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«No, Lord Caz, non avete capito. Io voglio sapere come potete liberarvi di questa cosa senza morire», precisò Betriz.

«Anche a me piacerebbe saperlo», sospirò Cazaril, costringendosi con uno sforzo a raddrizzare la schiena e a sfoggiare un sorriso più convincente. «Comunque non ha importanza. Ho ceduto spontaneamente la mia vita per ottenere la morte di Dondo, e ho ricevuto quello che avevo chiesto: il pagamento del mio debito è stato soltanto rinviato, non annullato. A quanto pare, la Signora mi sta tenendo in vita a causa di qualche servigio che devo rendere, ed è solo per questo che non mi sono ancora ucciso per il disgusto.»

«Io però non ho nessuna intenzione di licenziarvi dal mio servizio, Cazaril. Avete capito?» disse Iselle, protendendosi in avanti.

«Ah!» commentò soltanto Cazaril e il suo sorriso si fece più spontaneo.

«Già», rincarò Betriz. «E non potete nemmeno aspettarvi che si diventi schizzinose e ci si mostri disgustate soltanto perché siete… abitato. Voglio dire, noi tutti ci aspettiamo di condividere un giorno il nostro corpo, e questo non ci rende orribili, giusto?» S’interruppe, accorgendosi di dove la stava portando quella metafora.

«Sì, ma condividerlo con Dondo?» ribatté in tono mite Cazaril, la cui mente già da tempo si stava ritraendo proprio da un’analogia di quel genere. «Voi due lo avete entrambe escluso dalla vostra capacità di tolleranza.» In realtà, rifletté, ogni uomo che aveva ucciso era rimasto impresso nella sua memoria e, in qualche modo, era ancora dentro di lui.

«Cazaril… lui non può uscire, vero?» esclamò Iselle, allarmata, sollevando una mano alle labbra.

«Prego costantemente la Signora perché non possa farlo», rispose Cazaril. «L’idea che si possa infiltrare nella mia mente è… È l’aspetto peggiore di questa situazione, peggiore perfino di… No, non importa. Un momento, questo mi ricorda che devo mettervi in guardia dagli spettri.» E ripeté ciò che l’Arcidivino gli aveva detto in merito alla necessità che il suo corpo venisse bruciato prima del tramonto, e perché lo si dovesse fare. Fu una confidenza che gli diede uno strano senso di sollievo. Le due donne si mostrarono atterrite ma attente. Cazaril comprese che si poteva fidare di loro a quel riguardo e si sentì assalire dalla vergogna al pensiero di essersi fidato del loro coraggio soltanto in quel frangente. «Ascoltatemi bene, Royesse», continuò. «La maledizione del Generale Dorato ha seguito la progenie di Fonsa, ma anche Sara è oppressa dall’ombra, e io e Umegat siamo entrambi convinti che ne sia stata contagiata col matrimonio.»

«Senza dubbio esso ha reso la sua vita piuttosto infelice», convenne Iselle.

«Di conseguenza, anche voi potreste sottrarvi alla maledizione col matrimonio. Non è una certezza… Tuttavia è una speranza, una grande speranza. Credo perciò che dovremmo concentrarci su questo problema… Dovreste andarvene da Cardegoss, allontanarvi dalla maledizione e anche da Chalion il più in fretta possibile.»

«Con la corte così in fermento, qualsiasi accordo matrimoniale è fuori…» cominciò Iselle, poi si arrestò per chiedere: «Ma che ne sarà di Teidez? E di Orico? E di Chalion? Dovrò dunque abbandonarli, come un generale in fuga di fronte a una battaglia persa?»

«I comandanti di grado più elevato hanno responsabilità che vanno al di là della singola battaglia. Se la vittoria è impossibile, se un generale non può rovesciare le sorti di uno scontro, con una ritirata può almeno riservarsi la possibilità di riprendere il conflitto in futuro.»

Iselle rifletté, dubbiosa. «Cazaril… Credete che mia madre e mia nonna sapessero di questa cosa oscura che grava su di noi?»

«Ignoro se vostra nonna lo sappia. Quanto a vostra madre…» Se aveva visto gli spettri dello Zangre, allora per qualche tempo Ista doveva aver avuto il dono della seconda vista, ma ciò cosa significava? Non potendo rispondere a quella domanda, si limitò a dire: «Vostra madre sapeva qualcosa, ma non ho idea di quanto avesse appreso… Comunque era abbastanza da essere terrorizzata allorché siete stati convocati a Cardegoss».

«E io ho pensato che si preoccupasse troppo», mormorò Iselle. «Ho creduto che fosse davvero pazza, come sussurravano i servi. Ho molte cose su cui riflettere», mormorò, sempre più accigliata.

Nella lunga pausa che seguì, Cazaril si alzò e augurò cortesemente la buonanotte a entrambe le dame, ottenendo in risposta un distratto cenno del capo da parte della Royesse, mentre Betriz, portandosi una mano al seno, lo fissò con intensità, accennando poi una riverenza.

«Aspettate!» esclamò d’un tratto Iselle, quando lui era ormai alla porta. La giovane si alzò, lo raggiunse e gli strinse le mani. «Siete troppo alto. Chinate la testa», mormorò.

Cazaril obbedì e sussultò per la sorpresa quando Iselle si alzò in punta di piedi e gli depose un bacio formale sulla fronte e su entrambe le mani, lasciandosi poi cadere in ginocchio con un frusciare di sete profumate per deporre un bacio su ciascuno stivale, ignorando le proteste dell’uomo.

«Ecco fatto», dichiarò la giovane, alzandosi. «Adesso potete andare.»

Betriz, accanto a lei, aveva il volto solcato di lacrime.

Troppo scosso per parlare, Cazaril fece un profondo inchino, poi fuggì verso la propria camera, preparandosi a un’altra notte tormentata.

19

Il giorno successivo, Cazaril ebbe l’impressione che lo Zangre fosse pervaso di una quiete quasi spettrale. Dopo la morte di Dondo, la corte era stata in allarme, certo, ma si era altresì abbandonata a sussurrati pettegolezzi. Adesso, invece, non circolavano più neppure i sussurri, tutti coloro che non avevano doveri immediati da compiere si tenevano alla larga, e chi aveva un incarico cui non poteva sottrarsi provvedeva a svolgerlo il più in fretta possibile, mantenendo un silenzio carico di apprensione.

Iselle e Betriz trascorsero la giornata nella Torre di Ias, assistendo Sara e Orico. All’alba, Cazaril e il siniscalco, cupo in volto, sovrintesero alla cremazione e alla sepoltura delle carcasse degli animali. Poi, per il resto della giornata, Cazaril cercò di mettere un po’ di ordine nel caos che imperava sulla sua scrivania, ma andò anche alcune volte all’ospedale del Tempio, dove Umegat era sempre nelle stesse condizioni, grigiastro in volto e col respiro affaticato. Dopo la seconda visita, si fermò al Tempio vero e proprio e si prostrò in preghiera davanti a tutti e cinque gli altari. Se davvero era rimasto contagiato da quella strana malattia chiamata santità, si disse, allora che quel suo stato servisse almeno a qualcosa…

Gli Dei non concedono miracoli per i nostri scopi, ma per i loro, aveva detto Umegat. Era proprio vero? Secondo Cazaril, un accordo del genere avrebbe dovuto essere bilaterale: cosa avrebbero potuto fare gli Dei, se le persone avessero smesso di offrire la loro volontà per metterli in condizione di operare miracoli? Per prima cosa, morirei sul colpo, si rispose. Rimase prostrato a lungo davanti all’altare della Signora della Primavera, senza però riuscire a trovare parole di preghiera… Era per un senso di abbattimento, di vergogna, o di disperazione? Comunque fosse, che pregasse o rimanesse zitto, tutti e cinque gli Dei risposero alle sue suppliche soltanto con un assoluto silenzio.

Nel risalire a passo lento la collina, incrociò dy Joal e un altro dei bravacci al soldo di dy Jironal, che stavano entrando a Palazzo Jironal. Soltanto allora rammentò l’insistenza di Palli perché non andasse in giro da solo. Nel vederlo, dy Joal chiuse la mano intorno all’impugnatura della spada, ma si trattenne dall’estrarla, e l’incontro si concluse con un cauto cenno di saluto da ambo le parti.

Tornato nel suo studio, Cazaril si massaggiò la fronte dolorante e prese a riflettere sul problema del matrimonio di Iselle. Il Royse Bergon di Ibra sarebbe stato un pretendente valido al pari di qualsiasi altro — e forse migliore di molti altri -, ma il tumulto scoppiato alla corte di Chalion rendeva impossibile avviare negoziati. Bisognava ricorrere al più presto all’invio di un corriere segreto. Cercò di capire chi, tra i cortigiani, sarebbe stato adatto per una missione diplomatica di quella portata, ma non ne trovò nessuno di cui fidarsi. Poi vagliò l’elenco, ancora più ristretto, degli uomini di cui si fidava, e non individuò nessun diplomatico. Umegat era ferito, l’Arcidivino non poteva certamente partire in segreto… Rimaneva Palli, il March dy Palliar. Se non altro, aveva un rango tale da poter esigere rispetto alla corte di Ibra. Cazaril provò a immaginare l’onesto e diretto Palli nell’atto di trattare con la Volpe di Ibra per stipulare le complesse e intricate clausole del contratto matrimoniale di Iselle, e si lasciò sfuggire un gemito. Forse, se Palli fosse stato inviato a Ibra con un elenco d’istruzioni estremamente dettagliato ed esplicito… Bisogna fare di necessità virtù, si disse infine, decidendo di affrontare l’argomento con Palli l’indomani stesso.

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