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«Il vostro volto sembra di nuovo scavato. Non avete mangiato a sufficienza?» domandò la giovane, in tono severo.

«Non ne ho idea. Questo sole è splendido! Spero che resista fino a domani.»

«Lady dy Baocia ritiene di sì, anche se è convinta che potrebbe piovere ancora, entro il Giorno della Figlia.»

Il profumo dei fiori di arancio colmava lo spazio riparato del cortile e sembrava mischiarsi col sapore del miele che lui aveva in bocca. «Fra tre giorni, sarà trascorso esattamente un anno da quando sono entrato nel castello di Valenda. A quel tempo, ero disposto a fare anche lo sguattero», osservò Cazaril, bevendo il tè per accompagnare il pane.

«Lo rammento», annuì Betriz, con un sorriso. «È stato alla scorsa vigilia del Giorno della Figlia che ci siamo conosciuti, alla tavola della Provincara.»

«Oh, io vi avevo già vista prima, quando siete entrata a cavallo nel cortile con Iselle e… con Teidez.» E col povero dy Sanda, aggiunse mentalmente.

«Davvero?» esclamò Betriz, sorpresa. «Non vi ho visto. Dov’eravate?»

«Seduto su una panca, vicino al muro. Eravate troppo impegnata a farvi rimproverare da vostro padre per aver galoppato, per accorgervi di me.»

«Oh», mormorò Betriz, poi sospirò e fece scorrere la mano nell’acqua della fontana, scrollando via le gocce fredde con aria accigliata; anche se nell’aria si avvertiva il respiro della Signora della Primavera, l’acqua era ancora sotto il dominio del Vecchio Inverno. «Mi pare che siano passati cento anni, non uno soltanto», aggiunse.

«A me sembra invece che sia trascorso appena un secondo. Adesso… il tempo corre più veloce di me, il che probabilmente spiega perché il mio respiro sia così affannoso», replicò Cazaril a mezza voce e, dopo un momento, chiese: «Iselle ha confidato a suo zio l’esistenza della maledizione che intendiamo infrangere domani?»

«No, naturalmente non lo ha fatto», rispose Betriz e, nel notare la sua espressione sorpresa, aggiunse: «Iselle è la figlia di Ista… Non può dire cose del genere, altrimenti la gente direbbe che è pazza anche lei, e qualcuno ne approfitterebbe per toglierle… tutto. Dy Jironal ha fatto un lavoro eccellente, a questo riguardo. Durante il funerale di Teidez, non ha perso occasione per fare ogni sorta di commento su Iselle con qualsiasi nobile o Provincar che fosse a portata di udito. Se piangeva, il suo comportamento era troppo stravagante; se sorrideva, era strano che facesse una cosa del genere al funerale del fratello; se parlava, dy Jironal era pronto a far notare quanto apparisse frenetico il suo atteggiamento; se invece stava in silenzio, lui sottolineava come lei fosse stranamente cupa. E, mentre parlava, gli uomini cui si era rivolto cominciavano a interpretare il comportamento di Iselle esattamente in quella chiave, per quanto fasulla fosse. Verso la fine della sua visita qui, poi, lui ha detto cose terribili, facendo in modo che Iselle potesse sentirlo, per cercare di spaventarla o di farla infuriare, e accusarla così di essere una squilibrata. A quel punto, però, io, Nan e la Provincara avevamo ormai capito il suo gioco e abbiamo avvertito Iselle, che ha badato a rimanere sempre composta e controllata in sua presenza.»

«Ah. Una ragazza eccellente», approvò Cazaril.

«Non appena abbiamo saputo che gli uomini del Cancelliere intendevano riportarla a Cardegoss, Iselle è stata colta da una vera frenesia… Doveva fuggire da Valenda a ogni costo», annuì Betriz. «Se fosse riuscito a isolarla, dy Jironal avrebbe potuto far circolare qualsiasi fandonia sul suo comportamento, senza che nessuno potesse confutarlo. Forse sarebbe perfino riuscito a convincere i Provincar di Chalion a prolungare a tempo indefinito la sua reggenza per conto di quella povera, folle ragazza e tutto ciò senza colpo ferire. Ecco perché Iselle non osa neppure menzionare la maledizione.»

«Capisco. È un bene che sia cauta. In ogni caso, agli Dei piacendo, questa storia ben presto sarà finita.»

«Agli Dei e al Castillar dy Cazaril», precisò Betriz.

Respingendo quelle parole con un gesto appena abbozzato, Cazaril bevve un altro sorso di tè. «Che cos’è successo quando dy Jironal ha scoperto che ero andato a Ibra?» domandò.

«Credo che non lo abbia neppure sospettato finché il corteo funebre non è arrivato a Valenda, e non vi abbiamo trovato là. Stando a ciò che ha detto alla Provincara, pare che abbia ricevuto alcuni rapporti dalle sue spie ibrane… Credo che sia stato anche per questo che, pur essendo ansioso di tornare nella capitale per impedire a dy Yarrin di portare Orico dalla sua parte, ha comunque rifiutato di lasciare Valenda finché non vi ha installato le sue truppe.»

«Ha anche mandato alcuni sicari, che ci hanno trovato sulla frontiera… Mi chiedo se si aspettasse che sarei tornato da solo, per la seconda fase dei negoziati… Non credo immaginasse che il Royse Bergon si sarebbe mosso così in fretta.»

«Non lo supponeva nessuno, tranne Iselle», osservò Betriz, tormentando con le dita la sopravveste di fine lana nera che le copriva le ginocchia. Poi risollevò lo sguardo e fissò Cazaril con occhi d’un tratto penetranti, domandando: «Mentre eravate impegnato a consumarvi per salvare Iselle… avete scoperto come salvare voi stesso?»

«No», rispose Cazaril, in tutta semplicità, dopo un momento di silenzio.

«Non è giusto.»

Cazaril fissò il cortile soleggiato, evitando d’incontrare lo sguardo di lei. «Mi piace questo bell’edificio nuovo. Sapete, qui non ci sono spettri…»

«State cambiando argomento», osservò Betriz, accigliandosi. «E fate sempre così, se non volete parlare di qualcosa…»

«Betriz… La notte in cui ho invocato la morte su Dondo, noi abbiamo imboccato sentieri differenti e adesso non posso più tornare indietro. Voi continuerete a vivere, io no. Non possiamo proseguire insieme, neppure se… Ecco, no, non possiamo.»

«Non possiamo sapere quanto tempo vi rimane. Potrebbero essere settimane, o mesi, ma se il dono elargitoci dagli Dei fosse anche un’ora soltanto, disprezzarlo e respingerlo sarebbe ancora più offensivo nei loro confronti.»

«Non si tratta soltanto del tempo», insistette Cazaril, agitandosi sulla sedia, a disagio. «Ma anche di un… Come posso chiamarlo? Di un eccesso di compagnia, ecco. Noi due, soli, ma con Dondo e col demone della morte… Non vi faccio orrore?» domandò, in tono quasi supplichevole. «Vi garantisco che ne faccio a me stesso!»

Betriz scoccò un’occhiata al suo ventre, poi spostò lo sguardo verso la parte opposta del cortile e assunse un’espressione cocciuta. «Non ritengo che essere… infestato da un fantasma sia contagioso. O credete forse che io manchi di coraggio?»

«Questo mai», sussurrò Cazaril.

«Assalirei il cielo per te, se sapessi dove si trova», sibilò Betriz.

«Non avete letto il libro di Ordol, mentre aiutavate Iselle a comporre le lettere cifrate? Secondo lui, noi e gli Dei esistiamo nello stesso tempo e nello stesso luogo e siamo separati soltanto da una cortina spessa quanto un’ombra. Non c’è nessuna distanza da superare», spiegò Cazaril, pensando che in effetti Ordol aveva ragione. Da dove sedeva, lui poteva davvero scorgere il mondo degli Dei. «D’altro canto, non si può imporre qualcosa agli Dei con la forza. E mi sembra giusto, dato che loro non possono costringere noi.»

«Lo state facendo di nuovo! State cambiando argomento!»

«Cosa intendete indossare domani? Avete scelto un bell’abito? Ricordate che non dovete mettere in ombra la sposa.»

Betriz gli scoccò un’occhiata di fuoco.

In quel momento, Lady dy Baocia uscì dalle stanze di Iselle e si affacciò dalla galleria per rivolgere a Betriz una complicata domanda che riguardava un gran numero di tessuti differenti, o almeno così parve a Cazaril. Rispondendo con un cenno, lei si alzò con una certa riluttanza e si avviò alla scala, ribattendo da sopra la spalla, in tono tagliente: «Forse è davvero così. Forse voi siete condannato. Ma se domani dovessi cadere da cavallo e rompermi l’osso del collo, spero che, dopo, voi vi sentiate un idiota».

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