Uno stridio proveniente da un punto vicino al suo stivale lo indusse ad abbassare lo sguardo: il sacro ratto bianco si stava aggrappando alla sua gamba, col minuscolo naso rosato che vibrava intensamente nello strusciarsi contro il suo stinco. Chinatosi, Cazaril raccolse la bestiola con l’intenzione di restituirla all’Accolita, ma il ratto prese subito a rotolarsi con fare estatico tra le sue mani, leccandogli il pollice. In quel momento, l’Accolita affannata rientrò nel cortile insieme con Umegat, che indossava la livrea dello Zangre. E fu proprio la visione dello stalliere a sconvolgere Cazaril.
Il roknari risplendeva infatti di un’aura di un candore assoluto, come se fosse davanti a una finestra di vetro trasparente, investita dalla luce di un’alba che sorgesse sul mare. Quel bagliore era così intenso che Cazaril serrò le palpebre, pur sapendo che non si trattava di un fenomeno fisico. E infatti quel chiarore incandescente continuò a muoversi davanti a lui nonostante gli occhi chiusi, insieme con tre chiazze di oscurità, che non era precisamente tale, un’aurora ribollente e, di lato, una fievole scintilla verde.
Riaprendo gli occhi di scatto, sorprese Umegat che lo fissava con tale intensità da dargli l’impressione che lo stesse sezionando. Dopo un secondo, tuttavia, lo stalliere passò oltre e andò a fermarsi davanti all’Arcidivino con un inchino un po’ teso, appartandosi con lui per scambiare qualche rapida parola in tono sommesso.
Subito dopo l’Arcidivino chiamò a sé l’Accolita del Bastardo, che nel frattempo era riuscita a recuperare l’altro ratto, e consegnò l’animale a Umegat. Tenendo la bestiola nell’incavo del braccio, lo stalliere si diresse verso Cazaril, facendosi largo con umiltà ossequiosa tra i cortigiani, i quali non lo degnarono neppure di un’occhiata. La cosa lasciò Cazaril assai perplesso, giacché gli sembrava impossibile che la folla non si aprisse di fronte all’aura incandescente dello stalliere proprio come le onde del mare si aprivano davanti alla prua di una nave. Arrestandosi di fronte a lui, Umegat protese la mano aperta. Per un momento, Cazaril rimase a fissarla con aria ottusa.
«Il ratto sacro, mio signore», mormorò allora Umegat.
«Ah, sì», annuì Cazaril, abbassando lo sguardo sulla creatura, ancora intenta a succhiargli le dita.
Umegat procedette a staccare la riluttante bestiola dalla sua manica, quasi stesse rimuovendo una zecca, e nel contempo impedì alla sua compagna di spiccare un balzo per prenderne il posto. Tenendo sotto controllo entrambi i ratti, tornò quindi con calma verso la bara, dov’era in attesa l’Arcidivino, che quasi sembrò volersi chinare davanti allo stalliere. Almeno così parve a Cazaril, talmente stupito da dubitare di essere in possesso delle proprie facoltà. I cortigiani dello Zangre, invece, non sembravano trovare strano il fatto che l’Arcidivino avesse convocato il più esperto addestratore di animali del Roya per far fronte a quell’imbarazzante crisi: l’attenzione generale dunque era concentrata sui ratti, piuttosto che su Umegat. Cazaril si convinse di essere il solo a vedere quei fenomeni assurdi.
Tenendo le creature tra le braccia, Umegat parlò loro in tono sommesso e si avvicinò al corpo di Dondo, indugiando per un lungo istante. I ratti rimasero tranquilli, ma non accennarono a muoversi per reclamare l’anima del defunto per il loro Dio. Alla fine, Umegat si decise a indietreggiare e, scuotendo il capo in direzione dell’Arcidivino, riconsegnò i ratti all’ansiosa fanciulla che li aveva in custodia.
Prostratosi tra il focolare e la cassa, Mendenal mormorò una preghiera, ma si rialzò quasi subito. Il tempo cominciava a scarseggiare, come indicava il fatto che alcuni Devoti stavano già accendendo le lanterne nel cortile ormai quasi buio. L’Arcidivino si affrettò quindi a convocare i portatori perché trasportassero la cassa fino al rogo, e i cantori si accodarono al feretro in una lunga processione.
Tornando accanto a Betriz e a Cazaril, la Royesse si passò il dorso della mano sugli occhi affaticati. «Non credo di poter sopportare oltre questa cerimonia», disse. «Dy Jironal può anche presenziare da solo al rogo del fratello. Accompagnatemi a casa, Cazaril.»
Il piccolo gruppo formato dalla Royesse e dal suo seguito si staccò quindi dalla folla, che si era già un poco ridotta, e oltrepassò il portico frontale del Tempio, avviandosi nell’umido crepuscolo di quel giorno d’autunno.
Non appena usciti, Umegat, che evidentemente li aveva aspettati, andò loro incontro. «Mio signore dy Cazaril… Potrei scambiare qualche parola con voi?» chiese, con un inchino.
Sorpreso che il chiarore della sua aura non si riflettesse sulla pavimentazione bagnata, Cazaril si scusò con Iselle e rientrò nel Tempio col roknari, lasciando le tre donne ad attenderlo al limitare del portico, Iselle appoggiata al braccio di Betriz.
«Mio signore, vi supplico di concedermi un’udienza privata, non appena vi sarà possibile», disse Umegat.
«Vi raggiungerò al serraglio dopo aver riaccompagnato a casa Iselle», replicò Cazaril. Poi, con voce esitante, aggiunse: «Siete consapevole di brillare quanto una torcia accesa?»
«Mi è già stato detto dai pochi che hanno occhi per scorgere queste cose», rispose lo stalliere, con un cenno di assenso. «Purtroppo, una persona non può vederlo da sé, perché nessuno specchio può riflettere questo fenomeno, visibile soltanto agli occhi dell’anima.»
«Nel Tempio c’era una donna che brillava come una candela verde.»
«Madre Clara? Sì, mi ha appena parlato di voi. È un’eccellente levatrice.»
«Ma cos’è dunque quella sorta di anti-luce?» chiese ancora Cazaril, lanciando un’occhiata alle donne in attesa.
«Per favore, mio signore, non qui», lo pregò Umegat, portandosi un dito alle labbra.
Sebbene un po’ stupito, Cazaril annuì.
Dopo un profondo inchino, lo stalliere si voltò e fece per avviarsi nel crepuscolo sempre più fitto. D’un tratto, però, girandosi verso Cazaril, disse: «A proposito, voi risplendete come una città in fiamme».
13
La Royesse era così spossata dallo strano funerale di Lord Dondo che percorse la salita verso il castello con passo incerto. Cazaril la lasciò con Nan e Betriz — ben decise a mettere a letto Iselle dopo una cena frugale, servita nelle loro camere — e oltrepassò di nuovo il portone del castello, soffermandosi all’esterno per guardare verso la città, cercando di capire se una colonna di fumo si stesse ancora levando al di sopra del Tempio. Sforzando la vista, gli parve d’intravedere un debole bagliore arancione contro le nuvole basse, ma l’oscurità era ormai tale da impedirgli di scorgere altro.
Nell’attraversare il cortile delle stalle, ebbe un violento sussulto a causa di un improvviso battere d’ali tutt’intorno a lui, ma scoprì che si trattava soltanto dei corvi di Fonsa. Due cercarono addirittura di posarsi sulla sua spalla, ma lui li schivò, allontanandoli poi con ampi gesti delle braccia e battendo i piedi. I corvi si portarono a distanza di sicurezza, però lo scortarono per tutto il tragitto fino al serraglio.
Trovò ad attenderlo uno dei sottoposti di Umegat, fermo accanto alle lanterne a parete che rischiaravano la soglia. Lo stalliere, un ometto anziano privo dei pollici, gli rivolse un ampio sorriso che rivelò una lingua mozzata, e lo accolse con un mormorio di saluto, unito ad alcuni cenni cordiali con cui lo invitò a seguirlo, poi socchiuse il pesante battente appena quanto bastava a permettere a Cazaril di entrare, respinse i corvi che cercavano di seguirlo e arrivò a gettare fuori il più testardo con un calcio, prima di richiudere la porta.
Reggendo un candelabro protetto da una campana di vetro soffiato e dotato di una maniglia, lo stalliere precedette Cazaril lungo il corridoio principale del serraglio, mentre gli animali chiusi nelle gabbie sbuffavano al suo passaggio, premendosi contro le sbarre per seguirlo con lo sguardo. Nella penombra, gli occhi del leopardo scintillavano come due gemme verdi e il suo ringhio echeggiò contro le pareti, non ostile, ma pervaso di uno strano tono interrogativo e cantilenante.