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In quel momento qualcosa alitò in faccia all’ex pubblicano e qualcosa frusciò ai suoi piedi. Alitò di nuovo, e allora, aprendo gli occhi, Levi vide che tutto era cambiato, sotto l’influsso delle sue maledizioni o in forza di qualche altra ragione. Il sole era scomparso prima di arrivare al mare dove affondava ogni sera. Lo aveva inghiottito una nuvola temporalesca, che, minacciosa e inarrestabile, si alzava nel cielo da occidente. I suoi bordi ribollivano già di una bianca spuma, il nero ventre fumoso aveva riflessi gialli. La nuvola brontolava, e se ne staccavano ogni tanto filamenti di fuoco. Sulla strada di Giaffa, lungo l’arida valle di Gihon, sopra le tende dei pellegrini volavano colonne di polvere spinte dal vento alzatosi all’improvviso.

Levi tacque, cercando di capire se il temporale, che stava per coprire Jerushalajim, avrebbe portato qualche cambiamento nel destino dell’infelice Jeshua. E subito, guardando i filamenti di fuoco che fendevano la nuvola, cominciò a pregare perché un fulmine colpisse il palo di Jeshua. Guardando pentito il cielo terso, che la nube non aveva ancora divorato e dove gli avvoltoi scivolavano d’ala per sfuggire al temporale, Levi pensò che si era affrettato follemente con le sue maledizioni: adesso Dio non lo avrebbe ascoltato.

Volto lo sguardo verso i piedi della collina, egli guardò fissamente il luogo in cui si trovava, in ordine sparso, il reggimento di cavalleria, e vide che là erano avvenuti cambiamenti notevoli. Dall’alto, riuscí a scorgere bene i soldati che si davano d’attorno strappando le lance piantate in terra e si gettavano addosso i mantelli, mentre i guardiani trotterellavano verso la strada tenendo per la briglia i morelli. Era chiaro che il reggimento si preparava ad andarsene. Riparandosi con la mano dalla polvere che gli investiva il viso, sputando, Levi cercava di capire il significato di quella partenza. Spostò lo sguardo piú in alto e vide una piccola figura con una clamide militare purpurea che saliva verso il luogo del supplizio. Allora il presentimento di un esito felice raggelò il cuore dell’ex pubblicano.

Chi saliva la collina in quella quinta ora di sofferenza dei ladroni era il comandante della coorte giunta a cavallo da Jerushalajim in compagnia del suo attendente. A un gesto dell’Ammazzatopi, la fila dei soldati si aprí e il centurione salutò il tribuno. Questi condusse l’Ammazzatopi da una parte e gli sussurrò qualcosa. Il centurione salutò una seconda volta, e si mosse verso il gruppo dei boia seduti sulle pietre ai piedi dei pali. Il tribuno si diresse invece verso colui che sedeva sullo sgabello, e quello gli si alzò cortesemente incontro. Il tribuno gli disse qualcosa con voce sommessa, ed entrambi s’incamminarono verso i pali. Li accompagnò il capo delle guardie del tempio.

L’Ammazzatopi, sbirciando con disgusto gli stracci sporchi che giacevano in terra accanto ai pali e che poco prima erano stati gli indumenti dei condannati, rifiutati dai boia, chiamò due di questi ordinando:

— Seguitemi!

Dal palo piú vicino giungeva una rauca canzonetta insensata. Hesta, che vi era legato, era impazzito tre ore dopo per le mosche e il sole, e adesso canticchiava qualcosa a proposito dell’uva, eppure ogni tanto scuoteva la testa coperta da un turbante, e allora le mosche si alzavano fiaccamente in volo dal suo viso per poi ritornarvi.

Appeso al secondo palo, Disma soffriva piú degli altri due, perché non aveva perso la conoscenza e scuoteva la testa in modo frequente e regolare, ora a destra, ora a sinistra, per urtare la spalla con l’orecchio.

Jeshua era piú fortunato degli altri due. Sin dalla prima ora fu colto da svenimenti, poi perse definitivamente la conoscenza e lasciò penzolare la testa col turbante sfasciato. Perciò mosche e tafani lo avevano completamente ricoperto di modo che il suo volto era scomparso sotto una brulicante maschera nera. All’inguine, sul ventre e sotto le ascelle si erano posati grassi tafani che succhiavano il giallo corpo nudo.

Ubbidendo ai gesti dell’uomo col cappuccio, uno dei boia prese una lancia, l’altro portò vicino al palo un secchio e una spugna. Il primo alzò la lancia e picchiettò prima un braccio, poi l’altro, di Jeshua, tesi e legati con delle corde alla traversina del palo. Il corpo dalle costole sporgenti ebbe un sussulto. Il boia passò l’estremità della lancia sul ventre. Allora Jeshua sollevò la testa, e le mosche, ronzando, si alzarono in volo, scoprendo il suo volto enfio di punture, con gli occhi gonfi: un volto irriconoscibile.

Disserrando le palpebre, Hanozri guardò in basso. I suoi occhi, di solito limpidi, erano velati.

— Hanozri! — disse il boia.

Hanozri mosse le labbra tumefatte e replicò con rauca voce da ladrone:

— Che vuoi? Perché sei venuto da me?

— Bevi! — disse il boia, e la spugna imbevuta d’acqua si alzò sulla punta della lancia fino alle labbra di Jeshua. La gioia brillò nei suoi occhi: egli incollò la bocca alla spugna e si mise a succhiare avidamente l’acqua. Dal palo vicino giunse la voce di Disma:

— Ingiustizia! Sono un ladrone come lui!

Disma fece uno sforzo, ma non poté muoversi, le sue braccia erano tenute ferme alla traversina da tre anelli di corda. Tirò il ventre in dentro, le sue unghie si avvinghiarono alle estremità della traversina, tenne la testa voltata verso il palo di Jeshua, e la rabbia bruciava nei suoi occhi.

Una nuvola di polvere coprí il ripiano e scese un gran buio. Quando la polvere fu passata, il centurione gridò:

— Silenzio sul secondo palo!

Disma tacque. Jeshua si staccò dalla spugna e, cercando di rendere dolce e convincente la sua voce, e non riuscendovi, pregò raucamente il boia:

— Dàgli da bere.

Si faceva sempre piú buio. La nuvola aveva coperto ormai mezzo cielo, slanciandosi verso Jerushalajim, bianche nubi spumeggianti correvano davanti alla nuvola nera piena di acqua e di fuoco. Proprio sopra la collina scoppiò un lampo e tuonò. Il boia tolse la spugna dalla lancia.

— Glorifica il generoso egemone! — sussurrò solenne e con un lieve movimento punse Jeshua al cuore. Questi sobbalzò e sussurrò:

— L’egemone…

Il sangue colò sul ventre, la mascella inferiore ebbe uno scatto convulso e la testa ricadde penzoloni.

Al secondo colpo di tuono, il boia stava già dando da bere a Disma, e ripetendo le stesse parole:

— Glorifica l’egemone! — uccise anche lui.

Hesta, privo di senno, gridò spaurito non appena gli si avvicinò il boia, ma quando la spugna toccò le sue labbra, ringhiò qualcosa e afferrò la spugna con i denti. Pochi secondi dopo anche il suo corpo si afflosciò per quanto lo permettevano le corde.

L’uomo col cappuccio seguiva a passo a passo il boia e il centurione, dietro di loro veniva il capo delle guardie del tempio. Fermatosi presso il primo palo, l’uomo col cappuccio esaminò attentamente Jeshua insanguinato, toccò con la bianca mano il suo piede e si rivolse agli accompagnatori:

— È morto.

Lo stesso si ripeté presso gli altri due pali.

Il tribuno fece allora un cenno al centurione e, voltatosi, cominciò a scendere dalla collina con il capo delle guardie del tempio e l’uomo col cappuccio. Si era fatta una semioscurità, e i fulmini solcavano il cielo nero. Da esso a un tratto zampillò il fuoco, e il grido del centurione: «Togliete lo sbarramento!» affogò nel frastuono. Felici, i soldati corsero giú dalla collina, infilandosi gli elmi.

L’oscurità coprí Jerushalajim.

Un acquazzone scrosciò di colpo, e colse le centurie a metà della discesa. L’acqua si rovesciò con tanta violenza che, mentre i soldati correvano in giú, li incalzavano già torrenti impetuosi. I soldati sdrucciolavano e cadevano sull’argilla inzuppata, affrettandosi verso la strada piana, lungo la quale, quasi invisibile dietro il velo d’acqua, trottava alla volta di Jerushalajim la cavalleria, anch’essa fradicia fino al midollo. Pochi minuti dopo, in quel fumigante calderone di tempesta, di acqua e di fuoco, sulla collina era rimasto un uomo solo.

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