— Oh tu, tu… — sussurrava Margherita scuotendo la testa spettinata, — uomo di poca fede, infelice!… Io per te ieri ho girato nuda tutta la notte, ho perso la mia natura umana e l’ho sostituita con un’altra, ho passato vari mesi in uno stanzino buio a pensare a una cosa sola, al temporale su Jerushalajim, ho pianto da non poterne piú, e adesso che è caduta su di noi la felicità, tu mi scacci! Va bene, me ne andrò, andrò via, ma sappi che sei un uomo crudele! Ti hanno svuotato l’anima!
Un’amara tenerezza nacque nel cuore del Maestro, e non si sa perché, egli scoppiò a piangere affondando il viso nei capelli di Margherita. Essa, singhiozzando, mentre le sue dita si muovevano sulle tempie del Maestro, gli sussurrava:
— Sí, fili, fili… sotto ai miei occhi la sua testa si copre di neve… oh, povera mia testa, che ha tanto sofferto! Guarda che occhi hai! In essi c’è il deserto… e le spalle, le spalle col fardello… ti hanno rovinato, rovinato… — Le parole di Margherita diventavano slegate, Margherita era scossa dal pianto.
Allora il Maestro si asciugò gli occhi, fece alzare dalle ginocchia Margherita, si alzò pure lui e disse con voce sicura:
— Basta. Mi hai fatto vergognare. Non mi permetterò mai piú di essere pusillanime, e non ritornerò su questo argomento, stai tranquilla. So che siamo tutti e due vittime della nostra malattia psichica che forse io ti ho trasmessa… Va bene, la sopporteremo insieme.
Margherita gli avvicinò le labbra all’orecchio e sussurrò:
— Ti giuro sulla tua vita, ti giuro sul figlio dell’astrologo che tu hai intuíto, tutto andrà per il meglio!
— Va bene, allora, va bene, — rispose il Maestro, e dopo una risata aggiunse: — Certo, la gente a cui è stata tolta ogni cosa, come tu ed io, cerca la salvezza presso una forza ultraterrena! Va bene, sono disposto a cercare là!
— Ecco, ecco, adesso sei quello di prima, ridi, — rispondeva Margherita, — e va’ pure al diavolo con le tue dotte parole. Ultraterreno o non ultraterreno, che cosa importa? Ho fame! — e trascinò per mano il Maestro verso il tavolo.
— Non sono certo che questo cibo non sprofondi subito sotto terra o non voli fuori dalla finestra, — disse egli ormai completamente tranquillo.
— Non volerà via.
In quel preciso istante, si udí dal finestrino una voce nasale:
— La pace sia con voi.
Il Maestro sussultò, mentre Margherita, già assuefatta allo straordinario, esclamò:
— Ma è Azazello! Oh che bello, che simpatico! — e dopo aver sussurrato al Maestro: — Vedi, vedi: non ci dimenticano! — si precipitò ad aprire.
— Chiuditi almeno! — le gridò dietro il Maestro.
— Me ne infischio, — rispose Margherita dal corridoio.
Ed ecco Azazello a fare inchini e a salutare il Maestro, facendo scintillare il suo occhio, mentre Margherita esclamava:
— Oh, come sono contenta! Non sono mai stata cosí contenta in vita mia! Ma mi scusi, Azazello, se sono nuda!
Azazello la pregò di non preoccuparsi, assicurando che aveva avuto occasione di vedere donne non solo nude, ma interamente scorticate, e si sedette volentieri al tavolo, dopo aver messo nell’angolo presso la stufa un pacco avvolto in un broccato scuro.
Margherita versò del cognac ad Azazello, che lo bevve volentieri. Il Maestro, senza distogliere gli occhi da lui, si pizzicava ogni tanto sotto il tavolo la mano sinistra. Ma i pizzicotti non servivano a nulla. Azazello non si dissolveva nell’aria, e poi, a dire il vero, non era affatto necessario che lo facesse. Non c’era nulla di pauroso in quell’uomo dai capelli rossi, di bassa statura, tranne forse l’occhio col leucoma — ma questo succede anche senza stregonerie — , sí, forse, l’abbigliamento era un po’ fuori del comune, una specie di tonaca o mantello, eppure, a pensarci bene, anche quello poteva capitare. Il cognac lo beveva con disinvoltura, come ogni persona a modo, a bicchierini interi, senza mangiare. Quel cognac fece nascere un ronzio nella testa del Maestro, che pensò:
«No, Margherita ha ragione… Naturalmente, davanti a me siede un inviato del diavolo. Io stesso, non piú tardi dell’altro ieri sera, dimostravo a Ivan che aveva incontrato ai Patriaršie proprio Satana, e adesso, chi sa perché, quest’idea mi ha fatto paura e mi sono messo a farneticare di ipnotizzatori e allucinazioni… Ma che diavolo d’ipnotizzatori, figuriamoci!…»
Cominciò ad osservare Azazello, e si convinse che negli occhi di lui si vedeva un che di impacciato, un pensiero che non voleva esprimere finché non fosse giunto il momento. «Non è venuto per una semplice visita, ma con un incarico», pensava il Maestro.
Il suo senso di osservazione non lo aveva ingannato.
Dopo aver bevuto il terzo bicchierino di cognac, che non faceva alcun effetto su Azazello, il visitatore disse:
— Una cantina simpatica, diavolo! Ci si domanda una cosa soltanto: che cosa fare in questa cantina?
— Me lo domando anch’io, — rispose ridendo il Maestro.
— Perché m’inquieta, Azazello? — chiese Margherita. In qualche modo ci si arrangia.
— Ma per carità, che dice! — esclamò Azazello. — Non avevo la minima intenzione di inquietarla! Lo dico anch’io: in qualche modo ci si arrangia. Ah sí, quasi me ne dimenticavo… Messere la saluta, e le fa dire che la invita a fare una breve passeggiata con lui, se, naturalmente, lo desidera. Che ne dice?
Sotto il tavolo, Margherita colpí con un piede il piede del Maestro.
— Con gran piacere, — rispose il Maestro, studiando Azazello che continuò:
— Speriamo che neppure Margherita Nikolaevna rifiuti.
— Io non rifiuterò di certo, — disse Margherita, e di nuovo il suo piede cercò quello del Maestro.
— Ma benissimo! — esclamò Azazello. — Questo sí che mi piace! Uno-due, e tutto è fatto! Non come quella volta nel giardino Aleksandrovskij!
— Oh, non stia a rammentarmelo, Azazello, ero sciocca allora. Del resto, non si può farmene una colpa, non capita tutti i giorni d’incontrare il maligno!
— Altro che! — confermò Azazello. — Fosse tutti i giorni, sarebbe troppo bello!
— Anche a me piace la velocità, — diceva Margherita eccitata, — mi piace la velocità e la nudità… Come con una rivoltella, zac! Oh, come spara! — esclamò Margherita rivolgendosi al Maestro. — Mette un sette sotto il cuscino, e centra qualunque punto!…- Margherita cominciava a ubriacarsi, i suoi occhi ardevano.
— Oh, dimenticavo di nuovo, — esclamò Azazello dandosi una manata sulla fronte, — non capisco piú niente! Messere vi ha mandato un regalo, — qui si rivolse proprio al Maestro, — una bottiglia di vino. Prego notare che si tratta di quello stesso vino che beveva il procuratore della Giudea. È Falerno.
È piú che naturale che una simile rarità attirasse la massima attenzione sia di Margherita sia del Maestro. Azazello trasse da un pezzo di sudario scuro una caraffa tutta coperta di muffa. Il vino venne annusato, versato nei bicchieri e rimirato contro la luce della finestra che si stava oscurando a causa del temporale. Videro che tutto assumeva il colore del sangue.
— Alla salute di Woland! — esclamò Margherita alzando il bicchiere.
Tutti e tre portarono i bicchieri alle labbra e trangugiarono un grande sorso. Immediatamente la luce pretemporalesca cominciò a spegnersi negli occhi del Maestro, il suo respiro si fermò ed egli sentí che giungeva la fine. Vide ancora Margherita che, diventata mortalmente pallida, gli protendeva sgomenta le braccia, poi lasciava cadere la testa sul tavolo e scivolava a terra.
— Avvelenatore!… — fece ancora in tempo a gridare il Maestro. Voleva afferrare sul tavolo un coltello per colpire Azazello, ma la sua mano, priva di forza, scivolò dalla tovaglia, tutto quanto lo circondava nello scantinato assunse una tinta nera, poi scomparve del tutto. Cadde supino, e nella caduta si graffiò la tempia contro l’angolo della scrivania.
Quando i due avvelenati furono immobili Azazello si mise all’opera. Per prima cosa, si lanciò dalla finestra e qualche istante dopo si trovava nella palazzina di Margherita Nikolaevna. Sempre preciso e accurato, Azazello voleva controllare che tutto fosse stato fatto a dovere. E tutto risultò a posto. Azazello vide una donna tetra, che aspettava il ritorno del marito, uscire dalla camera da letto, impallidire all’improvviso, afferrarsi il petto, e, col grido disperato: — Nataša… qualcuno… aiuto… — stramazzare in terra nel salotto senza arrivare fino allo studio.