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— Ma perché?

— Adesso non vi sono più gli incendiari di libri. Dobbiamo preoccuparci degli abitanti dei villaggi, però. Le catenelle resteranno.

Kornhoer si rivolse all'abate ed aprì le braccia. — Vedete, Monsignore?

— Ha ragione — disse Don Paulo. — C'è troppa agitazione nel villaggio. Il consiglio cittadino ha espropriato la nostra scuola, non dimenticatelo. Adesso hanno una biblioteca del villaggio, e vogliono che siamo noi a riempire i loro scaffali. Preferibilmente con volumi rari, naturalmente. E non c'è solo questo; l'anno scorso abbiamo avuto dispiaceri dai ladri. Frate Armbruster ha ragione. I volumi rari restano incatenati.

— Benissimo — sospirò Kornhoer. — Quindi dovrà lavorare dentro l'alcova.

— E allora, dove appenderemo questa vostra lampada meravigliosa?

I monaci guardarono verso il cubicolo. Era uno dei quattordici stalli identici, suddivisi per ordine di materia, che si aprivano nella sala principale. Ogni alcova aveva la sua arcata, e da un gancio di ferro infisso nella chiave di volta di ogni arcata pendeva un pesante crocifisso.

— Bene, se dovrà lavorare nell'alcova — disse Kornhoer — dovremo togliere il crocifisso ed appendervi la lampada, provvisoriamente. Non mi sembra che vi sia altro…

— Ateo! — sibilò il bibliotecario. — Pagano! Sacrilego! — Armbruster levò al cielo le mani tremanti. — Dio mi aiuti, perché io non lo faccia a pezzi con queste mani! Dove si fermerà? Portatelo via, via! — Voltò le spalle ai due, mentre le mani continuavano a tremargli.

Anche Don Paulo aveva provato un brivido alla richiesta dell'inventore, ma ora corrugò irritato la fronte guardando il dorso di frate Armbruster. Non si era mai aspettato che fingesse una mitezza che era estranea alla sua natura, ma l'atteggiamento querulo del vecchio monaco era diventato ben peggio.

— Frate Armbruster, voltatevi, vi prego.

Il bibliotecario si voltò.

— Adesso abbassate le mani, e parlate con più calma quando…

— Ma, Padre Abate, avete sentito che cosa ha…

— Frate Armbruster, fatemi la cortesia di prendere la scala e di togliere quel crocifisso.

Il viso del bibliotecario impallidì. Fissò Don Paulo, senza parlare.

— Questa non è una chiesa — disse l'abate. — La collocazione delle immagini è facoltativa. Per il momento, fatemi la cortesia di togliere il crocifisso. Pare che sia l'unico posto adatto per la lampada. Più tardi potremo cambiare. Ora, capisco che questa faccenda ha messo sottosopra la vostra biblioteca, e forse anche la vostra digestione, ma noi speriamo che questo sia nell'interesse del progresso. Se non lo è, allora…

— Voi costringereste Nostro Signore a spostarsi per fare posto al progresso!

— Frate Armbruster!

— Perché non Gli appendete al collo quella luce stregata? — continuò il bibliotecario.

Il viso dell'abate si gelò. — Io non forzo la vostra obbedienza, fratello. Venite nel mio studio, dopo Compieta — rispose.

Il bibliotecario sussultò. — Prenderò la scala, Padre Abate — sussurrò, e si allontanò strascicando i piedi.

Don Paulo levò lo sguardo verso il Cristo al sommo dell'arcata. Ti dispiace? si chiese.

Aveva un groppo allo stomaco. Sapeva che quel groppo avrebbe reclamato un prezzo da lui, più tardi. Lasciò il sotterraneo prima che qualcuno potesse notare il suo imbarazzo. Non era bene permettere che la comunità vedesse fino a che punto quelle spiacevoli piccolezze lo potevano sopraffare, in quei giorni.

L'installazione fu completata il giorno seguente, ma Don Paulo rimase nel suo studio, durante la prova. Per due volte era stato costretto ad ammonire privatamente frate Armbruster, e poi a rimproverarlo pubblicamente, durante il Capitolo. Eppure, provava più comprensione per l'atteggiamento del bibliotecario che per quello di Kornhoer. Sedeva affranto dietro la scrivania e attendeva che gli portassero notizie dal sotterraneo, ma era ben poco interessato al successo o al fallimento della prova. Teneva una mano infilata nell'abito, e la batteva sullo stomaco come se cercasse di calmare un bambino isterico.

Ancora quei crampi interni. Sembravano presentarsi ogni volta che si minacciava qualcosa di spiacevole, e qualche volta si allontanavano quando l'evento spiacevole esplodeva chiaramente, in modo che lui potesse affrontarlo. Ma ora non si allontanavano affatto.

Era un avvertimento, e lo sapeva. Venisse, quell'avvertimento, da un angelo o da un demonio o dalla sua coscienza, gli diceva di stare attento a se stesso e a qualche realtà non ancora affrontata.

E ora? si chiese, permettendosi un silenzioso singhiozzo e un silenzioso Perdonami rivolto alla statua di San Leibowitz, posta nella nicchia a forma di cappelletta in un angolo dello studio.

Una mosca camminava sul naso di San Leibowitz. Gli occhi del santo sembravano storcersi per fissare la mosca, esortando l'abate a scacciarla. L'abate si era affezionato a quella scultura in legno del ventiseiesimo secolo; il suo volto aveva un sorriso curioso, di un tipo piuttosto insolito in un'immagine sacra. Il sorriso era obliquo; le sopracciglia erano abbassate in un cipiglio vagamente dubbioso, sebbene vi fossero le grinze di un sorriso negli angoli degli occhi. Poiché aveva su una spalla la corda del carnefice, l'espressione del santo sembrava spesso enigmatica. Probabilmente era il risultato di alcune lievi irregolarità nella grana del legno, che avevano preso il sopravvento sulla mano dello scultore mentre quello cercava di ottenere alcuni particolari più minuziosi, possibili con quel tipo di legno. Don Paulo non era sicuro che quell'immagine non fosse stata modellata sull'albero vivo, prima di essere scolpita: qualche volta i pazienti maestri e scultori di quel periodo cominciavano a scegliere alberelli giovani di quercia o di cedro e — dedicando tediosissimi anni a torcere e a scortecciare la pianta, a legarne i rami vivi nelle posizioni desiderate — tormentavano il legno che cresceva costringendolo ad assumere sbalorditive forme di driade, con le braccia conserte o sollevate, prima di tagliare l'albero cresciuto per prepararlo e scolpirlo. La statua che ne risultava era insolitamente resistente ad ogni tentativo di scheggiarla o di spezzarla, poiché quasi tutte le linee di scultura seguivano la venatura naturale.

Don Paulo si stupiva che quel Leibowitz ligneo avesse resistito ai suoi predecessori durante molti secoli, a causa del bizzarro sorriso del santo. Un giorno o l'altro, quel lieve sogghigno sarà la tua rovina, disse alla statua… Senza dubbio, i santi devono ridere, in Paradiso; il Salmista dice che anche Iddio ride, ma l'Abate Malmeddy doveva avere disapprovato… Dio conceda riposo alla sua anima. Quel solenne somaro! Come te la sei cavata con lui, mi domando? Non sei abbastanza ipocrita, per certa gente. Quel sorriso… chi conosco, io, che sogghigni in quel modo? Mi piace, ma… Un giorno o l'altro, in questa sedia siederà un altro individuo dall'umore canino… Cave canem. Ti sostituirà con un Leibowitz di gesso. Dall'aria di sopportazione. Che non guardi le mosche con gli occhi storti. E tu verrai divorato dalle termiti, giù nel magazzeno. Per sopravvivere al lento mutamento di gusto della Chiesa in materia di arte devi avere una superficie che piaccia a un virtuoso semplicione; eppure devi avere una profondità, sotto quella superficie, per piacere a un saggio che sa discernere le cose. Il mutamento è lento ma ogni tanto c'è qualche scossa… quando qualche nuovo prelato visita il suo appartamento episcopale e brontola: "Un po' di questa spazzatura deve sparire". Di solito il mutamento era carico di pappetta addolcita. Quando la vecchia pappetta era esaurita, se ne aggiungeva una nuova. Ma ciò che non si esaurisce era oro puro, e durava. Se una chiesa aveva sopportato cinque secoli di cattivo gusto, qualche sprazzo di buon gusto aveva di solito spazzato via la maggioranza delle croste caduche, e ne aveva fatto un luogo di maestà che intimoriva gli aspiranti innovatori.

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