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Lo stava implorando… La Provincara stava rivolgendo una supplica a lui. Era fondamentalmente sbagliato. «Naturalmente, mia signora, sono ai vostri ordini», rispose Cazaril, suo malgrado. «È solo che… siete sicura di quello che state facendo?»

«Voi non siete… Tu qui non sei uno straniero, Cazaril, e io ho un disperato bisogno di un uomo di cui potermi fidare.»

Sentendo il cuore — o forse il cervello — che gli si scioglieva di fronte a quelle parole così accorate, Cazaril s’inchinò. «Allora sono ai vostri ordini», affermò.

«A quelli di Iselle», ribatté la Provincara.

Puntellando i gomiti sulle ginocchia, Cazaril sollevò lo sguardo, spostandolo dalla Provincara al pensoso, accigliato dy Ferrej, e riportandolo infine sul volto dell’anziana dama. «Io… credo di capire», annuì.

«Ne sono convinta, Cazaril, ed è per questo che voglio avere te al suo fianco.»

4

Fu così che, il mattino successivo, Cazaril venne condotto, dalla Provincara in persona, nello studiolo delle due giovani dame. La stanzetta soleggiata si trovava sul lato orientale della fortezza, all’ultimo piano della struttura, che era occupato dalla Royesse Iselle, da Lady Betriz, dalla loro dama di compagnia e da una cameriera. Anche il Royse Teidez aveva a disposizione alcune camere per il suo piccolo seguito, ma esse si trovavano nel nuovo edificio, dalla parte opposta del cortile, e Cazaril aveva il sospetto che fossero più vaste e dotate di focolari migliori. Lo studiolo di Iselle era arredato con un paio di tavolini, alcune sedie, una libreria mezza vuota e due cassapanche. La compresenza di Cazaril, che si sentiva goffo e troppo alto sotto il basso tetto di travi scoperte, e delle due giovani donne faceva sì che la camera sembrasse davvero piena. Perciò la dama di compagnia, sempre presente, fu costretta a spostarsi col suo lavoro di cucito nella stanza accanto, anche se le porte vennero lasciate aperte per salvaguardare le apparenze.

Cazaril aveva quasi l’impressione di avere davanti a sé un’intera classe, e non una singola allieva: una dama del rango di Iselle, infatti, non veniva quasi mai lasciata da sola, e di certo non in compagnia di un uomo, anche se prematuramente invecchiato, convalescente e al servizio della sua famiglia. Pur non sapendo cosa pensassero le due dame di quella soluzione, Cazaril si sentiva sollevato. Mai, nella sua vita, aveva avuto l’impressione di essere così repellente, goffo, degradato e zotico… Eppure quell’allegra atmosfera femminile era lontanissima da quella che si respirava su una panca per rematori di una galea roknari e, nel rilevare quel contrasto, mentre si abbassava per non battere la testa contro lo stipite nell’entrare nella stanza, Cazaril sentì la gola che gli si contraeva per un’ondata quasi incontrollabile di gioia.

La Provincara spiegò il motivo della sua presenza con poche parole decise, qualificandolo come il segretario-tutore di Iselle. «Adesso ne hai uno anche tu, come tuo fratello», aggiunse.

Dopo essere rimasta interdetta di fronte a quel dono, chiaramente inatteso, Iselle fu pronta ad accettarlo senza la minima rimostranza; anzi, a giudicare dalla sua espressione calcolatrice, la novità di essere istruita da un uomo e l’aumento di prestigio che ciò comportava parvero soddisfarla alquanto. Quanto a Lady Betriz, non si mostrò guardinga né ostile e sembrò accettare la novità con interesse, cosa che fece non poco piacere a Cazaril.

Abbigliato con la veste marrone tolta al mercante, fermata in vita dalla cintura tempestata in argento datagli dal siniscalco, Cazaril era certo di avere l’aspetto dello studioso, almeno quanto bastava per trarre in inganno le due ragazze. Inoltre, prima di presentarsi, si era munito di tutti i libri in darthacano che aveva trovato con una rapida ricerca nella biblioteca del defunto Provincar: una mezza dozzina di volumi in tutto. Lasciò cadere quei libri su uno dei tavolini con un tonfo sonoro e rivolse alle allieve un sorriso volutamente sinistro. Se quell’attività somigliava in qualche misura all’addestramento delle giovani reclute, o dei puledri, allora la chiave del successo consisteva nel prendere l’iniziativa fin dal primo momento e conservarla. Poteva anche essere un ignorante, ma doveva comportarsi in modo autoritario.

Allora la Provincara se ne andò con passo deciso. Per dimostrare di avere un piano, mentre ancora ne stava elaborando uno, Cazaril pensò di verificare la padronanza che la Royesse aveva del darthacano. Le fece leggere una pagina a caso di uno dei volumi, che per pura fortuna risultò trattare un argomento che lui conosceva molto bene: come minare e indebolire le fortificazioni nel corso di un assedio. Con vari aiuti e numerosi incitamenti, Iselle lesse faticosamente tre interi paragrafi. Poi Cazaril le rivolse qualche domanda, chiedendole di spiegare il contenuto di quanto aveva appena letto, ma lei incespicò nelle parole, in palese difficoltà.

«Il vostro accento è orribile», dichiarò infine il Castillar. «Un darthacano lo troverebbe quasi incomprensibile.»

«La mia governante ha sempre affermato che il mio accento era eccellente», ribatté Iselle, sollevando la testa di scatto e fissandolo con occhi di fuoco. «Anzi, secondo lei, ho un’intonazione molto melodica.»

«Certo, parlate come una pescivendola dell’Ibra meridionale che sta declamando la bontà delle sue merci… Anche loro sono molto melodiche, però qualsiasi nobile darthacano vi riderebbe in faccia, perché da quelle parti sono estremamente suscettibili e arroganti, per quanto concerne il loro orribile linguaggio», ribatté Cazaril, memore di un’occasione in cui si era venuto a trovare in una situazione del genere. «La vostra governante vi ha adulata, Royesse.»

«Devo dedurre che non vi considerate un adulatore, Castillar?» chiese Iselle, accigliandosi.

Nel suo tono e nelle sue parole erano presenti sfumature e sottintesi che Cazaril non si era aspettato. Dal suo posto a sedere, su una cassapanca accostata al lato opposto del tavolino, fece un inchino ironico, ma una delle aderenze che gli tormentavano la schiena lo costrinse bruscamente a interrompere il gesto. «Confido di non essere un vero e proprio zoticone», replicò allora. «Tuttavia se desiderate un uomo che sciorini convenienti bugie in merito ai vostri talenti, stroncando così sul nascere qualsiasi vostra speranza di eccellere, sono certo che non faticherete a trovarne. Non tutte le prigioni sono fatte di sbarre di ferro, Royesse… Alcune hanno la forma di letti di piume.»

Iselle dilatò le narici e serrò le labbra. Troppo tardi, a Cazaril venne in mente che quello forse era l’approccio sbagliato: dopotutto, Iselle era giovane, poco più che una ragazzina. Avrebbe dovuto addolcire i suoi modi? Se Iselle si fosse lamentata di lui con la Provincara, inoltre, lui rischiava di perdere…

«Continuiamo», disse in quel momento Iselle, in tono gelido, voltando la pagina.

Aveva un’espressione assolutamente identica a quella — mista di rabbia e frustrazione — che Cazaril aveva scorto in alcuni giovani che, dopo essere caduti, si erano rialzati, sputando la polvere entrata loro in bocca, ed erano maturati fino a diventare i suoi migliori luogotenenti. Forse quel compito non era difficile come aveva temuto… Represse un sorriso e assunse un’aria grave e accigliata, rivolgendo alla ragazza un imperioso cenno di assenso. «Proseguite pure», replicò.

Un’intera ora trascorse in fretta, dedicata a quell’attività facile e piacevole… Piacevole per lui, almeno. Quando si accorse che la Royesse stava cominciando a massaggiarsi le tempie, e che la sua espressione accigliata non aveva più nulla a che vedere coi suoi sentimenti offesi, Cazaril le tolse il libro di mano.

Lady Betriz aveva accompagnato Iselle nella lettura, muovendo silenziosamente le labbra, e Cazaril le fece ripetere l’esercizio; avendo a disposizione l’esempio della Royesse, Betriz fu più rapida nel leggere il brano, ma lo fece con lo stesso accento dell’Ibra meridionale esibito da Iselle, probabile retaggio della loro precedente istitutrice. Iselle ascoltò con attenzione tutte le correzioni apportate da Cazaril.

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