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Due pomeriggi più tardi, Cazaril era seduto alla propria scrivania, intento ad appuntire le sue penne, quando un paggio dello Zangre entrò nell’anticamera-studio. «Il Devoto Rojeras è qui, mio signore, in obbedienza agli ordini della Royesse Iselle», annunciò.

Rojeras era sulla quarantina, coi capelli color sabbia che cominciavano ad assottigliarsi sulla fronte, con le guance punteggiate di lentiggini e acuti occhi azzurri; quanto al suo mestiere, era facilmente deducibile dalle vesti verdi, proprie di un Devoto laico dell’Ospedale della Misericordia della Madre del Tempio di Cardegoss, che frusciavano a ogni passo deciso. Il suo rango di maestro era poi indicato dalla treccia cucita sulla spalla. Rendendosi immediatamente conto che quella visita non poteva essere per una delle due dame — in tal caso avrebbero inviato una donna -, Cazaril s’irrigidì, ma rivolse al Devoto un cortese cenno di saluto, prima di alzarsi per riferire della sua presenza nelle stanze interne. Con sua sorpresa, tuttavia, vide Betriz e Iselle già in attesa vicino alla porta con aria tutt’altro che stupita e un sorriso di saluto sulle labbra.

«Questo è l’uomo di cui ti ho parlato, Royesse», affermò Betriz, rispondendo con una riverenza al profondo inchino del Devoto. «Il Divino anziano della Madre afferma che si è specializzato nello studio delle malattie da consunzione. Apprendisti giungono da ogni parte di Chalion per essere istruiti da lui!»

La visita che Lady Betriz aveva fatto al Tempio il giorno precedente non aveva dunque comportato soltanto preghiere e offerte. Sembrava che Iselle avesse più talento per le cospirazioni di corte di quanto Cazaril avrebbe mai supposto, considerato che era riuscita a tendergli quella trappola senza che lui si accorgesse di nulla. Di fronte a quell’imboscata a fin di bene, Cazaril si costrinse a sfoggiare un sorriso carico di tensione, lottando per nascondere i propri timori; dopotutto, quell’uomo era privo di qualsiasi traccia di quella luminescenza visibile soltanto mediante la seconda vista, quindi era improbabile che riuscisse a dedurre la verità da una semplice visita medica.

«Devoto Rojeras, provvedete per favore a visitare il mio segretario, poi venite a riferirmi tutto», disse Iselle, con aria soddisfatta, dopo aver squadrato il medico da capo a piedi.

«Royesse, non ho bisogno di vedere un medico!» protestò Cazaril. In effetti, e soprattutto, non voleva che un medico vedesse lui.

«In tal caso, avremo sprecato tutti un po’ del tempo che gli Dei ci concedono quotidianamente», ribatté Iselle. «Cazaril, vi ordino di andare col Devoto, se non volete perdere il mio favore.» La nota di determinazione che le vibrava nella voce era inconfondibile.

Lui imprecò contro Palli, sia perché aveva messo quell’idea in testa a Iselle, sia perché le aveva insegnato come bloccargli ogni via di fuga. Come sempre, la Royesse si era dimostrata molto rapida nell’apprendimento. Adesso però lui era in trappola, e tuttavia… il medico avrebbe diagnosticato la presenza di un miracolo, oppure non avrebbe notato nulla. Se avesse scoperto la verità, Cazaril poteva appellarsi a Umegat, lasciando che provvedesse lui, grazie ai contatti che aveva all’interno del Tempio, a risolvere il problema. Se poi il medico non avesse scoperto nulla, la visita si sarebbe conclusa con un nulla di fatto.

Cazaril s’inchinò in segno di obbedienza, lasciando però intuire che si sentiva offeso, e precedette il suo sgradito visitatore lungo le scale e verso la propria camera. Su incarico di Iselle, Betriz li segui fino alla soglia e, quando Cazaril entrò nella stanza e si girò per chiudere la porta, lei gli scoccò un rapido sorriso di scuse. Ma i suoi occhi tradivano l’ansia.

Il medico lo fece sedere vicino alla finestra e procedette a controllargli le pulsazioni e a esaminargli occhi, orecchie e gola, poi gli chiese di urinare e annusò il contenuto del pitale, versandone un po’ in un tubo di vetro e scrutandolo. Quindi domandò a Cazaril come funzionasse il suo intestino e lui, sia pure con riluttanza, dovette ammettere di aver avuto qualche perdita di sangue. A quel punto, il medico lo fece spogliare e sdraiare e, per alcuni minuti, lui sopportò in silenzio Rojeras che gli controllava il cuore e i polmoni, premendogli un orecchio contro il petto, procedendo poi a sondargli svariati punti del corpo con una rapida pressione delle dita fredde. Cazaril dovette altresì spiegare come si fosse procurato le cicatrici causate dalla fustigazione. Rojeras gli offrì alcuni raccapriccianti suggerimenti su come liberarsi delle aderenze rimaste, posto che lui volesse sottoporsi a quelle procedure e le affrontasse con coraggio. Pensando che avrebbe preferito di gran lunga un’altra caduta da cavallo, Cazaril oppose un rifiuto, cui il medico reagì con una risatina divertita. Il suo sorriso però si spense quando riprese a sondare il ventre di Cazaril in maniera più completa e profonda, tastando e premendo in svariati punti. «Qui vi fa male?» chiese.

«No», rispose Cazaril, deciso a porre fine a quella visita.

«E se faccio così?» insistette Rojeras. La sua pressione strappò un grido di dolore a Cazaril. «Ah, allora c’è del dolore…» mormorò il medico. Seguirono altre pressioni e altri sussulti, poi Rojeras s’immobilizzò per qualche tempo, la punta delle dita appoggiata sul ventre di Cazaril e lo sguardo perso nel vuoto, riscuotendosi infine con un sobbalzo… Un modo di fare che a Cazaril ricordò stranamente quello di Umegat.

Mentre Cazaril si rivestiva, Rojeras continuava a sorridere, ma nei suoi occhi si scorgeva l’ombra di un dubbio.

«Avanti, Devoto, parlate pure», lo incitò Cazaril. «Sono un uomo razionale, e non andrò in pezzi, qualsiasi cosa mi diciate.»

«Davvero? Bene», replicò Rojeras, con un profondo sospiro. «Mio signore, avete un tumore che risulta chiaramente individuabile al tatto.»

«Allora… si tratta di questo», commentò Cazaril, rimettendosi a sedere con mosse caute.

«La cosa non vi sorprende?» domandò Rojeras, sollevando lo sguardo di scatto.

Non quanto mi ha sorpreso l’ultima diagnosi che mi hanno fatto, si disse Cazaril, pensando con malinconia a quale sollievo sarebbe stato per lui apprendere che i ricorrenti crampi al ventre avevano una causa così naturale e normale, anche se letale. Purtroppo era del tutto certo che la maggior parte dei tumori non urlava oscenità nel cuore della notte contro le persone che ne erano afflitte. «Già da qualche tempo avevo ragione di pensare che qualcosa non andava», rispose, badando a mantenere un tono di voce neutrale. «Cosa comporta però questo tumore? Cosa credete che accadrà?»

«Ecco…» cominciò Rojeras, sedendosi sul bordo del letto e intrecciando le dita. «Ci sono molti tipi di tumore. Alcuni sono diffusi, altri sono compatti, o incapsulati, alcuni uccidono in fretta e altri rimangono presenti per anni senza quasi dare problemi. Il vostro sembra essere incapsulato, il che ci lascia qualche speranza. Ne esiste un genere abbastanza comune, una specie di cisti che si riempie di liquido… Una donna da me curata è sopravvissuta per oltre dodici anni.»

«Oh», mormorò Cazaril, con un sorriso rincuorato.

«Quando infine è morta, la cisti aveva raggiunto un peso di oltre cinquanta chili», aggiunse però il medico e, senza badare al sussulto disgustato di Cazaril, proseguì: «C’è poi un’altra, più interessante, forma di rumore, che ho visto solo due volte in tutti i miei anni di studio… Una massa rotonda che, una volta aperta, conteneva forme di carne, complete di denti, capelli e ossa. Una di esse era nel ventre di una donna, il che poteva quasi avere senso, ma l’altra era nella gamba di un uomo. La mia teoria è che quelle masse siano generate da demoni sfuggiti al controllo, i quali hanno cercato di assumere una forma umana. Se fosse riuscito nel suo intento, quel demone si sarebbe aperto un varco a morsi e sarebbe entrato nel nostro mondo con una forma fisica, senza dubbio abominevole. Desideravo da tempo trovare un altro tumore del genere in un paziente ancora vivo, in modo da poterlo studiare e da verificare la validità della mia teoria». E scrutò Cazaril, che si trattenne a stento, e col massimo sforzo, dal balzare in piedi urlando.

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