— Bene — disse Walcott. Si passò una mano fra i capelli trascurati. — Lei è stata così franca… sento di dovere essere franco anche io.
Qualcosa nel tono dell’uomo fece sollevare bruscamente lo sguardo a Leisha.
— Il fatto è che io… la ricerca che ho appena scritto per lei… — Si passò l’altra mano fra i capelli e si mise in equilibrio su un solo piede, un’imbarazzata gru in miniatura.
— Sì?
— Non c’è tutto. Ho lasciato indietro l’ultimo pezzo. Il pezzo che non hanno nemmeno i ladri.
L’uomo, allora, era più cauto di quanto lei non avesse sospettato. Nel complesso, Leisha approvò: i clienti spericolati erano peggiori di quelli malfidenti, anche se la persona di cui non si fidavano era il loro stesso avvocato.
Walcott guardò oltre di lei, fuori dalla finestra. Era ancora in equilibrio su un solo piede. La forza intermittente in modo inquietante gli tornò nella voce. — Ha detto anche lei di non sapere chi ha rubato la prima copia ma che è potenzialmente molto preziosa da replicare. O da non replicare. E lei è un’Insonne, signorina Camden.
— Capisco. È tuttavia importante che lei scriva anche l’ultimo pezzo, dottore, per sua protezione. Se non qui, allora in un qualsiasi altro luogo completamente sicuro. — E dove sarebbe mai potuto esistere? si chiese lei. — Dovrebbe anche dire al maggior numero di persone possibile, questo è un punto importante, che tutta la ricerca esiste in qualche altro posto oltre che nel suo cervello.
Walcott finalmente abbassò sul pavimento il piede che teneva sollevato. Annuì. — Ci penserò. Lei ritiene davvero che io possa trovarmi in reale pericolo di vita, signorina Camden?
Leisha pensò al Rifugio. Le tornò la nausea: non aveva nulla a che fare con quello che era o non era successo a Walcott. Incrociò le braccia sopra lo stomaco.
— Sì — disse. — Ritengo di sì.
10
Jordan Watrous si versò un altro drink al secrétaire Hepplewhite, allestito come mobile bar nel salotto di sua madre. Il terzo? Quarto? Forse nessuno li stava contando. Dalla pedana d’ingresso con travi a sbalzo che dava sull’oceano fluttuava un suono di risate. Alle orecchie di Jordan le risate apparivano nervose, ed era possibilissimo. Che diavolo stava dicendo Hawke adesso? E a chi?
Lui non aveva voluto portare Hawke. Era il cinquantesimo compleanno del suo patrigno: Beck aveva desiderato dare una festicciola in famiglia, ma la madre di Jordan aveva appena terminato di arredare la nuova casa e desiderava esibirla. Per vent’anni, Alice Camden Watrous aveva vissuto come se non avesse denaro, senza toccare l’eredità lasciatale dal padre eccetto che, Jordan lo aveva scoperto in seguito, per pagare l’istruzione, i computer e le attività sportive sue e di Moira. Aveva trattato il proprio denaro come se fosse stato un cane grosso e pericoloso che le era stato affidato ma al quale non voleva avvicinarsi. Al quarantesimo compleanno, poi, apparentemente era accaduto qualcosa nell’intimo di sua madre, qualcosa che Jordan non aveva capito. Tuttavia non lo aveva nemmeno sorpreso. Gran parte dei comportamenti umani gli sfuggivano.
Sua madre aveva fatto costruire improvvisamente quella grande casa sull’oceano a Morro Bay, dove, a pochi chilometri di distanza, le balene grigie sollevavano le code immense e passavano proiettando spruzzi. Aveva arredato la casa con mobili antichi in stile inglese, costosi ma poco appariscenti, acquistati a Los Angeles, New York e Londra. Beck, sicuramente l’uomo dal carattere più dolce che Jordan avesse mai conosciuto, aveva sorriso in modo indulgente anche se sua moglie aveva assunto un diverso costruttore, non Beck, per edificare la casa. In qualche occasione Jordan, arrivando all’appezzamento di terra con sua madre, aveva trovato Beck a lavorare insieme con i carpentieri del sindacato e i loro robot a inchiodare assi e allineare travetti. Quando la casa era stata completata, Jordan aveva atteso con apprensione i nuovi lati di sua madre che sarebbero potuti emergere. Scalata sociale? Chirurgia plastica? Amanti? Alice, però, aveva ignorato i vicini snob, aveva lasciato che la propria tozza figura rimanesse tale e aveva borbottato allegramente sui suoi pezzi di antiquariato e il suo amato giardino.
— Perché inglese? — le aveva chiesto una volta Jordan, passando le dita sullo schienale di una poltrona Sheraton. — Perché pezzi di antiquariato?
— Mia madre era inglese — aveva risposto Alice, ed era stata la prima e l’ultima volta che lui l’avesse mai sentito menzionare sua madre.
La festa di compleanno per Beck era stata anche un party per l’inaugurazione della nuova casa. Alice aveva invitato tutti gli amici suoi e di Beck, i suoi colleghi del Gruppo dei gemelli, i compagni di classe e i professori di Moira, Leisha Camden e Kevin Baker e un’Insonne sulla quale Jordan non aveva mai posato gli occhi prima di allora, una graziosa giovane dai capelli rossi di nome Stella Bevington che Alice aveva abbracciato e baciato come se fosse stata un’altra Moira. Calvin Hawke si era invitato da solo.
— Non penso proprio sia il caso, Hawke — aveva detto Jordan nell’ufficio della fabbrica nel Mississippi e, per chiunque altro, sarebbe stato argomento concluso.
— Mi piacerebbe conoscere tua madre, Jordy. La maggior parte degli uomini non parlano altrettanto bene delle loro madri, né altrettanto spesso.
Jordan non poté farci nulla: si sentì arrossire. Da quando frequentava le elementari era stato passibile dell’accusa di essere un cocco di mamma, Hawke non aveva voluto sottintendere nulla… oppure sì? Successivamente, tutto quello che aveva detto Hawke aveva preso a pungere. Era colpa di Jordan o di Hawke? Jordan non poteva stabilirlo.
— È proprio una festa di famiglia, Hawke.
— Non avrei certo intenzione di intromettermi nelle cose di famiglia — aveva detto Hawke in tono mellifluo. — Ma non hai detto che era anche una grossa festa di inaugurazione della casa? Ho un regalo che vorrei dare a tua madre per la casa. Qualcosa che è appartenuto a mia madre.
— È molto generoso da parte tua — aveva detto Jordan, e Hawke aveva sogghignato. Le buone maniere che Alice aveva inculcato in suo figlio divertivano Hawke. Jordan era sufficientemente astuto da capirlo, ma non sufficientemente astuto da sapere come rimediare. Si irrigidì per parlare con schiettezza. — Non voglio che tu venga. Ci sarà mia zia. E anche altri Insonni.
— Capisco perfettamente — aveva detto Hawke, e Jordan aveva pensato che la questione fosse chiusa. Non si sa come, però, continuava a riaffiorare e, non si sa come, le frecciate peggioravano nelle frasi apparentemente innocenti di Hawke e, proprio perché erano innocenti, Jordan si sentiva in colpa per le risposte brusche che gli dava. E, non si sa come, in quel momento Hawke si trovava fuori sulla pensilina della casa di sua madre a parlare con Beck, Moira e un’ammirata folla dei compagni di college di Moira, mentre Leisha, completamente silenziosa, osservava Hawke con espressione vacua e. Jordan scivolava via per versarsi il terzo… quarto?… whisky nel bicchiere, così velocemente da farlo spillare sulla nuova moquette azzurra di sua madre.
— Non è colpa tua — disse una voce alle sue spalle. Leisha. Non aveva sentito i suoi passi.
Lui chiese: - Cosa si può fare per le macchie di whisky? Bicarbonato? O danneggia la moquette?
— Lascia perdere la moquette. Volevo dire che non è colpa tua se Hawke si trova qui. Sono certa che tu non lo volessi e sono anche certa che ti sia passato sopra come un rullo compressore. Non darti la colpa, Jordan.
— Nessuno può mai dirgli di no — commentò con espressione afflitta Jordan.
— Oh, Alice ci sarebbe riuscita, se avesse voluto. Non dubitarne. Lui è qui perché a lei stava bene, non perché ti ha costretto a invitarlo.
La questione lo aveva preoccupato per lungo tempo: — Leisha, pensi che la mamma approvi quello che faccio? L’intera storia del movimento Noi-Dormiamo?