Leisha restò a lungo in silenzio. Alla fine disse: — Non lo verrebbe a dire a me, Jordan. — Il che era ovviamente vero. Era stata una domanda sciocca, scioccamente spifferata. Lui passò con scarsa efficacia un fazzoletto sulla moquette.
Leisha continuò: — Perché non lo chiedi a lei?
— Noi non parliamo di Dormienti e insonnia.
— No, questo lo credo — commentò Leisha. — Ci sono moltissime cose di cui non si parla in questa famiglia, vero?
Jordan chiese: — Dov’è Kevin?
Leisha lo fissò con genuina sorpresa. - Non era un non sequitur, vero?
Lui si sentì in imbarazzo. — Non intendevo implicare…
— Non preoccuparti, Jordan… Smettila di scusarti in continuazione. Kevin aveva un appuntamento con un cliente su una stazione orbitante.
Jordan emise un fischio. — Non sapevo che ci fossero Insonni su nessuna delle stazioni orbitanti.
Leisha corrugò la fronte. — Non ce ne sono. Ma la maggior parte del lavoro di Kevin è per clienti internazionali che non sono necessariamente, e nemmeno solitamente, Insonni ma che…
— …che sono ricchi a sufficienza da potersi permettere di assumerlo — disse Hawke, arrivando alle loro spalle. — Signorina Camden, non mi ha rivolto la parola per tutta la sera.
— Avrei dovuto farlo?
Lui si mise a ridere. — Certo che no. Perché mai Leisha Camden dovrebbe avere qualcosa da dire all’organizzatore sindacale di una sottospecie di deficienti che sprecano un terzo della loro vita in un’attività non produttiva da zombie?
Leisha rispose pacatamente: — Non ho mai considerato i Dormienti in questo modo.
— Davvero? Li ritiene forse uguali? Sa che cosa ha detto Abramo Lincoln sull’uguaglianza, signorina Camden? Ha pubblicato un libro sul punto di vista di Lincoln sulla Costituzione con lo pseudonimo di Elizabeth Kaminsky, non è vero?
Lei non rispose. Jordan disse: — Basta così, Hawke.
Hawke insistette: — Lincoln ha detto sull’uomo a cui viene negata l’uguaglianza economica: "Quando lo avete mortificato e gli avete reso impossibile essere di più delle bestie nei campi; quando avete estinto la sua anima in questo mondo e lo avete posto dove il raggio della speranza è spento come nell’oscurità della dannazione, siete sicuri che il demone che avete risvegliato non si rivolterà per ritorcersi contro di voi?".
Leisha rispose: — Sa che cosa ha detto Aristotele sull’uguaglianza? "Gli uguali si ribellano per poter divenire superiori. Questo è lo stato mentale che provoca le rivoluzioni."
Il volto di Hawke si fece più tagliente. A Jordan parve addirittura che le sue ossa divenissero più sporgenti: qualcosa si mosse dietro gli occhi di Hawke. Fece per dire qualcosa, evidentemente ci ripensò, e sorrise in modo enigmatico. Quindi si voltò e si allontanò.
Un istante dopo Leisha disse: — Mi dispiace, Jordan. È stato imperdonabile a una festa. Sono troppo abituata ai tribunali, immagino.
— Hai un aspetto terribile — disse improvvisamente Jordan, sorprendendo anche se stesso. — Hai perduto troppo peso. Hai il collo tutto raggrinzito e il volto tirato.
— Dimostro la mia età — rispose Leisha, improvvisamente divertita. Perché mai una cosa simile doveva divertirla? Forse non erano gli Insonni che lui non capiva: forse erano le donne. Lui voltò la testa verso l’esterno per lanciare un’occhiata alle piccole luci scintillanti con cui Stella Bevington aveva adornato i capelli rossi.
Leisha si sporse in avanti e lo afferrò per un polso. — Jordan, hai mai desiderato di diventare Insonne?
Lui la fissò negli occhi verdi, così diversi da quelli di Hawke: gli occhi di lei riflettevano indietro tutta la luce. Come una parcella rifiutata. Tutto a un tratto, la sua tipica incertezza lo abbandonò. — Sì, Leisha. Lo desidero. Lo desideriamo tutti. Ma non possiamo diventarlo. Ecco perché io lavoro con Hawke nell’organizzare una sottospecie di deficienti che sprecano un terzo della loro vita a dormire. Perché noi non possiamo essere voi.
Sua madre arrivò alle loro spalle. — Tutto bene qui? — chiese Alice guardando il figlio e poi la sorella. Sfoggiava, notò improvvisamente Jordan, la sua solita calda espressione e un abito veramente orrendo, un costoso vestito di seta verde che non faceva nulla per attenuare la sua goffaggine. Attorno al collo indossava il pendente antico che Beck le aveva regalato. Era appartenuto un tempo a una qualche duchessa inglese.
— Bene — rispose Jordan, e non riuscì a pensare a nulla altro da dire. Gemelle: erano gemelle. Si sorrisero tutti e tre a vicenda, in silenzio, finché Alice non parlò. Jordan restò sbalordito nel notare che sua madre era leggermente alticcia.
— Leisha, ti ho parlato del nuovo caso registrato nel nostro Gruppo dei gemelli? Gemelli allevati separati dalla nascita, ma, quando uno si è rotto un braccio, l’altro ha sentito dolore per settimane allo stesso braccio senza riuscire a capire il perché.
— Oppure ha creduto di provare dolore — ribatté Leisha — a posteriori.
— Oh — commentò Alice, come se Leisha avesse risposto a tutt’altra domanda, e Jordan si accorse che gli occhi di sua madre erano più astuti di quanto non li avesse mai visti, intensi e scuri proprio come quelli di Calvin Hawke.
Nel primo mattino, il deserto del Nuovo Messico era incandescente di luce perlacea. Ombre taglienti, azzurre, rosa e di colori di cui Leisha non aveva mai immaginato potessero essere le ombre, avanzavano strisciando come esseri viventi attraverso l’immenso vuoto. Al distante orizzonte, le Montagne Sangre de Cristo si stagliavano chiare e nitide.
— Bello, vero? — chiese Susan Melling.
Leisha rispose: — Non sapevo che la luce potesse sembrare così.
— Non a tutti piace il deserto. Troppo desolato, troppo vuoto, troppo ostile alla vita umana.
— A te piace.
— Sì — disse Susan. — A me piace. Che cosa vuoi, Leisha? Non si tratta soltanto di una visita di cortesia: la tua aria di crisi è a forza di tempesta. Una tempesta civilizzata. Solenni e incalzanti folate di aria freddissima.
A dispetto di se stessa, Leisha sorrise. Susan, ormai settantottenne, aveva lasciato la ricerca scientifica quando le era peggiorata l’artrite. Si era trasferita in un piccolo villaggio a settanta chilometri da Santa Fe, un trasferimento inspiegabile per Leisha. Niente ospedali, niente colleghi, pochissima gente con cui parlare. Susan viveva in una casa dalle spesse pareti di mattoni di creta impastata con paglia, con un arredamento ridotto e un tetto, da cui si godeva di una vista aperta, che lei utilizzava come terrazza. Sui profondi davanzali imbiancati delle finestre e i pochi tavolini, aveva esposto pezzi di roccia lucidati dal vento fino a brillare, oppure vasi di fiori selvatici dagli steli rigidi, o perfino ossa di animali sbiancate dal sole fino all’incandescente bianchezza della neve sulle montagne lontane. Camminando un po’ a disagio nella casa per la prima volta, Leisha aveva avvertito un sollievo palpabile, come un leggero colpo nel petto, quando aveva visto il terminale e le riviste mediche nello studio di Susan. Tutto quello che Susan aveva voluto dire del suo pensionamento era stato: — Ho lavorato con la mente per lungo tempo, adesso voglio brancolare a tentoni per il resto. — Affermazione che Leisha aveva compreso a livello intellettuale, aveva letto tenacemente tutte le teorie mistiche standard, ma non in altro modo. Il "resto" di cosa, esattamente? Era stata riluttante a interrogare ulteriormente Susan, per paura che si trattasse di una specie del Gruppo dei gemelli di Alice: pseudo-psicologia agghindata da fatto scientifico. Leisha non pensava di poter sopportare di vedere la sottile mente di Susan sedotta dal fallace conforto del sentimentalismo artificiale. Non Susan.
A quel punto Susan invitò: — Entriamo, Leisha. Il deserto per te è sprecato. Non sei ancora abbastanza anziana per apprezzarlo. Vado a preparare del tè.