Ma dov’era?
Il terminale in biblioteca trillò, nel codice preferenziale per le chiamate personali. Leisha restò immobilizzata. I dimostranti, i fanatici del movimento Noi-Dormiamo, lo stesso Rifugio: c’erano così tanti nemici per una persona come Kevin, perfino al di là del suo rapporto con lei… Corse in biblioteca.
Ma era lo stesso Kevin a chiamarla.
— Leisha… ascolta, tesoro, mi dispiace di non averti chiamato prima, ho cercato ma… — La sua voce si affievolì, non era cosa da Kevin. Sul videotelefono si notava che la mascella era leggermente cascante. Guardava alla sinistra di lei. — Leisha, non tornerò a casa. Siamo nel pieno di un importante negoziato, il contratto Stieglitz, sai di che si tratta, e devo essere a disposizione. Potrei partire da un momento all’altro per l’Argentina per conferire con qualche ramificazione politica della loro filiale di Bahia Bianca. Se devo farmi strada a cazzotti per entrare e uscire dall’edificio, o se quei pazzi continuano a bloccare le rotte aeree sul tetto… non posso correre il rischio. — Un momento dopo aggiunse: — Mi dispiace.
Lei non disse nulla.
— Rimarrò qui in ufficio. Forse quando tutto sarà finito… che diavolo, non "forse", quando il contratto Stieglitz sarà stato firmato e il processo sarà concluso, tornerò a casa.
— Certo, Kev — disse Leisha. — Certo.
— Sapevo che avresti capito, tesoro.
— Già — rispose Leisha. — Ti capisco.
— Leisha…
— Addio, Kevin.
La donna si portò dalla biblioteca in cucina e si preparò un sandwich, chiedendosi se lui non avrebbe richiamato. Non lo fece. Lei gettò il sandwich nello scarico organico e ritornò in biblioteca. L’ologramma di Kenzo Yagai si era leggermente spostato. Yagai stava chino su un prototipo del cono a energia-Y con gli occhi scuri dall’espressione seria e intelligente, le maniche del camice bianco da laboratorio fine secolo arrotolate fin sopra i gomiti.
Leisha si sedette su una sedia di legno dallo schienale diritto e appoggiò la testa fra le ginocchia. Quella posizione, però, le fece pensare a Richard, accasciato nella sua stanza, e il pensiero le risultò intollerabile. Si avvicinò alla finestra, la schiarì e osservò la strada da diciotto piani di altezza, finché l’improvviso aumentare dell’agitazione fra i piccoli e lontani dimostranti le suggerì che era probabile che qualcuno con uno zoom l’avesse vista. Rese nuovamente opache le finestre, tornò alla seggiola e si sedette con la schiena eretta.
In seguito, non fu nemmeno in grado di ricordare quanto tempo fosse rimasta lì seduta. Ricordò piuttosto una cosa avvenuta decenni prima. Una volta, quando era stata matricola ad Harvard, lei e Stewart Sutter si erano recati a fare una passeggiata lungo il fiume Charles. Il vento era freddo e tagliente, e loro vi erano corsi direttamente attraverso, ridendo. Le guance di Stewart erano sembrate mele rosse. A dispetto del freddo, erano rimasti seduti sulle rive del fiume, baciandosi, finché un rappresentante della setta dei Mutilanti era sopraggiunto, mezzo nudo, barcollando sull’erba avvizzita. I Mutilanti erano una setta religiosa bizzarra e terrificante al servizio di grandi ideali. Mutilavano i loro corpi per ricordare al mondo la sofferenza patita in altri paesi sotto la tirannia, quindi mendicavano denaro per alleviare quella sofferenza globale. Quell’uomo, in particolare, si era mutilato tre dita e metà del piede sinistro. La mano monca del Mutilante recava il tatuaggio "Egitto", il piede nudo e cianotico "Mongolia" e il volto orribilmente sfregiato "Cile".
Aveva esteso la ciotola per l’elemosina verso Stewart e Leisha. Leisha, carica della solita ripugnanza di cui si vergognava, vi aveva fatto scivolare cento dollari. — Metà per il Cile, metà per la Mongolia. Per i sofferenti — aveva gracchiato lui: anche le sue corde vocali erano state offerte perché gli altri ricordassero. Lo sguardo che aveva lanciato a Leisha era stato cristallino, talmente soffuso di gioia che lei non si era sentita in grado di ricambiarlo. Aveva appoggiato la testa sulle ginocchia e serrato la mano sull’erba ghiacciata, Stevvart le aveva passato un bràccio attorno alle spalle e le aveva mormorato contro una guancia: — Lui è felice, Leisha. Lo è davvero. Sta chiedendo l’elemosina per uno scopo, raccoglie un sacco di soldi per i sofferenti del mondo. Fa quello che ha scelto di fare e lo fa bene. Non gli importa di essere mutilato. E poi adesso se ne va. Se ne sta andando. Guarda, è già andato via.
12
La fiera che aveva luogo sull’argine era arrivata al pieno dello svolgimento verso le otto di sera. Sotto le pareti in pietra spugnosa, il fiume Mississippi scorreva oscuro e silenzioso. Era stato allestito un campo a energia-Y per sicurezza, mura invisibili che racchiudevano una bolla del diametro di un campo di calcio. La cupola comprendeva un arco di fiume, un centinaio di metri di ampio argine, un semicerchio di erba e scuri cespugli fra lo stabilimento degli scooter e il fiume stesso. Dai cespugli più lontani provenivano occasionali risatine, accompagnate da grande tramestio.
Sull’estremità sud dell’ampio argine la gente si affollava attorno ai chioschi di ristoro, le cabine di ologiochi, i terminali dove il movimento Noi-Dormiamo sovvenzionava parzialmente le occasioni di vincere alle più importanti lotterie della stampa. All’estremità nord, una rumorosa band di cui Jordan aveva dimenticato il nome inondava la notte di musica da ballo. Ogni trenta secondi un ologramma con comando a distanza del logo Noi-Dormiamo, tridimensionale e alto un metro e ottanta, balenava in un differente volume cubico dell’aria; a tre metri da terra, a cinque centimetri dall’acqua, al centro dei turbinanti ballerini. Dall’altra parte del fiume, leggermente confuso dai margini del campo a energia-Y, le luci della Samsung-Chrysler brillavano castamente.
— La pecca principale di tua zia Leisha è che appartiene al Diciottesimo secolo, non al Ventunesimo — disse Hawke. — Prendi un gelato, Jordy.
— No — rispose Jordan. Non voleva il gelato e voleva anche meno parlare con Hawke di Leisha. Ancora. Cercò di deviare il loro cammino verso l’estremità nord della fiera dove la musica da ballo avrebbe sommerso la voce di Hawke.
Hawke non deviò, né tanto meno restò sommerso. — Il gelato è un nuovo biobrevetto delle Ditte GeneFresco. La fragola è incredibile. Due coni, per favore.
— Davvero, non mi va…
— Che ne pensi, Jordy? Avresti mai immaginato che hanno cominciato con geni di germogli di soia? Margine di utile del diciassette per cento, lo scorso trimestre.
— Sbalorditivo — disse Jordy, un po’ acido. Sperava che il gelato sarebbe stato mediocre, invece si rivelò il migliore che avesse mai assaggiato.
Hawke si mise a ridere, scrutandolo con arguzia da sopra il cono alla fragola. Jordan immaginò che il giorno successivo la GeneFresco sarebbe stata contattata da un dirigente della Noi-Dormiamo, sempre che non fossero già in trattative. La fiera sull’argine era studiata per festeggiare compagnie come la GeneFresco che erano (o sarebbero divenute) nuove cellule della rivoluzione Noi-Dormiamo. I profitti medi erano saliti a uno strabiliante settantaquattro per cento da quando il caso dell’omicidio Sharifi era piombato sui giornali. La connessione fra la morte di Timothy Herlinger e l’acquistare Noi-Dormiamo, per Jordan dolorosa in quanto dovuta all’isteria, aveva portato milioni di nuovi consumatori sotto la retorica di Hawke. — "Lo sapevo"! — avevano gridato i membri del Noi-Dormiamo per l’entusiasmo, la paura, la rabbia e l’ingordigia. — "Gli Insonni hanno paura di noi! Sono tanto terrorizzati da cercare di controllarci con gli omicidi!"
Nella fabbrica di scooter sul Mississippi, dove Hawke continuava a condurre il quartier generale in un modo artificialmente rustico che irritava Jordan, la produzione era raddoppiata prima di stabilizzarsi. Hawke aveva appeso sui muri della fabbrica i diagrammi rappresentanti la tendenza produttiva, aveva sorriso in quel suo tipico modo libidinoso e furtivo e aveva annunciato l’allestimento della fiera sull’argine: "Dove i politici locali ai giorni del mio bis-bisnonno friggevano i pesci gatto".