Литмир - Электронная Библиотека
Содержание  
A
A

La bella Hella sorrideva, volgendo verso Margherita gli occhi dai riflessi verdi, senza per questo cessare d’attingere unguento nel cavo della mano e di spalmarlo sul ginocchio di Woland.

— Questo è tutto, — concluse Woland, e fece una smorfia quando Hella gli strinse ancora piú forte il ginocchio. La compagnia come vede, è piccola, mista e senza malizia — . Tacque e si mise a far girare davanti a sé il suo globo, fatto con tanta arte che su di esso gli oceani azzurri si movevano lievemente e la calotta stava sul polo come un vero e proprio berretto, di ghiaccio e di neve. Sulla scacchiera, intanto, regnava lo scompiglio. Del tutto sconcertato, il re dal bianco manto scalpicciava nella sua casa, alzando le braccia per la disperazione. Tre bianchi pedoni-lanzichenecchi, con le alabarde, guardavano sgomenti un ufficiale che brandiva la sciabola e indicava un punto davanti a loro dove in due case contigue, una bianca e una nera, si vedevano i cavalieri neri di Woland, su due cavalli focosi che scavavano le case con gli zoccoli.

Margherita fu estremamente interessata e colpita dal fatto che i pezzi del gioco fossero vivi.

Il gatto allontanò il binocolo dagli occhi e diede al suo re una spintarella nella schiena. Costui, disperato, si nascose il viso fra le mani.

— Andiamo maluccio, caro Behemoth, — disse piano Korov’ev, con voce maligna.

— La situazione è grave, ma tutt’altro che disperata, replicò Behemoth, — anzi, dirò di piú: sono pienamente sicuro della vittoria finale. Basta analizzare ben bene la situazione.

E cominciò a eseguire quest’analisi in modo piuttosto strano, Sl mise cioè a fare certe smorfie e ad ammiccare al suo re.

— Non serve a niente, — osservò Korov’ev.

— Ahi! — gridò Behemoth, — i pappagalli sono volati via, come avevo predetto!

Infatti, da un punto lontano giunse un frusciare di numerose ali. Korov’ev e Azazello uscirono a precipizio dalla stanza.

— Il diavolo vi porti, voi e le vostre strambe invenzioni per il ballo, — bofonchiò Woland senza staccare gli occhi dal suo globo.

Non appena Korov’ev e Azazello furono scomparsi, Behemoth intensificò il suo ammiccare. Il re bianco, alla fine, indovinò quel che si voleva da lui. Improvvisamente si tolse il manto, lo gettò sulla casa e scappò via dalla scacchiera. L’ufficiale si buttò sulle spalle il regale indumento e prese il posto del re.

Ritornarono Korov’ev e Azazello.

— Bugie, come al solito, — brontolò Azazello, guardando di sbieco Behemoth.

— M’era parso di sentire, — rispose il gatto.

— Be’, dico, durerà ancora molto questa storia? — chiese Woland. — Scacco al re.

— Probabilmente ho sentito male, maestro, — rispose il gatto, — lo scacco al re non c’è né ci può essere.

— Scacco al re, ripeto.

— Messere, — replicò il gatto con voce falsamente preoccupata, — lei si è sovraffaticato, non c’è scacco al re!

— Il re è nella casa G 2, — disse Woland, senza guardare la scacchiera.

— Messere, sono atterrito! — gemette il gatto, atteggiando il viso allo spavento, — su quella casa non c’è il re!

— Cosa? — chiese Woland, perplesso, e guardò la scacchiera, dove l’ufficiale che stava sulla casa del re s’era voltato dall’altra parte, coprendosi col braccio.

— Ah, furfante, — disse Woland, pensoso.

— Messere! Faccio di nuovo appello alla logica! — prese a dire il gatto, stringendosi le zampe al petto. — Quando un giocatore dichiara scacco al re mentre sulla scacchiera non c’è piú traccia di re, lo scacco è inesistente.

— Ti arrendi o no? — gridò Woland con voce terribile.

— Mi permetta di pensarci un poco, — rispose umilmente il gatto; appoggiò i gomiti sulla tavola, nascose i baffi tra le zampe e cominciò a pensare. Pensò a lungo, e alla fine disse: — Mi arrendo.

— Bisognerebbe ammazzarla, quella bestia cocciuta, sussurrò Azazello.

— Sí, mi arrendo, — disse il gatto, — ma mi arrendo unicamente perché non posso giocare in un’atmosfera in cui mi sento braccato dagli invidiosi! — Si alzò e i pezzi del gioco scomparvero nel cassetto.

— Hella, è ora, — disse Woland, e Hella sparí dalla stanza. — Ho un gran male alla gamba, ma con quel ballo… continuò Woland.

— Mi permetta, — pregò Margherita sottovoce Woland la guardò fisso e avvicinò il ginocchio a lei.

Bollente come lava, l’unguento bruciava le mani, ma Margherita, senza batter ciglio e studiandosi di non far male, frizionò con esso il ginocchio.

— I miei favoriti affermano che si tratta di reumatismo — diceva intanto Woland, senza staccare gli occhi da Margherita, — ma sospetto fortemente che questo male al ginocchio me l’abbia lasciato per ricordo una incantevole strega che conobbi da vicino nel 1571 sul monte Brocken sulla Cattedra del Diavolo.

— Ah, è mai possibile? — disse Margherita.

— Sciocchezze! Fra trecento anni passerà! M’hanno consigliato un mucchio di medicine, ma io, da uomo all’antica, mi attengo ai rimedi della nonna. Che erbe formidabili ha lasciato in eredità quella lurida vecchia di mia nonna! A proposito, dica, non soffre mica di qualcosa? Non ha per caso qualche dispiacere, qualche tristezza che le avvelena l’anima?

— No, Messere, non ho niente di tutto questo, — rispose l’accorta Margherita, — adesso, poi, da quando sono vicino a lei, mi sento benissimo.

— È una gran cosa, il sangue… — disse allegramente Woland, non si sa a che proposito, e soggiunse: — Vedo che il mio globo l’interessa?

— Oh, sí, non ho mai visto un oggettino come quello.

— È un bell’oggettino. A me, per esser sinceri, non piacciono le ultime notizie per radio. Vengono sempre date da ragazze che non pronunziano chiaramente i nomi delle località. Inoltre, su tre ce n’è sempre una un po’ balbuziente, come se le scegliessero a bella posta. Il mio globo è assai piú comodo, tanto piú che ho bisogno di conoscere esattamente gli avvenimenti. Ecco, per esempio, lo vede quel pezzetto di terra, un lato del quale è bagnato dall’oceano? Guardi, si sta riempiendo di fuoco. Laggiú è cominciata una guerra. Se accosta gli occhi, vedrà anche i particolari.

Margherita si chinò verso il globo e vide che il quadratino di terra s’era allargato, coperto di segni multicolori e s’era trasformato in una specie di carta geografica a rilievo. Poi essa scorse anche un fiume, come un nastrino, e vicino ad esso un villaggio. Una casetta, delle dimensioni di un pisellino, crebbe sino a diventare grossa come una scatola di fiammiferi. Improvvisamente e senza alcun rumore, il tetto di questa casa volò in aria insieme con un nembo di fumo nero, i muri crollarono, cosicché della scatoletta a due piani non rimase altro che un mucchietto dal quale uscivano vortici di fumo nero. Avvicinando ancor piú l’occhio, Margherita distinse una piccola figurina di donna che giaceva in terra e accanto a lei, in una pozza di sangue, un bimbetto che agitava le braccia.

— Ecco fatto, — disse sorridendo Woland, — non ha avuto il tempo di peccare. Il lavoro di Abadonna è sempre irreprensibile.

— Non vorrei esser dalla parte contro la quale è quell’Abadonna, — disse Margherita. — Da che parte è?

— Quanto piú parlo con lei, — rispose amabilmente Woland, — tanto piú mi convinco che è molto intelligente. La rassicurerò. Egli è d’una rara imparzialità e simpatizza ugualmente con le due parti belligeranti. Di conseguenza, anche i risultati sono sempre uguali per le due parti. Abadonna! — chiamò Woland senza alzar la voce, e subito dalla parete sbucò la sagoma d’un uomo magro con gli occhiali scuri. Questi occhiali produssero su Margherita un’impressione cosí forte, che con un piccolo grido essa nascose il viso contro la gamba di Woland.

— Ma la smetta! — gridò Woland. — Com’è nervosa la gente oggigiorno! — E alzato il braccio, assestò un colpo tale sulla schiena di Margherita che essa lo sentí rimbombare in tutto il corpo. — Vede bene che ha gli occhiali. Inoltre non s’è mai dato il caso, né si darà mai che egli sia apparso prematuramente davanti a qualcuno. E da ultimo, io sono qui. Lei è in visita da me Volevo semplicemente mostrarglielo.

71
{"b":"115091","o":1}