Se così fosse, forse dovremmo riflettere profondamente sui fondatori di questo paese: Jefferson, Washington, Paine, Adams… cittadini dell’Era della Ragione, tutti. Questi uomini hanno creato il nostro equilibrato e ordinato sistema di leggi proprio per proteggere la proprietà e le conquiste prodotte dagli sforzi individuali di menti equilibrate e razionali. Gli Insonni potrebbero rappresentare il nostro test interno più severo sulla solidità del nostro credo nella legge e nell’ordine. No, gli Insonni non furono "creati uguali", ma il nostro atteggiamento nei loro confronti dovrebbe essere esaminato con un’attenzione uguale alla nostra più sobria giurisprudenza. Potrebbe non piacerci quello che scopriremo sulle nostre reali motivazioni, ma la nostra credibilità come popolo può dipendere dalla razionalità e dall’intelligenza dell’esame.
Tutt’e due queste qualità sono state piuttosto ridotte nella reazione pubblica alle scoperte della ricerca del mese scorso.
La legge non è teatro. Prima di scrivere leggi che riflettono sentimenti drammatici e appariscenti dobbiamo essere molto sicuri di comprendere la differenza.
Leisha rimase compiaciuta a fissare deliziala lo schermo, sorridendo. Chiamò il "New York Times" e chiese chi avesse scritto l’articolo. La centralinista, cordiale quando rispose al telefono, si fece scostante. Il "Times" non avrebbe fornito quell’informazione "senza previa investigazione interna".
Questo non poté abbattere il suo buon umore. Prese a turbinare nell’appartamento, dopo essere rimasta giorni interi seduta alla scrivania o davanti al video L’entusiasmo pretendeva azione fisica. Lavò i piatti, prese in mano libri. C’erano dei vuoti nel mobilio nei punti dai quali Richard aveva preso cose che gli appartenevano; tranquillizatasi un poco, spostò i mobili per colmare i buchi.
Susan Melling le telefonò per parlarle dell’articolo sul "Times": chiacchierarono con affetto per qualche minuto. Quando Susan riagganciò, il telefono squillò nuovamente,
— Leisha? La tua voce è sempre uguale. Sono Stewart Sutter.
— Stewart. — Lei non lo aveva più visto da quattro anni. La loro storia d’amore era durata per due anni poi si era dissolta, non tanto per qualche motivo doloroso quanto, piuttosto, per la pressione esercitata su tutti e due dagli studi. In piedi accanto al telefono, sentendo la sua voce, Leisha provò improvvisamente la sensazione delle mani di lui sul suo seno nel lettino del dormitorio: quanti anni erano passati prima che lei avesse trovato un buon uso per un letto. Le mani fantasma divennero quelle di Richard, e un dolore improvviso la trafisse.
— Ascolta — le disse Stewart — ti chiamo perché ho un’informazione che penso dovresti conoscere. Sosterrai gli esami per l’abilitazione alla professione la settimana prossima, vero? E poi hai un posto in prova presso Morehouse, Kennedy Anderson.
— Come fai a sapere tutte queste cose, Stewart?
— Pettegolezzi da lavandaie. Be’, non proprio. Ma la comunità legale di New York, quanto meno quella parte, è più ristretta di quanto non pensi. E tu sei un elemento piuttosto in vista.
— Già — commentò Leisha in modo neutrale.
— Nessuno ha il minimo dubbio che tu possa non passare l’esame. Vengono tuttavia avanzati dei dubbi sul lavoro con Morehouse e Kennedy. Ci sono due soci anziani, Alan Morehouse e Seth Brown, che hanno cambiato idea dopo quel… casino. "Pubblicità negativa per la compagnia", "far diventare la legge un circo", bla, bla, bla. Conosci la storia. Ma hai anche due potenti sostenitori, Ann Carlyle e Michael Kennedy, il vecchio in persona. È una gran mente. Comunque, volevo che fossi al corrente per capire esattamente com’è la situazione e sapere su chi contare nella lotta senza quartiere.
— Grazie — fece Leisha. — Stew, perché ti interessa che io ottenga o no il lavoro? Perché dovrebbe importarti?
All’altro capo del filo ci fu silenzio. Stewart disse quindi a voce molto bassa: — Non siamo tutte teste di cavolo qui fuori, Leisha. La giustizia importa ancora ad alcuni di noi. Così come il merito.
Leisha si sentì pervadere da una luce, una bolla di luce di allegria.
Stewart continuò: — Hai grande sostegno, qui, anche per quella stupida battaglia del piano regolatore riguardante il Rifugio. Potresti non accorgertene, ma é così. Ciò che stanno cercando di mettere in piedi quelli della Commissione dei Parchi… ma vengono solamente usati come fronte. D’altra parte, lo sai già. Comunque, quando si arriverà in tribunale, avrai tutto l’aiuto di cui ci sarà bisogno.
— Il Rifugio non è affatto opera mia. Per niente.
— No? Be’, allora per voi, come gruppo.
— Grazie. Dico davvero. Come stai?
— Bene. Sono diventato papà.
— Sul serio? Maschio o femmina?
— Una bambina. Una magnifica piccola civetta di nome Justine che mi fa impazzire. Mi piacerebbe che tu conoscessi mia moglie, Leisha.
— Piacerebbe anche a me — rispose Leisha.
Passò il resto della notte a studiare per gli esami di abilitazione. La bolla rimase dentro di lei. Riconobbe esattamente che cos’era: gioia.
Sarebbe andato tutto bene. Il contratto, non ancora scritto, fra lei e la sua società, la società di Kenzo Yagai, la società di Roger Camden, avrebbe tenuto. Con dissensi e lotte e, sì, anche con odio. Pensò improvvisamente ai mendicanti di Spagna di Tony, infuriati contro i forti perché loro non lo erano. Già, ma avrebbe tenuto.
Lo credeva fermamente.
Davvero.
7
Leisha sostenne gli esami per l’abilitazione alla libera professione in luglio. Non le sembrarono difficili. In seguito, tre compagni di corso, due uomini e una donna, si sentirono in dovere di parlare con Leisha in modo falsamente casuale finché lei non fu salita al sicuro su un taxi il cui conducente evidentemente non conosceva né lei né i cartelli di stop. I tre erano tutti Dormienti. Un paio di matricole, giovanotti biondi e ben rasati dai visi lunghi e la sciocca arroganza della stupidità dei ricchi, adocchiarono Leisha e sogghignarono. La compagna di corso di Leisha sogghignò di rimando.
Leisha aveva un volo per Chicago la mattina successiva. Alice l’avrebbe raggiunta lì. Dovevano ripulire la grande casa sul lago, disporre delle proprietà personali di Roger e mettere in vendita l’immobile. Leisha non aveva avuto tempo per farlo prima.
Ricordò suo padre nella serra, con un antico cappello piatto che aveva recuperato da qualche parte, mentre invasava orchidee, gelsomini e fiori della passione.
Quando il campanello della porta suonò, la ragazza sobbalzò: non riceveva quasi mai visite. Con ansia, accese il videocitofono: forse si trattava di Jonathan o Martha, tornati a Boston per farle una sorpresa, per festeggiare. Perché non aveva pensato in anticipo a una specie di festeggiamento?
Richard stava fissando in alto la telecamera. Aveva pianto.
Lei spalancò la porta. Richard non accennò nemmeno a entrare. Leisha vide che ciò che la telecamera aveva riportato come dolore in realtà era qualcosa d’altro: lacrime di rabbia.
— Tony è morto.
Leisha protese la mano, alla cieca. Richard non la prese.
— Lo hanno ucciso in prigione. Non le autorità: gli altri prigionieri. Nel cortile della ricreazione. Assassini, stupratori, saccheggiatori, la feccia della terra; hanno pensato di avere il diritto di uccidere lui perché era diverso.
A quel punto, Richard afferrò il braccio di Leisha con tale violenza che qualcosa, qualche osso, si mosse sotto la carnee le premette contro un nervo. — Non solo diverso, migliore. Perché lui era migliore, perché tutti noi lo siamo, solo che, maledizione, non ci ribelliamo e non lo gridiamo a causa di qualche sentimento mal riposto, per i loro sentimenti… Dio!
Leisha liberò il braccio e lo sfregò, intorpidito, fissando sbigottita il volto contorto di Richard.