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— Bene, — disse Pilato, — cosí sia.

Si voltò, lanciò uno sguardo al mondo visibile e si stupí del cambiamento avvenuto. Era scomparso il cespuglio sovraccarico di rose, erano scomparsi i cipressi che circondavano la terrazza superiore, e il melograno, e la statua bianca tra la verzura, e la verzura stessa. Al posto di tutto questo era sceso un denso sedimento purpureo, in esso ondeggiavano delle alghe che furono trascinate via, e con loro fu trascinato via anche Pilato. Lo trasportava adesso, strozzandolo e bruciandolo, la piú terribile di tutte le ire: l’ira dell’impotenza.

— Soffoco, — disse Pilato, — soffoco!

Con la mano madida e fredda si strappò la fibbia dal collo del mantello, e quella cadde sulla sabbia.

— C’è afa oggi, da qualche parte c’è un temporale, commentò Caifa senza staccare gli occhi dal volto arrossato del procuratore, e prevedendo tutte le pene che ancora lo aspettavano. «Oh, che mese terribile è il Nisan quest’anno!»

— No, — disse Pilato, — non è l’afa: non ne posso piú di te, Caifa, — e, stringendo gli occhi, Pilato sorrise e aggiunse: — Stai attento, gran sacerdote.

Gli occhi scuri dell’altro lampeggiarono, ed egli espresse sul volto stupore non peggio di quanto aveva fatto poco prima il procuratore.

— Che sento, procuratore? — rispose orgoglioso e tranquillo Caifa. — Mi stai minacciando dopo che è stata pronunciata una condanna che tu stesso hai confermata? È possibile? Noi siamo abituati che il procuratore romano pesi le parole prima di dire qualcosa. Se ci sentisse qualcuno, egemone?

Con occhi spenti Pilato guardò il gran sacerdote, e, digrignando i denti, abbozzò un sorriso.

— Che dici, gran sacerdote! Chi vuoi che ci senta, qui adesso? Somiglio forse al giovane esaltato vagabondo che sarà giustiziato oggi? Sono forse un bambino, Caifa? So quel che dico e dove lo dico. Il giardino è circondato, il palazzo è circondato, nemmeno un topo passerebbe da una fessura! Ma che dico un topo, non riuscirebbe a entrare nemmeno quello, come si chiama…. di Kiriat. A proposito, lo conosci, gran sacerdote? Sí… se uno cosí giungesse fin qui, se ne pentirebbe amaramente, a questo ci credi, gran sacerdote? Sappi allora, gran sacerdote, d’ora in poi non avrai pace! Né tu, né il tuo popolo, — e Pilato indicò in lontananza, a destra, il luogo dove in alto riluceva il tempio, — questo te lo dico io, Ponzio Pilato, cavaliere Lancia d’Oro!

— Lo so, lo so! — rispose impavido Caifa dalla barba nera; i suoi occhi scintillarono, alzò un braccio verso il cielo e continuò: — Il popolo di Giudea sa che tu lo odi di un odio implacabile, e che gli causerai molti tormenti, ma tu non lo potrai distruggere! Dio lo proteggerà! Ci udrà l’onnipotente Cesare e ci proteggerà dal crudele Pilato!

— Oh no! — esclamò Pilato, e a ogni parola si sentiva meglio: non occorreva piú fingere, non occorreva pesare le parole. — Ti sei troppo lamentato di me con Cesare, e adesso è giunta la mia ora, Caifa! Adesso invierò io una notizia, ma non al governatore di Antiochia o a Roma, ma direttamente a Capri, all’imperatore stesso, la notizia che voi a Jerushalajim salvate dalla morte ribelli notori! E allora, non sarà piú con l’acqua dello stagno di Salomone che innaffierò Jerushalajim (come volevo fare per il vostro bene), no, non sarà piú con l’acqua! Ricordati come io dovetti per causa vostra togliere dalle mura gli scudi con l’emblema dell’imperatore, spostare le truppe. Vedi, sono dovuto venire qui io stesso a vedere cosa stavate tramando! Ricorda le mie parole: tu non vedrai piú, gran sacerdote, una coorte sola a Jerushalajim, no! Verrà sotto le mura della città l’intera Legione Fulminante, con la cavalleria araba, e allora udrai pianti amari e gemiti! Ricorderai allora Bar-Raban che hai salvato, e rimpiangerai di aver mandato a morte il filosofo con la sua predicazione di pace!

Il volto del gran sacerdote si coprí di macchie, gli occhi fiammeggiavano. Sorrise, digrignando i denti, come aveva fatto il procuratore, e rispose:

— Ma tu, procuratore, credi a quello che dici? No, non ci credi! Non la pace, non la pace ci ha portato quell’ingannatore del popolo a Jerushalajim, e tu, cavaliere, lo capisci perfettamente. Tu volevi liberarlo perché istigasse il popolo, oltraggiasse la fede e portasse la gente sotto le spade romane! Ma io, gran sacerdote della Giudea, finché sarò vivo, non permetterò che la fede sia oltraggiata, e difenderò la mia gente! Mi senti, Pilato? — Caifa alzò minaccioso la mano: — Ascolta, procuratore!

Caifa tacque, e il procuratore udí di nuovo un fragore come se il mare fosse giunto fin sotto le mura del giardino di Erode il Grande. Il fragore saliva fino ai piedi del procuratore e lo colpiva in volto. Alle sue spalle, oltre le ali del palazzo, si udivano allarmanti segnali di tromba, il greve fruscio di centinaia di piedi, e un tintinnio di metallo. Il procuratore capí che la fanteria romana stava già uscendo secondo i suoi ordini, diretta alla parata, che, precedendo il supplizio, doveva provocare il terrore dei ribelli e dei ladroni.

— Senti, procuratore? — ripeté piano il gran sacerdote Mi vorresti forse dire che tutto questo, — il gran sacerdote alzò le braccia, e il cappuccio scuro gli scivolò dalla testa, — è stato provocato da quel miserabile ladrone di Bar-Raban?

Il procuratore si asciugò col dorso della mano la fronte madida e fredda, abbassò lo sguardo, poi, guardando il cielo con gli occhi socchiusi, vide che il globo fiammeggiante si trovava quasi sopra la sua testa, mentre l’ombra di Caifa, presso la coda del leone, si era contratta fin quasi a scomparire, e disse con voce sommessa e indifferente:

— Si avvicina mezzogiorno. Ci siamo lasciati prendere dalla conversazione, eppure bisogna continuare.

Dopo essersi scusato con espressioni ricercate, propose al gran sacerdote di sedersi su una panchina all’ombra di una magnolia e aspettare l’arrivo delle altre persone necessarie per un’ultima breve riunione; intanto lui avrebbe dato ancora un ordine relativo al supplizio.

Caifa fece un cortese inchino ponendosi la mano sul cuore, e rimase in giardino, mentre Pilato ritornò sulla loggia. Lí al segretario che lo aspettava ordinò di invitare in giardino il legato della legione, il tribuno della coorte, nonché i due membri del Sinedrio e il capo delle guardie del tempio che aspettavano la convocazione sulla terrazza inferiore del giardino, in un chiosco rotondo con una fontana. A ciò Pilato aggiunse che sarebbe subito venuto in giardino anche lui, ed entrò nel palazzo.

Mentre il segretario convocava la riunione, in una stanza ombreggiata da scuri tendaggi Pilato ebbe un incontro con un uomo il cui volto era seminascosto da un cappuccio, benché lí nessun raggio di sole potesse disturbarlo.

L’incontro fu brevissimo. Il procuratore disse all’uomo poche parole a bassa voce, dopo di che questi se ne andò, mentre Pilato passò nel giardino attraverso il porticato.

Là, in presenza di tutti quelli che intendeva vedere, il procuratore dichiarò in modo solenne e secco che confermava la condanna a morte di Jeshua Hanozri, e chiese ufficialmente ai membri del Sinedrio quale dei criminali intendessero lasciare in vita. Avuta la risposta che sceglievano Bar-Raban, il procuratore disse:

— Benissimo, — e ordinò al segretario di metterlo subito a verbale, strinse in mano la fibbia che il segretario aveva raccattata dalla sabbia e disse con fare solenne: — È ora!

Allora tutti i convenuti si avviarono lungo l’ampia scalinata di marmo tra pareti di rose che stillavano un profumo inebriante, e scesero sempre piú giú, verso il muro del palazzo, verso il portone che dava su una vasta piazza ben selciata, al fondo della quale si vedevano le colonne e le statue dell’arena di Jerushalajim.

Quando il gruppo, uscito sulla piazza dal giardino, fu salito sul largo palco di pietra che dominava la piazza, Pilato, guardando attraverso le palpebre semichiuse, si rese conto della situazione.

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