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Ci sono quindi duecento uomini potenzialmente ostili all’interno delle mura cittadine, rifletté Cazaril.

«Stanotte stessa, l’Arcidivino parlerà col loro comandante», lo rassicurò dy Baocia, interpretando la sua espressione. «Credo che il trattato di matrimonio contribuirà a persuaderli del fatto che la nuova Erede è devota al futuro di Chalion.»

«Hanno comunque pronunciato un giuramento di obbedienza», osservò Palli. «Sarebbe meglio non spingerli al punto di rottura.»

«La notizia della fuga di Iselle da Valenda ormai dev’essere arrivata a Cardegoss», mormorò Cazaril. «E la notizia dell’arrivo di Bergon vi giungerà quanto prima. A quel punto, dy Jironal si vedrà scivolare tra le dita quella reggenza cui teneva tanto.»

«E allora sarà tutto finito», sorrise dy Baocia, con entusiasmo. «Gli eventi si stanno muovendo molto più in fretta di quanto si sarebbe potuto prevedere», aggiunse, scoccando a Cazaril un’occhiata quasi reverenziale.

«Meglio così», sospirò il Castillar. «Non bisogna pungolare dy Jironal al punto d’indurlo a compiere mosse che non gli permettano di tornare sui suoi passi.» Se due fazioni, entrambe soggette alla maledizione, si fossero scontrate in una guerra civile, era infatti probabile che ne sarebbero uscite entrambe sconfitte. Se Chalion fosse crollata su se stessa in maniera così devastante, quello sarebbe stato certo il culmine del dono di morte del Generale Dorato. No, vincere, in quel caso, significava proseguire la lotta con la massima astuzia, in modo da evitare spargimenti di sangue. Una volta che Bergon avesse liberato Iselle dalla maledizione, con ogni probabilità essa si sarebbe accentrata sul povero Orico, lasciando dy Jironal a condividere il fato dell’uomo che era, quantomeno di nome, il suo signore… Ma che ne sarà di Ista? «La verità, per brutale che sia, è che molto dipende da quando morirà il Roya. L’agonia di Orico potrebbe durare a lungo», riprese. Senza dubbio, la maledizione avrebbe spinto Orico verso la sorte più orribile… Ma quali e quante erano le forme in cui quel fato poteva concretizzarsi? A quanto pareva, il serraglio di Umegat aveva tenuto a bada mali molto più gravi del semplice deterioramento della salute di Orico. «Per essere previdenti, dobbiamo riflettere su quali panacee offrire a dy Jironal per placare il suo orgoglio ferito… sia prima dell’ascesa al trono di Iselle sia dopo.»

«Non credo che si accontenterà di semplici panacee, Caz», obiettò Palli. «È stato Roya di Chalion di fatto, se non di nome, per oltre un decennio.»

«In tal caso, è possibile che cominci a sentirsi stanco», sospirò Cazaril. «Alcune cariche assegnate ai figli potrebbero essere sufficienti ad ammorbidire le sue posizioni; dopotutto, l’amore per la famiglia costituisce la sua debolezza…» Già, la maledizione deforma le virtù, trasformandole nel vizio corrispondente… «Bisognerà esautorarlo dal potere, però, nel contempo, favorire la sua famiglia, in modo da frenarlo lentamente, con delicatezza», concluse, lanciando un’occhiata a Betriz, che stava ascoltando con la massima attenzione e che, senza dubbio, avrebbe poi riferito ogni cosa a Iselle.

Nell’altra camera, Iselle e Bergon si alzarono. Lei appoggiò la mano sul braccio che lui le offriva ed entrambi si scambiarono timide occhiate furtive, inducendo Cazaril a pensare che non aveva mai visto due persone più soddisfatte l’una dell’altra. Entrando nella sala al fianco del fidanzato, Iselle lasciò vagare lo sguardo sui presenti con un’espressione di trionfo, mostrandosi quanto mai compiaciuta di se stessa; quanto a Bergon, appariva a sua volta orgoglioso, ma anche un po’ più stordito, cosa che comunque non gli impedì di rivolgere a Cazaril un deciso, rassicurante cenno del capo, mentre questi si affrettava ad alzarsi.

«L’Erede di Chalion…» esordì Iselle, poi s’interruppe.

«… e l’Erede di Ibra…» disse Bergon.

«… sono lieti di annunciare che pronunceranno il loro giuramento nuziale davanti agli Dei, ai nostri nobili ospiti ibrani e alla popolazione cittadina…» continuò Iselle.

«… nel Tempio di Taryoon, dopodomani a mezzogiorno», concluse Bergon.

La piccola folla esplose in applausi e congratulazioni, calcolando nel frattempo, proprio come stava facendo Cazaril, la velocità con cui una colonna di truppe nemiche avrebbe potuto viaggiare, e giungendo alla conclusione che mai avrebbe potuto farlo così in fretta. Uniti, rafforzatisi a vicenda, i due giovani sovrani avrebbero potuto, in caso di necessità, muoversi in perfetta armonia. Inoltre, una volta che Iselle fosse stata liberata dalla maledizione, il tempo avrebbe giocato a loro vantaggio, perché ogni giorno trascorso avrebbe portato nuovo sostegno alla loro causa. Sopraffatto da un estremo senso di sollievo, Cazaril si accasciò di nuovo sulla sedia, sorridendo nonostante il dolore lancinante dei crampi che gli contraevano il ventre.

25

Il giorno successivo, mentre l’intero palazzo era in fermento per le nozze imminenti, Cazaril si ritrovò a essere l’unico che non aveva nulla da fare. Iselle era arrivata a Taryoon con poco più degli abiti che indossava; tutta la corrispondenza e i registri affidati a Cazaril si trovavano ancora nelle sue camere, a Cardegoss. Quando tentò d’incontrare la Royesse, per chiederle quali incarichi volesse assegnargli, trovò le sue stanze intasate di cameriere e di cucitrici, tutte vagamente isteriche, che, sotto le direttive della zia di Iselle, andavano e venivano con le braccia cariche d’indumenti.

«Cazaril, avete appena percorso quasi mille miglia nel mio interesse», disse Iselle, lottando per estrarre cdn un sussulto la testa da un ammasso di sete e protendendo un braccio per permettere a una donna di provarle una manica. «Andate a riposare. No, anzi, preparate due lettere che il segretario di mio zio possa poi copiare, una diretta a tutti i Provincar di Chalion e l’altra a tutti gli Arcidivini dei Templi, per annunciare il mio matrimonio… qualcosa che possano leggere alla gente. Dovrebbe essere un incarico leggero e tranquillo. Quando avrete pronte le diciassette… no, sedici…»

«Diciassette», interloquì sua zia, china sull’orlo del vestito. «Tuo zio vorrà una copia per gli archivi della sua Cancelleria. Ora sta’ diritta.»

«Quando le copie saranno pronte, mettetele da parte, in modo che io e Bergon le possiamo firmare domani, dopo il matrimonio, poi provvedete perché vengano spedite», concluse Iselle, con un cenno deciso del capo che destò l’irritazione della sarta impegnata a sistemarle la scollatura.

Inchinatosi, Cazaril si affrettò a lasciare la stanza prima di finire per essere aggredito con uno spillo, e si appoggiò per un momento alla ringhiera della galleria.

La giornata era serena e tiepida, con una promessa di primavera nell’aria, il cielo era di un colore azzurro pallido e la luce del sole si riversava sul cortile pavimentato di fresco, dove i giardinieri stavano trapiantando varie piante di arancio in piena fioritura in alcuni vasi, facendoli poi rotolare in modo da disporli intorno alla fontana gorgogliante. Fermando un servitore di passaggio, Cazaril si fece portare fuori un tavolino per scrivere e una sedia dotata di un morbido e spesso cuscino: benché la sua mente rammentasse quelle mille miglia in modo vago, il suo posteriore le ricordava tutte benissimo. Appoggiatosi allo schienale, con la luce calda del sole che gli pioveva sul volto, chiuse gli occhi, componendo mentalmente la lettera per poi chinarsi in avanti a scriverla; quando ebbe finito, il segretario di dy Baocia prese in consegna il risultato dei suoi sforzi per copiarlo con una calligrafia molto migliore della sua, e lui si appoggiò di nuovo all’indietro, chiudendo gli occhi e rilassandosi.

Un rumore di passi che si avvicinavano non fu sufficiente a riscuoterlo dal suo stato di beatitudine. Ma il tintinnio di qualcosa che veniva posato sul tavolo lo indusse a sollevare lo sguardo. A un cenno di Lady Betriz, un servitore dispose sul tavolo, prelevandoli da un vassoio, una teiera, una caraffa di latte, un piatto di frutta secca e pane con noci e miele. Congedato il ragazzo, Betriz provvide poi a versare il tè, spingendo il pane verso Cazaril e sedendosi sul bordo della fontana per guardarlo mentre mangiava.

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