Литмир - Электронная Библиотека
Содержание  
A
A

— Tutto è a posto, — disse Azazello. Un attimo dopo era presso gli amanti abbattuti: Margherita giaceva con la faccia affondata nel tappeto. Con le sue mani d’acciaio, Azazello la voltò come una bambola, con il viso verso di sé, e la fissò. Davanti ai suoi occhi, il volto dell’avvelenata cambiava. Perfino nel buio temporalesco che si stava diffondendo, si vedeva sparire il suo temporaneo strabismo di strega, e la crudeltà e la turbolenza dei lineamenti. Il volto della defunta divenne piú puro, e, finalmente, addolcí, e i suoi denti digrignanti non le davano piú un’espressione rapace, ma solo di femmineo dolore. Allora Azazello le dischiuse i bianchi denti e le versò in bocca alcune gocce di quello stesso vino con cui l’aveva avvelenata. Margherita sospirò, cominciò a sollevarsi senza l’aiuto di Azazello, e mettendosi a sedere chiese con voce debole:

— Perché, Azazello, perché? Che cosa mi ha fatto?

Vedendo il Maestro disteso, sussultò e mormorò:

— Questo non me lo aspettavo… assassino!

— Ma no, ma no, — rispose Azazello, — adesso si alzerà. Oh, perché è cosí nervosa?

Margherita gli credette subito, tanto la voce del rosso demonio era convincente. Essa balzò in piedi, energica e viva, e lo aiutò a far bere del vino all’uomo disteso. Aperti gli occhi, quello lanciò un’occhiata cupa e con odio ripeté la sua ultima parola:

— Avvelenatore…

— Eh, l’insulto è la ricompensa abituale di un lavoro ben fatto, — rispose Azazello. — Ma è cieco, lei? Ricuperi presto la vista!

Allora il Maestro si alzò, si guardò intorno con occhi vivi e limpidi, e chiese:

— Che significa questa novità?

— Significa, — rispose Azazello, — che è ora. Già romba il temporale, sente? Si sta facendo buio. I cavalli scalpitano, il giardino sussulta. Salutate lo scantinato, salutate in fretta.

— Ah, capisco, — disse il Maestro guardandosi in giro. Lei ci ha uccisi, noi siamo morti. Che soluzione intelligente! E com’è tempestiva! Adesso ho capito tutto.

— Ma per carità, — rispose Azazello, — proprio lei dice questo? Lei che la sua compagna chiama Maestro, lei, che sta pensando, come può essere morto? Forse che, per considerarsi vivo, bisogna per forza starsene in questo scantinato con la camicia e le mutande dell’ospedale? E ridicolo!…

— Ho capito tutto quello che lei ha detto, — esclamò il Maestro, — inutile continuare! Lei ha mille volte ragione!

— Grande Woland! — echeggiò Margherita, — grande Woland! Ha avuto un’idea molto migliore della mia! Ma il romanzo, il romanzo, — gridava al Maestro, — portati dietro il romanzo, dovunque tu volerai!

— Inutile, — rispose il Maestro, — lo so a memoria.

— Ma non dimenticherai… non dimenticherai neppure una parola? — chiedeva Margherita stringendosi all’amante e asciugandogli il sangue sulla tempia ferita.

— Non preoccuparti. Da questo momento non dimenticherò mai niente, — rispose lui.

— Allora, il fuoco! — esclamò Azazello. — Il fuoco da cui tutto è cominciato e col quale facciamo terminare tutto!

— Il fuoco! — gridò con voce terribile Margherita. La finestra dello scantinato sbatté, il vento spinse da una parte la tenda. Nel cielo risuonò un tuono allegro e breve. Azazello cacciò nella stufa la mano artigliata, ne trasse fuori un tizzone fumante e diede fuoco alla tovaglia sul tavolo. Diede poi fuoco a un pacco di vecchi giornali sul divano, e al manoscritto e alla tendina della finestra.

Il Maestro, già inebriato dall’imminente cavalcata, buttò giú dallo scaffale sul tavolo un libro, ne arruffò le pagine nella tovaglia fiammeggiante, e il libro fu avvolto da un’allegra fiammata.

— Brucia, brucia, vita passata!

— Brucia, sofferenza! — gridava Margherita.

La stanza stava già ondeggiando tra colonne purpuree, e insieme col fumo i tre uscirono di corsa dalla porta, risalirono la scala di pietra e si ritrovarono nel cortile. La prima cosa che videro fu la cuoca del capomastro, seduta in terra. Vicino a lei erano sparpagliate delle patate e alcuni mazzetti di cipolle. Lo stato della cuoca era comprensibile. Tre cavalli neri sbuffavano vicino al ripostiglio, fremevano e, scalpitando, alzavano spruzzi di terra. Margherita balzò in sella per prima, la seguí Azazello, ultimo fu il Maestro. La cuoca, gemendo, voleva alzare la mano per farsi il segno della croce, ma Azazello gridò minaccioso dalla sella:

— Ti taglio la mano! — Gettò un fischio e i cavalli, spezzando i rami dei tigli, si alzarono in volo e s’infilarono in una bassa nuvola nera. Immediatamente dal finestrino dello scantinato il fumo si riversò fuori. Dal basso giunse il debole pietoso grido della cuoca:

— Al fuoco…

I cavalli stavano già volando sopra i tetti di Mosca.

— Voglio salutare la città, — gridò il Maestro ad Azazello che volava davanti. Il tuono inghiottí la fine della frase. Azazello fece un cenno affermativo con la testa e lanciò il cavallo al galoppo. Incontro a loro si precipitava una nuvola, ma non spruzzava ancora pioggia.

Volavano sopra un viale e vedevano minuscole figure di uomini che si disperdevano per ripararsi dalla pioggia. Cadevano le prime gocce. Volarono sopra un nugolo di fumo, tutto quel che rimaneva della casa di Griboedov. Volarono sopra la città, che l’oscurità stava già sommergendo. Sopra di loro fiammeggiavano lampi. Poi i tetti furono sostituiti dal verde. Solo allora la pioggia scrosciò, trasformando i volatori in tre enormi bolle nell’acqua.

Margherita conosceva già la sensazione del volo, ma non la conosceva il Maestro, ed egli si stupí della velocità con la quale arrivarono alla meta, presso colui che egli desiderava salutare perché non c’era nessun altro al quale egli potesse dire addio. Riconobbe subito nel velo della pioggia l’edificio della clinica di Stravinskij, il fiume e il bosco sull’altra riva, che conosceva cosí bene. Si abbassarono su una radura nel bosco, poco distanti dalla clinica.

— Vi aspetterò qui, — gridò Azazello mettendo le mani attorno alla bocca, ora illuminato dai lampi, ora scomparendo nel velo grigio, — salutate, ma sbrigatevi!

Il Maestro e Margherita balzarono dalle selle e volarono, baluginando come ombre d’acqua, attraverso il giardino della clinica. Un attimo dopo, il Maestro con mano pratica scostava l’inferriata del balcone nella stanza n. 117. Margherita lo seguiva. Entrarono da Ivanuška, invisibili e inosservati, tra il fracasso e l’ululo del temporale. Il Maestro si fermò vicino al letto.

Ivanuška, giaceva immobile, come allora, quando per la prima volta osservava il temporale nella casa dove aveva trovato riposo. Ma non piangeva come quella volta. Quando alla fine riuscí a distinguere la sagoma scura che aveva fatto irruzione dal balcone, si sollevò, protese le braccia e disse con gioia:

— Ah, è lei! L’aspettavo, l’aspettavo da tanto! Eccola finalmente, vicino mio!

Il Maestro rispose:

— Sono qui, ma purtroppo non posso piú essere suo vicino. Me ne vado per sempre, e sono venuto solo per salutarla.

— Lo sapevo, l’ho intuito, — rispose sommesso Ivan, e chiese: — Lo ha incontrato?

— Sí, — disse il Maestro, — sono venuto a dirle addio perché lei è l’unica persona con cui io abbia parlato negli ultimi tempi.

Ivanuška si illuminò e disse:

— Ha fatto bene a passare di qui. Io manterrò la mia parola, non scriverò piú poesiucce. Adesso m’interessa altro, — Ivanuška sorrise e guardò con occhi spiritati oltre il Maestro, — voglio scrivere altro. Mentre ero qui, sa, ho capito molte cose.

Il Maestro si emozionò a sentire quelle parole e disse, sedendosi sul bordo del letto:

— Bene, questo sí che è bene. Scriva il seguito su di lui. Gli occhi di Ivanuška fiammeggiarono.

— E lei non lo farà? — Qui abbassò la testa e soggiunse, pensieroso: — Ah sí, che domanda, la mia… — Ivanuška sbirciò il pavimento e guardò spaventato.

— Sí, — disse il Maestro, e la sua voce sembrò a Ivanuška sconosciuta e sorda, — non scriverò piú di lui. Altro mi occuperà.

103
{"b":"115091","o":1}