«Immagino vi renderete conto che, se tutto andrà per il meglio, vostra nipote diventerà la vostra sovrana, giacché sarà di diritto Royina di Chalion e avrà il titolo di Royina-consorte di Ibra», replicò Cazaril, accarezzandosi la barba.
«Questa è la cosa più folle di tutte!» esclamò la Provincara, con una smorfia. «È soltanto una ragazza… benché la sua mente sia sempre stata più acuta di quella del povero Teidez. Cosa mai sarà saltato in mente agli Dei di Chalion, quando hanno deciso di mettere sul trono di Cardegoss una bambina come lei?»
«Forse hanno pensato che ci vorrà una vita intera per risollevare le sorti di Chalion. E dunque che gli anziani, come me o voi, non sarebbero vissuti abbastanza a lungo per assistere a una simile rinascita», replicò Cazaril, in tono mite.
«Tu stesso sei poco più che un bambino!» sbuffò la Provincara. «Ultimamente, sono i bambini ad avere il controllo del mondo… Non mi meraviglia che la follia imperi ovunque. Bene, adesso dobbiamo pensare a ciò che ci attende domani. Per i cinque Dei, Cazaril, va’ a dormire, anche se dubito che io riuscirò a chiudere occhio: sembri un morto che cammina, e non hai neppure la giustificazione di essere vecchio quanto me.»
A fatica, Cazaril si alzò e s’inchinò, consapevole che quelle ondate di energia nervosa della Provincara erano passeggere e fragili, e che ci sarebbe voluto l’aiuto di tutti coloro che la circondavano per impedirle di sfinirsi pericolosamente. Così, dopo aver detto a Lady dy Hueltar, che si trovava in ansiosa attesa nella stanza accanto, di andare ad assistere la cugina, Cazaril si allontanò.
Gli venne assegnata la sua gelida, ma dignitosa cameretta nel corpo principale della fortezza, e lui scivolò tra le lenzuola riscaldate con un sollievo nato anche dalla sensazione di essere tornato a casa, una sensazione che non sperimentava da anni. D’altro canto, la sua nuova seconda vista aveva l’effetto di rendere strani anche i posti più familiari. Il mondo gli sembrava sempre più estraneo e non costituiva mai per lui un luogo di riposo.
Per quanto imperversasse con tutto il suo furore, quella notte Dondo non riuscì a tenerlo sveglio, anche perché il pericolo che egli generava era divenuto ormai abituale per Cazaril, che si ritrovò dunque assalito da nuove paure. Il ricordo della spaventosa, intensa speranza scorta nello sguardo di Ista lo turbava profondamente, e ancora di più lo toccava la consapevolezza che l’indomani, quando fosse montato a cavallo, ogni passo lo avrebbe riportato sempre più vicino all’odiato mare.
22
La necessità di viaggiare in segreto costrinse Cazaril a rinunciare, sia pure con dispiacere, a fermarsi presso le stazioni di cambio dei cavalli della Cancelleria… Ma non era davvero il caso di fornire a dy Jironal una mappa precisa del loro percorso e della loro destinazione. Armati della lettera di raccomandazione stilata da Palli, lui e i suoi compagni ottennero cavalli freschi presso i capitoli cittadini dell’Ordine della Figlia; una volta ai piedi delle montagne, però, furono costretti a trattare con un locale mercante di cavalli per alcuni robusti muli, dal passo sicuro, che permettessero loro di superare senza rischi quelle vette. Senza dubbio, erano anni che quel mercante si stava guadagnando abbondantemente da vivere imponendo prezzi esosi ai viandanti disperati.
«Questa bestia ha l’asma!» protestò Ferda, indignato, dopo aver dato un’occhiata ai muli che venivano loro offerti. «E sono disposto a mangiare il tuo cappello se quest’altro non si metterà ben presto a zoppicare!»
Tra lui e il mercante scoppiò una feroce discussione.
Cazaril, sfinito, era appoggiato alla ringhiera del recinto e pensava soltanto che non aveva voglia di montare in sella a un altro animale, zoppo o no, e che non l’avrebbe avuta per i prossimi mille anni. Infine si decise a raddrizzarsi e a oltrepassare il cancello del recinto, avanzando tra cavalli e muli, ancora agitati dall’arrivo delle cavalcature scartate dai tre viandanti.
«Se questo è il tuo volere, Signora, procuraci tre buoni muli», pregò, chiudendo gli occhi e allargando le mani in un gesto di supplica. Qualcosa che gli urtava un fianco lo indusse a riaprire gli occhi: era un mulo dai limpidi occhi scuri che lo stava fissando con aria incuriosita. Ben presto, altri due spintonarono il primo animale per avvicinarsi, agitando le lunghe orecchie. Il più alto dei due, col pelo marrone scuro e col naso color crema, appoggiò il mento sulla spalla di Cazaril e sbuffò con aria beata.
«Ti ringrazio, Signora», sussurrò lui, poi, alzando la voce, ordinò ai muli: «Seguitemi» e s’incamminò in mezzo al fango. I tre animali gli si accodarono, annusandolo con rumoroso interesse.
«Prenderemo questi tre», disse Cazaril al mercante che, al pari di Ferda, si era ammutolito e lo stava fissando a bocca aperta.
«Ma… quelli sono i miei tre animali migliori!» protestò l’uomo.
«Sì, lo so», ribatté Cazaril, uscendo dal recinto. Il mercante lottò per tenere chiuso il cancello e impedire ai tre muli di avanzare. Ma essi premevano con forza contro le assi, emettendo versi ansiosi. «Ferda, accordati sul prezzo», aggiunse. «Nel frattempo, io mi andrò a sdraiare su quello splendido mucchio di fieno. Svegliami quando i muli saranno sellati e pronti…»
La sua cavalcatura risultò sana, di buon temperamento e alquanto placida… A parere di Cazaril, su quelle pericolose piste di montagna, non c’era niente di meglio di un mulo placido. I focosi destrieri che Ferda preferiva, e che permettevano di viaggiare veloci in pianura, non avrebbero tenuto un’andatura più rapida di quella e sarebbero stati un pericolo per la loro tendenza a innervosirsi se si trovavano in luoghi angusti. Per di più, il passo lento dei muli non gli causava troppo dolore al ventre. D’altro canto, se la Dea aveva scelto di dare al suo santo quei buoni muli, lui non riusciva a capire perché non gli avesse concesso anche un clima migliore.
I fratelli dy Gura smisero di ridere del suo cappello a metà del passo che valicava la catena montuosa dei Denti del Bastardo. Sotto il nevischio, che il vento spingeva loro dritto in faccia, lui abbassò i paraorecchie imbottiti di pelliccia calda e se li legò sotto il mento, scrutando con occhi socchiusi la pista incorniciata dalle orecchie appiattite del suo mulo e valutando quante ore di luce avessero ancora a disposizione.
«Mio signore, non dovremmo cercare rifugio da questa bufera?» chiese Ferda, dopo un po’, affiancandosi a lui.
«Bufera?» ripeté Cazaril, pulendosi la barba dal ghiaccio e fissando interdetto il giovane ufficiale. Soltanto dopo un momento ricordò che gli inverni, a Palliar, erano piuttosto miti, caratterizzati più da pioggia che da neve e che probabilmente, prima di allora, i due fratelli non erano mai usciti dalla loro provincia. «Se questa fosse una bufera, non saresti in grado di vedere neppure le orecchie del tuo mulo. Non è una situazione pericolosa, è soltanto sgradevole», replicò.
Pur sgomento, Ferda strinse ben bene i lacci del cappuccio e si chinò in avanti per resistere al vento. Pochi minuti più tardi, tuttavia, emersero da quel turbine di neve e scorsero un’ampia valle. I raggi di un pallido sole fecero allora capolino tra le nubi argentee e chiazzarono di luce i pendii.
«Ibra!» gridò Cazaril, in tono incoraggiante, indicando davanti a sé.
Non appena iniziarono la discesa verso la costa, il clima si fece più mite, anche se i muli non accelerarono il passo. Ben presto, le aspre montagne di confine cedettero il posto alle colline: scure gobbe marroni tra cui si aprivano ampie vallate. Soltanto allora, e con riluttanza, Cazaril permise a Ferda di barattare quegli eccellenti muli con cavalcature più veloci. Un succedersi di strade in condizioni sempre migliori e di locande sempre più accoglienti permise loro di arrivare in appena due giorni al fiume che scorreva fino a Zagosur, incontrando lungo il percorso numerose fattorie e canali d’irrigazione gonfiati dalle recenti piogge.