insistenti apparvero davanti a Margherita.
— Sono felice, regina — padrona di casa, d’essere invitata al gran ballo del plenilunio!
— E io sono lieta di vederla, — le rispose Margherita, molto lieta. Le piace lo champagne?
— Cosa sta facendo, regina? — gridò Korov’ev con voce disperata ma sommessa nell’orecchio di Margherita. — Si produrrà un ingorgo.
— Sí, mi piace, — disse la donna con tono implorante e a un tratto si mise a ripetere meccanicamente: — Frida, Frida, Frida! Mi chiamo Frida, oh, regina!
— Si ubriachi questa sera, Frida, e non pensi a nulla, disse Margherita.
Frida tese le due mani a Margherita, ma Korov’ev e Behemoth l’afferrarono svelti per le braccia, ed essa scomparve nella calca.
Da giú, ormai, la folla saliva compatta come una muraglia, quasi volesse dar l’assalto al pianerottolo sul quale stava Margherita. Corpi ignudi di donne spiccavano fra gli uomini in marsina. Corpi bruni e bianchi, del colore di un chicco di caffè o del tutto neri affluivano verso Margherita. Nel torrente di luce, tra i capelli rossi, neri, castani, biondo lino, le pietre preziose brillavano e danzavano, mandavano scintille. E come se qualcuno avesse sparso gocce di luce sulla colonna degli uomini che muoveva all’assalto, i bottoni di brillanti sprizzavano luce dai petti. Ogni secondo, ormai, Margherita sentiva labbra che le sfioravano il ginocchio, ogni secondo porgeva la mano al bacio. Il suo volto s’era irrigidito in un’immobile maschera di benvenuto.
— Felicissimo, — cantilenava Korov’ev, — siamo felicissimi… la regina è felicissima…
— La regina è felicissima… — naseggiava Azazello alle sue spalle.
— Felicissimo! — gridava il gatto.
— La marchesa, — mormorava Korov’ev, — ha avvelenato il padre, due fratelli e due sorelle per impadronirsi dell’eredità… La regina è felicissima!… La signora Minkina… Ah, com’è carina! È un po’ nervosa. Ma perché ha bruciato il viso della cameriera col ferro da ricci? Certo stando cosí le cose, l’avrebbero ammazzata… La regina è felicissima… Un attimo d’attenzione, regina! L’imperatore Rodolfo, mago e alchimista… Un altro alchimista, impiccato… Toh, anche lei… Ah, che meraviglioso postribolo aveva a Strasburgo!… Siamo felicissimi!… Una sarta di Mosca, noi tutti le vogliamo bene per la sua inesauribile fantasia… Possedeva un atelier e aveva escogitato una cosa molto buffa: aveva praticato nella parete due piccoli buchi rotondi…
— E le signore non lo sapevano? — domandò Margherita.
— Tutte quante lo sapevano, regina, — rispose Korov’ev. — Sono felicissimo!… Questo ragazzotto ventenne si era distinto fin dall’infanzia per certe sue strane qualità, era un sognatore e un originale. Una fanciulla se ne innamorò e lui, un bel giorno, la vendette a un bordello…
Da basso scorreva un fiume di cui non si vedeva la fine.
Le sue sorgenti, il gigantesco camino, continuavano ad alimentarlo. Cosí trascorse un’ora ed ebbe inizio la seconda ora. A questo punto Margherita cominciò a notare che la sua catena s’era fatta piú pesante di quanto non fosse prima. Anche al suo braccio era successo qualcosa di strano. Prima di poterlo alzare, essa doveva fare una smorfia. Le argute osservazioni di Korov’ev avevano cessato d’interessarla. Sia le facce mongole dagli occhi strabici, sia quelle bianche o nere le erano divenute indifferenti, ogni tanto si fondevano insieme e l’aria frammezzo a loro cominciava chi sa perché a tremolare e a fluire. Un dolore acuto, come prodotto da un ago le trafisse all’improvviso il braccio destro, e, stringendo i denti, essa appoggiò il gomito sulla colonna. Un fruscio, come d’ali lungo le pareti, giungeva adesso dalla sala alle sue spalle e si capiva che laggiú le sterminate schiere d’invitati stavano ballando, sembrava a Margherita che anche i pavimenti massicci di marmo, di mosaico e di cristallo pulsassero ritmicamente in quella strana sala.
Né Caio Cesare Caligola, né Messalina interessarono piú Margherita, cosí come non l’interessò nessuno dei re, duchi, cavalieri, suicidi, avvelenatrici, impiccati, ruffiane, aguzzini e truffatori, carnefici, delatori, traditori, pazzi, spie, corruttori. Tutti i loro nomi le si confondevano nella testa, le loro facce si spiaccicavano insieme in un’unica enorme schiacciata, e di un solo viso rimase il ricordo tormentoso, il viso di Maljuta Skuratov,[20] incorniciato da una barba veramente di fuoco. Le gambe di Margherita si piegavano, essa temeva di scoppiare a piangere da un momento all’altro. Quel che piú la faceva soffrire, era il ginocchio destro, che continuavano a baciarle. Era gonfio, la sua pelle s’era illividita, sebbene la mano di Nataša fosse apparsa piú volte accanto a quel ginocchio, con una spugna e l’avesse frizionato con qualcosa di profumato. Verso la fine della terza ora Margherita guardò giú con occhi del tutto privi di speranza e trasalí di gioia: il flusso degli invitati diradava.
— L’arrivo degli invitati a un ballo si svolge sempre secondo le stesse leggi, regina, — sussurrò Korov’ev. — Adesso l’ondata comincerà a decrescere. Le giuro che siamo alla fine delle nostre sofferenze. Laggiú c’è un gruppo di buontemponi del Brochen, che sono sempre gli ultimi ad arrivare. Sí, sí, eccoli. Due vampiri ubriachi… è finita? Macché, eccone un altro… anzi, due!
Gli ultimi due invitati salivano lo scalone.
— Ma questo qui è uno nuovo, — disse Korov’ev, aguzzando l’occhio attraverso il monocolo. — Ah, so chi è. Una volta Azazello andò a trovarlo, e fra un bicchierino di cognac e l’altro gli sussurrò come doveva fare per sbarazzarsi d’una persona delle cui rivelazioni egli aveva una paura matta. E cosí costui ordinò a un conoscente che si trovava alle sue dipendenze di spruzzare veleno sulle pareti del suo ufficio…