Miri provò una strana riluttanza a guardare le trasmissioni della Terra, una riluttanza che non aveva certamente provato prima di allora. Ancora una volta, però, annuì. La nonna aveva la fragranza di un sapone profumato, leggero e pulito; i suoi capelli lunghi, raccolti in una crocchia, rilucevano come vetro nero. Miri appoggiò timidamente una mano sul ginocchio di Jennifer.
— E ancora una cosa, tesoro caro — disse Jennifer. — Dodici anni sono troppi per piangere, Miri, specialmente per una dura necessità. La sola sopravvivenza richiede troppo da noi per poterci consentire le lacrime. Ricordalo.
— Lo f-f-farò — rispose Miri.
Il giorno dopo vide Joan che si recava dalla cupola dei suoi genitori al parco. Miri la chiamò, ma Joan continuò a camminare e non si voltò. Un momento dopo, Miri sollevò il mento e si incamminò nella direzione opposta.
20
I cinque giovani strisciarono furtivamente verso la recinzione metallica, tenendosi nell’ombra di cespugli e alberi non potati e di una panchina sfasciata in quello che un tempo poteva essere stato un parco. La luna stava salendo alta a est, facendo scintillare la recinzione d’argento. Le sue maglie erano molto ampie, con una lavorazione a chiocciola che risultava tanto diseguale quanto priva di sostanza: la recinzione era indubbiamente solo un segnale, e la vera protezione doveva essere fornita da un campo a energia-Y. Se così era, il debole scintillio del campo non risultava visibile nell’oscurità e non c’era modo di calcolarne l’altezza.
— Lancia in alto — sussurrò Drew dalla carrozzella al ragazzo che gli stava vicino, chiunque fosse. Tutti e cinque indossavano plastitute scure e stivali neri. Drew riusciva a ricordare soltanto tre dei loro nomi. Li aveva incontrati nel pomeriggio in un bar, appena dopo essere arrivato in città. Immaginava che avessero meno dei suoi diciannove anni; non era importante. Avevano crediti dell’assistenza sociale per liquori e narcotici, quindi perché doveva importare? Perché doveva importare qualsiasi cosa?
— Ora! — gridò qualcuno.
Balzarono in avanti. La carrozzella di Drew si inceppò su un ammasso di erbacce resistenti e lui venne proiettato in avanti. Le cinture di sicurezza lo trattennero, e la carrozzella si raddrizzò e procedette, ma gli altri raggiunsero per primi lo scudo a energia-Y. Scagliarono le bombe di fortuna, fatte con benzina procurata in una fattoria abbandonata. Nessuno oltre Drew aveva avuto idea di cosa fosse quella roba, così come nessuno oltre Drew aveva mai sentito parlare di "cocktail Molotov". Lui era l’unico che sapeva leggere.
— Merda! — strillò il ragazzo più giovane. La sua bomba aveva colpito quella che poteva essere la parte superiore della recinzione a energia, era esplosa e aveva cominciato a far piovere fiamme e plastica sull’erba secca. L’erba prese fuoco. Due delle altre bombe fecero la stessa fine; il quarto ragazzo lasciò cadere la propria e si mise a correre, strillando. La sua camicia aveva preso fuoco a causa di un frammento incandescente.
Drew fece correre la carrozzella fino a meno di due metri dalla recinzione, tirò indietro il braccio e lanciò. Le sue braccia fortemente muscolose, risultato di un incessante allenamento, spedirono la bomba al di sopra della recinzione a energia-Y. L’erba su entrambi i lati dello scudo si infiammò.
— Karl è stato colpito! — gridò qualcuno. I tre ragazzi più grandi sfrecciarono in direzione dei propri scooter. Uno di loro placcò Karl e lo fece rotolare, urlante, sull’erba. Drew rimase seduto sulla carrozzella, immobile, a guardare l’incendio e a sentire lo stridio della sirena d’allarme, perfino più rumorosa del ragazzo ustionato.
— C’è qui qualcuno per tirarti fuori, stronzo — annunciò lo sceriffo. Sbloccò la serratura a energia-Y e spalancò la porta della cella. Drew sollevò lo sguardo con espressione insolente dalla brandina in pietra spugnosa, uno sguardo che svanì quando il suo salvatore fu entrato.
— Tu! Perché?
— Ti aspettavi di nuovo Leisha, vero? — domandò Eric Bevington-Watrous. — Peccato. Questa volta avrai me.
— È stufa di tirarmi fuori? — Drew chiese con voce strascicata.
— Se non lo è, dovrebbe esserlo.
Drew lo esaminò, cercando di pareggiare il freddo disprezzo di Eric. Il ragazzo furioso che aveva combattuto con lui presso il pioppo nero poteva anche non essere mai esistito. Eric indossava pantaloni neri di cotone, un corpetto elasticizzato crespato e un cappotto nero con rinforzi: tutto molto tradizionale ma alla moda. Aveva stivali di pelle argentina, i capelli dall’ottimo taglio, una pelle lucente. Sembrava un Mulo, di bell’aspetto e deciso, abituato a gestire le situazioni, mentre Drew sapeva di sembrare un Vivo caduto troppo in basso per riuscire a vivere. E lo era. Uscendo dall’ottica riguardante la realtà, che era l’unico modo in cui gradiva vedere qualsiasi cosa in quel periodo, Drew vide Eric e se stesso come un freddo e liscio ovulo che fluttuava accanto a una piramide deformata e frastagliata, con ogni punta dentellata, sbreccata o intaccata.
Chi era stato il primo a operare quella deformazione? Chi lo aveva menomato? Di chi era la fottuta carità che gli aveva mostrato quanto lui fosse inutile rispetto a tutti gli stronzissimi Muli del mondo?
— E se io non volessi essere tirato fuori?
— Allora resta qui a marcire — rispose Eric. — A me non interessa.
— Perché dovrebbe? Con il tuo vestito da Mulo rampante, la tua superiorità da Insonne e i soldi di tua zia?
Eric non poteva più essere schernito in quel modo. — I miei soldi, adesso. Io li guadagno. A differenza di te, Arlen.
— Per alcuni di noi è un po’ più dura.
— Oh, e noi dovremmo proprio provare una gran pena per te, per questo motivo? Povero Drew. Povero puzzolente, menomato criminale Drew — disse Eric in un tono talmente disinteressato, talmente adulto, che Drew rimase sbalordito. Eric aveva soltanto due anni più di lui: nemmeno Leisha riusciva a essere così distaccata.
Se lo fosse stata, loro due si sarebbero forse trovati in quella cella?
Quel pensiero era un verme spinoso che gli scivolava attraverso la mente, lasciando una scia di bava che riluceva perfino al buio.
— Secondino — chiamò Eric. — Noi andiamo.
Nessuno rispose. Nessuno menzionò imputazioni penali, avvocati, cauzione, l’intero sistema legale che avrebbe dovuto funzionare con uguale giustizia per tutti gli uomini in modo fottutamente uguale.
Drew si trascinò sui gomiti attraverso il pavimento e salì sulla carrozzella, parcheggiata appena al di là delle sbarre. Nessuno lo aiutò. Seguì Eric… perché no? Che cazzo importava se lui era o no in galera, a marcire in quel paesello o da qualche altra parte? Grazie a quella pura indifferenza comprendeva la stupidità di entrambe le scelte.
— Se lo pensassi davvero, resteresti qui — disse Eric da sopra una spalla, senza rallentare il passo, e Drew si sentì nuovamente smerdato: erano semplicemente più svegli. Lo sapevano. Fottuti Insonni.
C’era un’automobile in attesa. Drew voltò la carrozzella in un’altra direzione ma, prima che riuscisse a muoversi, Eric fissò un blocco a energia-Y sul pannello di controllo posto sul bracciolo.
— Ehi!
— Chiudi il becco — ordinò Eric. Drew fece partire un destro, ma Eric fu più veloce avendo, inoltre, il vantaggio della mobilità. Il suo pugno colpì Drew sotto al mento, con una forza insufficiente per spaccargli la mascella ma tale da provocargli fitte di dolore che gli attraversarono la faccia, giungendo alle tempie. Quando il dolore prese ad attenuarsi leggermente, Drew si accorse di essere ammanettato.
Cominciò a imprecare, chiamando all’appello tutte le sconcerie che aveva imparato in diciotto mesi per la strada. Eric lo ignorò. Tirò fuori Drew dalla carrozzella e lo gettò sul sedile posteriore dell’auto, già occupato da una guardia del corpo che riportò il ragazzo in posizione eretta, lo guardò profondamente negli occhi e gli disse semplicemente: — Non provarci.