«La Royesse mi dà tutto ciò di cui ho bisogno, mio signore», ribatté Cazaril, senza accennare a muoversi.
«Non ne dubito», borbottò Dondo, aggrottando le sopracciglia nere sugli occhi scuri, che scintillavano alla luce incerta delle lanterne. «Suppongo che la vostra posizione vi dia ampie opportunità di riempirvi le tasche.»
«Se rifiutate di credere alla mia probità, mio signore, riflettete almeno su quello che sarà il futuro della Royesse Iselle, e sul fatto che io possiedo ancora il cervello elargitomi dagli Dei», scandì Cazaril, serrando i denti per nascondere il tremito d’indignazione che lo pervadeva. «Oggi la Royesse ha un piccolo seguito, ma un domani potrebbe avere una royacy, o un principato.»
«Lo pensate davvero?» chiese Dondo, con uno strano sorriso, poi scoppiò a ridere. «Ah, povero Cazaril, l’uomo che ignora la preda vicina e si lancia a inseguire quella che fugge probabilmente finirà a mani vuote. Questa vi sembra una dimostrazione d’intelligenza?» E posò l’anello sulla panchina, in mezzo a loro.
Aperte entrambe le mani, Cazaril le protese davanti al proprio petto col palmo sollevato, poi le abbassò con decisione sulle ginocchia. «Mio signore… Risparmiate il vostro tesoro e compratevi un uomo che abbia un prezzo più basso. Sono certo che non faticherete a trovarne uno», rispose in tono pacato.
Recuperato l’anello, Dondo lo fissò con espressione sempre più accigliata. «Non sei cambiato affatto, Cazaril», disse. «Sei sempre lo stesso moralista ipocrita. Tu e quello stupido di dy Sanda siete uguali, ma immagino che non ci sia da stupirsi, considerato che siete stati entrambi scelti da quella vecchia che risiede a Valenda.»
Alzatosi di scatto, si rimise l’anello al dito e si avviò a grandi passi. I due uomini rimasti ad attenderlo si affrettarono a seguirlo, dopo aver scoccato un’occhiata incuriosita a Cazaril, il quale trasse un profondo sospiro. Quel momento di furente soddisfazione era forse stato comprato a un prezzo troppo alto? Non sarebbe stato più saggio accettare l’anello e lasciare Lord Dondo con la felice convinzione di avere un altro uomo alle sue dipendenze, un individuo come lui, facile da capire e da controllare? Sentendosi molto stanco, si alzò e rientrò nella torre, salendo le scale verso la sua camera da letto.
Stava infilando la chiave nella serratura quando dy Sanda lo oltrepassò nel corridoio, sbadigliando e scambiando con lui un saluto abbastanza cortese.
«Aspettate un momento, dy Sanda», chiamò Cazaril.
«Castillar?» replicò questi, scoccandogli un’occhiata da sopra la spalla.
«In questi giorni, state ben attento a chiudere a chiave la porta e a tenere la chiave sempre con voi?»
«Ho un baule con una serratura robusta: una protezione sufficiente per le mie cose di valore», replicò dy Sanda, girandosi a guardarlo con espressione perplessa.
«Non è sufficiente. Dovete impedire l’accesso alla stanza.»
«In modo che non si possa rubare nulla? Ho ben poco che…»
«No, in modo che nulla di rubato possa essere messo al suo interno», precisò Cazaril.
Per un momento, dy Sanda rifletté su quelle parole, poi sollevò lo sguardo a incontrare quello di Cazaril. «Oh», mormorò infine, con un lento cenno di ringraziamento che era quasi un inchino. «Vi ringrazio, Castillar. Non ci avevo pensato.»
Ricambiato il cenno, Cazaril si ritirò nella propria camera.
10
Seduto in camera da letto, circondato da una quantità di candele accese e reggendo il classico poema brajariano La leggenda dell’albero verde, Cazaril si concesse un sospiro appagato. La biblioteca dello Zangre, famosa ai tempi di Fonsa il Saggio, era stata da allora molto trascurata. Quel particolare volume, a giudicare dalla polvere che lo copriva, di certo non era stato più estratto dallo scaffale fin da quando il regno di Fonsa si era concluso… Ma, a parte i versi di Behar, ciò che Cazaril apprezzava era potersi concedere una quantità di candele tale da rendere la lettura fino a notte tarda un piacere e non una sofferenza. Al di là del suo appagamento, però, Cazaril si sentiva un po’ in colpa: il costo di quelle candele si sarebbe infatti accumulato sui libri contabili di Iselle, e sarebbe parso un po’ strano.
Con le tonanti cadenze dei versi di Behar che gli echeggiavano nella mente, si umettò un dito e girò la pagina… poi però si rese conto che la poesia di Behar non era l’unica cosa intorno a lui che stava tuonando ed echeggiando. Lanciò un’occhiata al soffitto, da dove giungevano rapidi tonfi e rumori striscianti, misti a risa soffocate e a voci che si chiamavano a vicenda. Ma imporre a Iselle e a Betriz di andare a letto a un’ora ragionevole era un compito che spettava a Nan dy Vrit e non a lui, quindi Cazaril tornò a concentrarsi sulle visioni teologicamente simboliche del poeta, ignorando quel chiasso, almeno finché non sentì uno stridio, simile a quello di un maiale spaventato.
Soltanto allora — pensando con un sogghigno che si trattava di un mistero con cui neppure il grande Behar poteva competere -, si alzò dal letto, si allacciò la tunica, infilò le scarpe e prese un candelabro protetto da una campana di vetro per farsi luce nel salire le scale.
Lungo la strada, incontrò Dondo dy Jironal che stava scendendo i gradini. Abbigliato, come sempre quand’era a corte, con una tunica di broccato azzurro e calzoni bianchi di lana e lino, Dondo teneva in mano la sopravveste bianca, insieme con la cintura e la spada. Appariva teso e arrossato in volto. Quando s’incrociarono, Cazaril fece per rivolgergli un saluto cortese, ma le parole gli morirono sulle labbra di fronte all’espressione omicida dello sguardo del nobile, che lo oltrepassò in silenzio con aria tempestosa.
Nell’imboccare il corridoio del piano superiore, poi, Cazaril scoprì che i candelabri fissati alle pareti erano tutti accesi e che li era radunata una quantità inspiegabile di persone… Non c’erano soltanto Betriz, Iselle e Nan dy Vrit, ma anche Lord dy Rinal, uno dei suoi amici, un’altra dama e Ser dy Sanda, stretti in un gruppetto e intenti a ridere di gusto. All’improvviso, Teidez e un paggio saettarono in mezzo a loro, lanciati all’inseguimento di un maialino ben pulito e adorno di nastri che, nel fuggire, si stava trascinando dietro una sciarpa. Il paggio riuscì finalmente a catturare l’animale proprio davanti ai piedi di Cazaril e Teidez lanciò un grido di trionfo.
«Nel sacco, nel sacco!» gridò dy Sanda.
Il tutore e Lady Betriz avanzarono proprio mentre Teidez e il paggio, unendo i loro sforzi, riuscivano a infilare la creatura in un grosso sacco di tela, nel quale essa non aveva nessuna voglia di entrare; chinandosi in avanti, Betriz accarezzò rapidamente dietro le orecchie la creatura che si dibatteva.
«Ti ringrazio, Lady Porcellina», disse. «Hai recitato a meraviglia la tua parte, ma adesso per te è ora di tornare a casa.»
Issatosi in spalla il pesante sacco, il paggio salutò i presenti e si allontanò, con passo barcollante a causa del peso, ma con un sorriso divertito che gli aleggiava ancora sulle labbra.
«Cosa sta succedendo qui?» chiese allora Cazaril, combattuto tra la voglia di ridere e un vago senso di allarme.
«Oh, è stato uno scherzo davvero grandioso!» esclamò Teidez. «Avreste dovuto veder l’espressione sulla faccia di Lord Dondo!»
«Che cosa avete fatto?» insistette Cazaril, con crescente apprensione. Aveva appena visto l’espressione di Dondo, e non aveva riso affatto.
Fu Iselle che intervenne a spiegare: «Dal momento che né i miei velati avvertimenti né le parole più esplicite di Lady Betriz sono riusciti a indurre Lord Dondo a desistere dalle sue attenzioni, o almeno a fargli capire che esse non erano gradite, abbiamo cospirato per procurargli l’appuntamento amoroso che tanto desiderava. Però, al posto della vergine che lui si aspettava di trovare, quando si è avvicinato in punta di piedi al letto di Betriz, Dondo ha trovato… Lady Porcellina!»