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Palli sedeva con la schiena addossata alla parete, le gambe rigide e gli occhi dilatati, un sorriso forzato dipinto sulle labbra.

«Per i cinque Dei, Palli, perdonami!» esclamò Cazaril, scoppiando a ridere. «Non volevo scaricarti addosso tutte le mie confidenze, addossandoti questo fardello. Quello di cui ti ho gravato è un peso sgradevole e male assortito. Mi dispiace.» Tuttavia pensò che forse aveva parlato proprio perché l’indomani l’amico sarebbe ripartito, e quelle confidenze sarebbero rimaste fra loro.

Palli accantonò le sue scuse con un gesto distratto, poi mosse a vuoto le labbra un paio di volte, deglutì a fatica, e infine riuscì a replicare. «Sei certo che non si sia trattato soltanto di un’insolazione?» chiese.

«Oh, ho avuto anche un’insolazione», ridacchiò Cazaril. «Se non ti uccide, però, un’insolazione non dura più di un paio di giorni, mentre quello stato d’animo si è protratto… per mesi.» Si era protratto fino all’ultimo incidente con quel ragazzo ibrano terrorizzato e tuttavia audace, l’incidente conclusosi con la fustigazione che per poco non lo aveva ucciso. «Noi schiavi…»

«Smettila!» gridò Palli, passandosi le mani tra i capelli.

«Smettere cosa?» domandò Cazaril, perplesso.

«Smettila di dire ’noi schiavi’. Tu sei un nobile di Chalion!»

«Noi nobili, ai nostri remi, suona meglio?» ribatté Cazaril, con un sorriso amaro. «Noi gentiluomini grugnenti, sudati, imprecanti? Non direi proprio, Palli. Sulle galee, non eravamo nobili e neppure uomini: eravamo uomini o animali, e il rientrare nell’una o nell’altra categoria, a quanto ho visto, non è mai dipeso dalla nascita o dal sangue che si aveva nelle vene. L’anima più generosa e grande che ho incontrato là è stata quella di un conciatore di pelli; in questo momento, se apprendessi che è ancora vivo, sarei pronto a baciargli i piedi per la gioia. Noi schiavi, noi nobili, noi uomini e donne, noi mortali, noi trastulli degli Dei… è sempre la stessa cosa, Palli. Adesso, per me, tutte quelle definizioni si equivalgono.»

Con un lungo respiro, Palli cambiò bruscamente argomento, mettendosi a parlare dei piccoli problemi connessi alla gestione della sua scorta, appartenente all’Ordine militare della Figlia. Così Cazaril si trovò a discutere di metodi per impedire che il cuoio dei finimenti marcisse o per curare le infezioni agli zoccoli dei cavalli. Di lì a poco, inoltre, Palli si ritirò per la notte… o, per meglio dire, si diede alla fuga. La sua fu una ritirata in buon ordine, ma fu comunque una ritirata, cosa che non sfuggì a Cazaril.

Rimasto solo, il Castillar si distese sul letto, coi suoi dolori e coi suoi ricordi e, nonostante il banchetto e il vino, impiegò parecchio tempo a prendere sonno. La paura poteva anche essere sua amica — sempre che quell’affermazione non fosse stata una spacconata a beneficio di Palli -, ma era chiaro che i due fratelli dy Jironal non lo erano di certo. Il fatto che i roknari avessero riferito che lui era morto di febbre era una menzogna astuta, perché ormai la sua fondatezza non era più controllabile. La sua unica consolazione era che lì, nella tranquilla Valenda, lui si trovava senza dubbio al riparo da occhi indiscreti. Gli rimaneva soltanto da sperare di aver messo in guardia Palli quanto bastava perché, una volta alla corte di Cardegoss, non finisse per compiere un involontario passo falso.

Giratosi su un fianco, nel buio, Cazaril sussurrò una preghiera alla Signora della Primavera perché proteggesse Palli, poi aggiunse una preghiera a tutti gli Dei, e anche al Bastardo, per tutti coloro che quella notte si trovavano sul mare.

6

Nel corso della processione organizzata dal Tempio per celebrare l’avvento dell’estate, Iselle non venne invitata a rivestire di nuovo il ruolo della Signora della Primavera. Per tradizione, infatti, quel ruolo veniva assegnato a una giovane donna appena sposata e fu quindi una neo sposa timida e riservata che cedette il trono dell’avatar del Dio regnante a una composta matrona in stato di avanzata gravidanza. Quando la cerimonia si concluse senza sorprese spirituali di sorta, Cazaril, con la coda dell’occhio, vide il Divino della Santa Famiglia trarre un sospiro di sollievo.

Con l’avvento del caldo estivo, la vita assunse un ritmo più lento. Le allieve di Cazaril, come pure il loro insegnante, presero a sospirare e a sbadigliare, mentre il sole arroventava le antiche pietre della fortezza. A un certo punto, sudato e stanco quanto le due ragazze, Cazaril decise di annullare per il resto dell’estate tutte le lezioni pomeridiane.

Come Betriz aveva affermato il giorno della festa della primavera, in effetti la Royina Ista pareva stare meglio, adesso che le giornate si erano allungate e il clima si era fatto più caldo, e lo dimostrava la sua presenza più frequente ai pasti e il fatto che quasi tutti i pomeriggi, insieme con le dame di compagnia, si sedeva all’ombra dei nodosi alberi da frutto che crescevano in fondo al giardino della Provincara. Le sue custodi non le permettevano però di salire sui bastioni, che costituivano la meta preferita di Iselle e di Betriz, quando volevano sfuggire all’afa e alla disapprovazione delle persone più anziane, dunque poco propense a salire le scale ripide.

Scacciato dalla sua stanza dall’intollerabile afa che vi regnava in una giornata più che mai calda e caliginosa, seguita a una notte caratterizzata da un temporale di una violenza insolita, Cazaril si avventurò in giardino, alla ricerca di un angolo più confortevole e fresco, stringendo sotto un braccio uno dei pochi libri della misera biblioteca del castello che ancora non aveva avuto modo di leggere, anche se l’opera di Ordol — Il quintuplice sentiero dell’anima. Della vera metodica della teologia quintariana -, non costituiva certo un argomento che lo appassionasse in modo particolare. D’altro canto, forse le pagine del volume che gli si agitavano in grembo avrebbero dato, agli occhi degli eventuali passanti, una parvenza più erudita al sonnellino che senza dubbio avrebbe finito per concedersi. Aggirato il roseto, Cazaril si arrestò di colpo: sulla panchina verso cui si stava dirigendo era seduta la Royina, accompagnata come sempre da una delle sue dame, che aveva un ricamo in grembo. Le due donne alzarono lo sguardo e Cazaril, aggirando due api ronzanti, rivolse loro un inchino, per scusarsi della propria involontaria intrusione.

«Rimanete, Castillar… dy Cazaril, giusto?» mormorò però Ista, non appena lui accennò ad andarsene. «Come procedono gli studi di mia figlia?»

«Molto bene, mia signora», replicò Cazaril, voltandosi verso la Royina e accennando un altro inchino. «È molto portata per l’aritmètica e la geometria, ed è… ecco, diciamo che è costante nello studio del darthacano.»

«Bene, molto bene», commentò Ista, distogliendo lo sguardo e lasciandolo vagare sul giardino assolato.

L’altra dama si chinò sul ricamo per annodare un filo. Quanto a Lady Ista, non stava ricamando; Cazaril aveva sentito sussurrare da una cameriera che la Royina e le sue dame avevano lavorato per sei mesi a un elaborato telo per altare destinato al Tempio. Ma proprio quando il lavoro era ormai quasi concluso, la Royina, lasciata sola per un momento, aveva bruciato il telo nel focolare della propria camera. Vera o no che fosse quella storia, rimaneva il fatto che quel giorno Ista non aveva in mano un ricamo, ma soltanto una rosa.

Osservando la Royina, Cazaril cercò invano nei suoi occhi qualcosa che gli indicasse di essere stato riconosciuto. «Mi stavo domandando…» azzardò poi, esitante. «Ecco… volevo chiedervi, mia signora, se per caso vi ricordate di me, giacché in passato ho servito vostro padre in questa casa, in qualità di paggio. Ormai è passata una ventina d’anni, quindi non mi stupirebbe scoprire che non vi rammentate.» Si concesse un breve sorriso, poi si coprì la parte inferiore del viso e aggiunse: «A quel tempo, non avevo la barba».

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