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Il viaggio a Nuova Roma avrebbe richiesto almeno tre mesi, forse di più, poiché la sua durata dipendeva in parte dalla distanza che Francis sarebbe riuscito a coprire prima che l'inevitabile banda di predoni gli togliesse l'asino. Avrebbe dovuto viaggiare solo e disarmato, portando soltanto la sua bisaccia e la ciotola delle elemosine, oltre alla reliquia e alla sua copia alluminata. Pregava che i predoni ignoranti giudicassero inutile quest'ultima; perché, invero, fra i banditi della strada vi erano alcuni ladri di animo gentile che rubavano soltanto gli oggetti di valore, e permettevano alle vittime di conservare la vita, la carcassa e gli effetti personali. Altri erano meno rispettosi.

Per precauzione, Francis portava una benda nera sull'occhio destro. I contadini erano superstiziosi e spesso potevano essere messi in fuga anche dal semplice sospetto del malocchio. Così equipaggiato, partì, per obbedire alla chiamata del Sacerdos Magnus, il Santo Sovrano, Leone Papa XXI.

Quasi due mesi dopo aver lasciato l'abbazia, il monaco incontrò il suo ladrone sul sentiero di una montagna coperta di boschi, lontano da ogni abitato umano, ad eccezione della Valle dei Malnati, che giaceva a poche miglia al di là di un picco, verso ovest, dove una colonia di pochi esseri geneticamente mostruosi vivevano come lebbrosi, isolati dal mondo. Alcune colonie di quel tipo venivano visitate dagli Ospitalieri della Santa Chiesa, ma la Valle dei Malnati non era tra queste.

Gli anormali che erano sfuggiti alla morte per mano dei membri delle tribù delle foreste vi si erano raccolti, parecchi secoli prima. I loro ranghi erano continuamente riempiti da esseri deformi e striscianti che cercavano rifugio dal mondo, ma fra loro qualcuno era fertile e generava nuove creature. Spesso quei figli ereditavano le mostruosità dei genitori. Spesso nascevano morti o non raggiungevano mai la maturità. Ma di tanto in tanto i tratti mostruosi erano recessivi, e dall'unione di due anormali nasceva un figlio apparentemente normale. Qualche volta, tuttavia, le creature superficialmente "normali" erano oberate da qualche invisibile deformità di cuore o di mente, che le orbava, a quanto pareva, dell'essenza di umanità, mentre ne lasciava loro l'aspetto. Anche nella Chiesa, qualcuno aveva osato sostenere la convinzione che tali creature erano state in verità private della Dei imago fin dalla concezione, che le loro anime erano soltanto anime di bestie, e che potevano essere impunemente distrutte, secondo la Legge Naturale, come animali e non come uomini, che Dio aveva mandato nascite animali fra la specie umana come punizione per i peccati che avevano quasi distrutto l'umanità. Pochi teologi che la credenza nell'Inferno non abbandonava mai preferivano affermare che Dio non avrebbe mai fatto ricorso ad alcuna forma di punizione temporale, ma per gli uomini assumersi il diritto di giudicare una creatura nata di donna come priva della divina immagine era un'usurpazione dei privilegi del Cielo. Persino l'idiota che pareva meno dotato di un maiale o di una capra deve, se nato da donna, essere chiamato anima immortale, tuonava il magisterium, e continuava a tuonare. Dopo che parecchi di questi pronunciamenti, miranti a reprimere l'infanticidio, furono emessi da Nuova Roma, gli infelici malnati erano chiamati "nipoti del Papa" o "figli del Papa", da qualcun altro.

«Lasciate che colui che è nato vivo da genitori umani rimanga vivo» aveva detto il precedente Leone «secondo la Legge Naturale e la Divina Legge dell'Amore: sia esso allevato come Figlio e nutrito, qualunque sia la sua forma e il suo comportamento, perché è un fatto evidente alla ragione naturale, senza necessità di appoggio da parte della Divina Rivelazione, che fra i Diritti Naturali dell'Uomo, il diritto all'assistenza da parte dei genitori nel tentativo di sopravvivere ha la precedenza su qualsiasi altro diritto, e non può essere modificato legittimamente dalla Società o dallo Stato, ad eccezione dei casi in cui i Prìncipi hanno il potere di rafforzare tale diritto. Neppure le bestie, sulla Terra, agiscono altrimenti.»

Il ladrone che accostò frate Francis non era in modo evidente una creatura deforme, ma fu evidente che proveniva dalla Valle dei Malnati quando due figure incappucciate si levarono dietro un groviglio di arbusti sul pendio che incombeva sul sentiero e lanciarono grida ironiche al monaco, mentre lo prendevano di mira con gli archi tesi. Da quella distanza, Francis non ebbe la certezza che fosse esatta la sua prima impressione, e cioè che una delle mani strette su un arco aveva sei dita o un pollice in più: ma non v'era alcun dubbio che una delle figure portasse una tonaca con due cappucci, sebbene non riuscisse a distinguere i visi e non potesse stabilire se il cappuccio in più contenesse o no una testa in più.

Il ladrone era ritto sul sentiero, davanti a Francis. Era basso, ma forte e massiccio come un toro, con una calvizie lucente e una mascella simile a un pezzo di granito. Stava ritto con le gambe divaricate e con le braccia massicce conserte sul petto, mentre osservava l'appressarsi della minuscola figura a cavalcioni dell'asino. Il ladrone, per quanto poteva vedere frate Francis, era armato soltanto dei suoi muscoli e di un coltello che non si prese il disturbo di togliere dalla cintura. Fece cenno a Francis di avanzare. Quando il monaco si fermò a cinquanta metri da lui, uno dei figli del Papa scagliò una freccia che si piantò nel sentiero dietro l'asino, facendo sobbalzare l'animale.

— Scendi — ordinò il ladrone.

L'asino si fermò sul sentiero. Frate Francis gettò indietro il cappuccio per mostrare la benda sull'occhio e alzò un dito tremante fino a toccarla. Cominciò a sollevare lentamente la benda sull'occhio.

Il ladrone rovesciò la testa e rise d'una risata che avrebbe potuto sgorgare, pensò Francis, dalla gola di Satana: il monaco mormorò un esorcismo, ma il ladrone non ne sembrò toccato.

— Questo trucco di voi buffoni vestiti di nero è logoro ormai da anni — disse. — Adesso scendi.

Frate Francis sorrise, alzò le spalle e smontò senza ulteriori proteste. Il ladrone esaminò l'asino, gli batté sui fianchi, gli osservò i denti.

— Mangiare? Mangiare? — gridò una delle figure incappucciate dalla collina.

— Questa volta no — abbaiò il ladrone. — Troppo magro.

Frate Francis non era completamente sicuro che stessero parlando dell'asino.

— Buon giorno a voi, signore — disse cordialmente il monaco.

— Potete prendere l'asino. Camminare migliorerà la mia salute, credo. — Sorrise di nuovo e fece per avviarsi di nuovo.

Una freccia saettò sul sentiero, si infisse ai suoi piedi.

— Finiscila! — ululò il ladrone, e poi, rivolto a Francis: — Adesso spogliati. E vediamo cosa c'è nel rotolo e nella bisaccia.

Frate Francis toccò la ciotola delle elemosine e fece un gesto impotente, che provocò soltanto un'altra risata sarcastica del ladrone.

— Ho già visto anche questo trucco — disse. — L'ultimo uomo con la ciotola che ho visto aveva un heklo d'oro nascosto nello stivale. E adesso spogliati.

Frate Francis, che non portava stivali, mostrò speranzoso i suoi sandali, ma il ladrone fece un gesto impaziente. Il monaco slegò la bisaccia, ne sparse il contenuto, e cominciò a svestirsi. Il ladrone gli frugò gli abiti, non trovò nulla, e ributtò l'abito al suo proprietario, che mormorò la sua gratitudine; aveva previsto di essere lasciato nudo sul sentiero.

— Adesso vediamo cosa c'è dentro l'altro involto.

— Contiene soltanto documenti, signore — protestò il monaco — che non hanno alcun valore se non per il loro proprietario.

— Apri.

In silenzio, frate Francis slegò l'involto e ne tolse la blueprint e la copia alluminata. Gli intarsi in foglia d'oro e il disegno colorato lampeggiarono vivacemente nella luce del sole che filtrava attraverso il fogliame. Il ladrone spalancò la bocca e zufolò sommessamente.

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