Anche Ricky aveva osservato Miranda e Drew. Guardò Leisha e sorrise mestamente. Leisha si accorse che Ricky aveva paura del potere di sua figlia, come Leisha aveva avuto paura del sogno lucido di Drew, e che ne era altrettanto orgoglioso.
— Vorrei che tu avessi conosciuto mia sorella Alice — disse Leisha direttamente a Ricky — È morta l’anno scorso.
Lui sembrò comprendere in quella semplice frase tutto ciò che lei aveva avuto intenzione di dirgli. — Anche io l’avrei voluto.
Miri tornò alla questione riguardante il pagamento. — E non appena il vostro… il nostro… governo si sarà soddisfatto a sufficienza da liberare i nostri beni, saremo tutti ricchi secondo i vostri standard. A dire il vero, avevo intenzione di chiederti se non saresti stata interessata a svolgere il lavoro legale necessario per aiutare un certo numero di noi a fondare industrie registrate nel Nuovo Messico. La maggior parte di noi ha condotto affari o ricerche commerciali, sai, ma qui siamo minorenni. Avremo bisogno di strutture legali che ci permettano di continuare i nostri affari in veste di impiegati part-time di entità industriali in cui ci siano adulti in qualità di amministratori delegati.
— Non è mai stato il mio campo — rispose Leisha misurando le parole. — Ma ti posso suggerire una persona che potrebbe occuparsene. Kevin Baker.
— No. Era il tramite del Rifugio.
— È stato sempre onesto? — chiese Leisha.
— Sì, ma…
— Lo sarebbe anche con voi. — E volentieri: Kevin smaniava sempre per andare là dove si trovava l’affare.
Miri disse: — Esaminerò la cosa con gli altri. — Leisha l’aveva già notata insieme con gli altri Superintelligenti a scambiare sguardi di cui lei era certa di perdersi gran parte del significato; interi volumi carichi di significato che non avrebbe mai visto. E quanto altro significato che non avrebbe mai visto c’era nei globi di stringhe che costruivano l’uno per l’altro, o nei globi di stringhe che avevano nelle loro menti aliene?
Quei globi di stringhe che le rammentavano in modo così imbarazzante le forme del sogno lucido di Drew.
— Ma anche se ci serviremo di Kevin Baker avremo ancora bisogno di un avvocato — continuò Miri. — Ci rappresenterai?
— Grazie, ma non posso — rispose Leisha. Non disse a Miri perché non poteva. Non ancora. — Ma ti posso consigliare degli ottimi avvocati. Justine Sutter, per esempio. È la figlia di un mio vecchissimo amico.
— Una Dormiente? — chiese Miri.
— È molto brava — replicò Leisha. — Ed è quello che conta, no?
— Sì — rispose Miri. Quindi, aggiunse: — Una Dormiente.
Ricky Sharifi intervenne: — Che potrebbe poi essere la cosa migliore. I vostri legali dovranno affrontare le leggi sulla proprietà degli Stati Uniti, dopo tutto. Un mendicante le può conoscere al meglio.
Leisha rilevò: — Se intendi vivere qui, Ricky, dovrai smettere di usare quel termine. Quanto meno in quel modo.
Un istante dopo, Ricky ammise: — Sì. Hai ragione.
Proprio così. Il figlio di Jennifer Sharifi, cresciuto al Rifugio: e gli esseri umani pensavano di comprendere la manipolazione genetica!
Drew chiese improvvisamente a Miri: — Erediterai il Rifugio, un giorno?
Miranda lo fissò a lungo. Leisha non riuscì a stabilire, niente, nemmeno un indizio, che cosa ci fosse nella mente della ragazzina. — Sì — rispose Miri alla fine, con espressione riflessiva. — Anche se non certo per adesso. Fra molto tempo. Forse un secolo. O più. Ma un giorno, sì. Sì.
Drew non rispose. "Un secolo o più" pensò Leisha. Passò un’occhiata fra Drew e Miri, un’occhiata che Leisha non riuscì a interpretare. Non ebbe la più pallida idea di cosa significasse, quando Drew alla fine sorrise.
— Può andare — disse.
Anche Miri sorrise.
26
Leisha stava seduta sulla sua roccia piatta preferita, all’ombra di un pioppo nero. Il ruscello ai suoi piedi era completamente in secca. Trecento metri in direzione della corrente, un Super si muoveva lentamente con il volto chino in avanti verso il terreno. Doveva essere Joanna: era rimasta affascinata dai fossili e stava costruendo una stringa di pensiero tridimensionale, che Leisha non comprendeva, sulla relazione fra i coproliti e le stazioni orbitali. Era poesia, aveva detto Miri, aggiungendo che nessuno di loro aveva mai costruito poesia prima di iniziare a sognare lucidamente. Era quella la frase che aveva usato: "costruito poesia".
Un topo canguro si mise a scavare in un mucchietto di terra secca a pochi passi di distanza. Leisha lo guardò agitare le corte zampette anteriori come una trivella meccanica, quindi scalciar via la terra scavata con le lunghe zampe posteriori. Il topo si voltò improvvisamente e la guardò: orecchie rotonde e occhietti neri ancor più rotondi, sporgenti e lucidi. Aveva una strana protuberanza in cima alla testa: un incipiente tumore, pensò Leisha. L’animaletto tornò al proprio lavoro, aerando accidentalmente il suolo e arricchendolo con i nitrati contenuti nei propri escrementi. In lontananza, lontano dall’ombra del pioppo nero, il deserto scintillava nella calura già infuocata dei primi di giugno.
Leisha sapeva che, se si fosse voltata dall’altra parte, avrebbe visto un diverso tipo di scintillio. Centoventi metri al di sopra della tenuta, le molecole dell’aria venivano distorte da un nuovo genere di campo energetico che Terry stava sperimentando. Sarebbe diventato, aveva detto lui, la successiva svolta nel campo della fisica applicata. Kevin Baker stava negoziando con la Samsung, la IBM e la Konig-Rottsler per la compravendita selettiva dei brevetti di Terry.
Leisha si tolse scarpe e calze. Era una cosa un po’ pericolosa: si trovava oltre la zona ripulita elettronicamente dagli scorpioni. Ma la pietra, calda perfino lì all’ombra, le dava una gradevole sensazione di ruvido sotto ai piedi nudi. Si ricordò improvvisamente di avere esaminato i propri piedi la mattina del suo sessantasettesimo compleanno. Che strano, che cosa bizzarra da ricordare. Il ricordo le fece piacere: aveva appena cominciato a rendersi conto di quante cose, in ottantaquattro anni, dimenticava perfino un Insonne.
I Super ricordavano tutto. Sempre.
Leisha stava aspettando che Miri esplodesse fuori dalla tenuta per accusarla. L’esplosione era già in ritardo: Miri doveva essere rimasta chiusa nel suo laboratorio più del solito. Oppure era con Drew, tornato a casa soltanto da pochi giorni dopo la sua tournée di primavera. In quel caso, sarebbero stati nella camera di lui: in quella di Miri non c’era il letto.
Il topo canguro sparì all’interno della propria buco.
— Leisha!
Leisha si voltò. Una sagoma in pantaloncini verdi stava correndo furiosamente verso di lei dalla tenuta, con le braccia e le gambe che si agitavano. Otto, sette, sei, cinque, quattro, tre…
— Leisha! Perché?
I Super terminavano sempre le cose prima di quanto non ci si aspettasse.
— Perché ho scelto di farlo, Miri. Perché lo voglio.
— Lo vuoi? Difendere mia nonna contro l’accusa di tradimento? Tu, Leisha, che hai un scritto libro fondamentale su Abramo Lincoln?
Leisha sapeva che non si trattava di un non sequitur. Aveva iniziato, negli ultimi tre mesi, a imparare qualcosa su come pensavano i Super. Non al punto da seguire un’intera e complessa forma di stringhe, intessuta di associazioni, ragionamenti, connessioni e scintillante di scosse di sogno lucido. E mai al punto da poterne costruire una personalmente. Né Leisha aveva intenzione di costruirne una. Lei non era fatta così. Tuttavia, aveva imparato a riempire le linee mancanti quando la ragazzina, più importante per lei di quanto non lo fosse stata qualsiasi persona dopo Alice, le parlava. Quanto meno, Leisha era in grado di riempirle se Miri non aveva tralasciato troppi collegamenti. Quella volta non lo aveva fatto.
— Siediti, Miri. Voglio spiegarti perché sono l’avvocato di Jennifer. Ho aspettato qui fuori che tu me lo venissi a chiedere.