— Mia madre mi ha chiamato nel suo studio proprio quando stavo per andarmi a cambiare per l’Anniversano del Ricordo. Stava piangendo. Era sdraiata sul giaciglio che lei e papà usano per gli incontri sessuali.
Miri annuì: la sua mente creò stringhe sul perché un Insonne dovesse giacere a letto se non stava avendo un rapporto sessuale o non era ferito.
Joan continuò: — Mi ha raccontato che il Consiglio ha preso la decisione di farla abortire. Ho pensato che fosse una cosa strana: se i test prefetali mostrano danni in un’area importante del DNA, i genitori decidono naturalmente per l’aborto. Che cosa aveva a che fare il Consiglio con questo?
— C-c-che c-c-cosa?
— Ho chiesto quale fosse il danno al DNA. Mi ha detto che non ce n’erano.
Attorno a loro fluttuava ancora la voce di Jennifer: — …il presupposto che, perché sono deboli, è automaticamente loro dovuto il lavoro dei forti…
— Ho chiesto a mia madre perché il Consiglio avesse ordinato l’aborto, se il bambino era normale. Lei ha risposto che non era stato un ordine ma una forte raccomandazione, e lei e il papà l’avrebbero accettata. Ha cominciato a piangere di nuovo. Mi ha detto che l’analisi genetica dimostrava che il bambino è… era…
Non riuscì a dirlo. Miri abbracciò l’amica.
— …era un Dormiente.
Miri ritirò il braccio. Un istante dopo se ne pentì amaramente, ma era troppo tardi. Joan arrancò in piedi: — Anche tu pensi che la mamma dovesse abortire!
Davvero? Miri non ne era sicura. Le stringhe le turbinavano nella testa: regressione genetica, ridondanza di informazioni nel DNA, bambini che spiraleggiavano nel campo giochi, l’asilo, il laboratorio, la produttività… i mendicanti. Un neonato, morbido fra le braccia della madre di Joan. Ricordò Tony fra le braccia di sua madre, sua nonna che la sollevava per vedere le stelle.
Jennifer alzò la voce: — Soprattutto, ricordare che la morale è definita da ciò che contribuisce alla vita, non da ciò che succhia sangue alla vita stessa.
Joan si mise a gridare: — Non sarò mai più tua amica, Miranda Sharifi! — Scappò via di corsa, con le gambe lunghe che balenavano sotto i pantaloncini verdi che non avrebbe mai dovuto indossare nell’Anniversario del Ricordo.
— A-a-aspetta! — strillò Miri. — A-a-a-spetta! Io penso che il C-c-consiglio si sb-sbagli! — Ma Joan non l’aspettò.
Miri non sarebbe mai riuscita a raggiungerla.
Lentamente, goffamente, si alzò da terra e si recò nel laboratorio della Cupola Scientifica Quattro. Sia il suo terminale sia quello di Tony erano accesi e stavano eseguendo programmi. Miri li spense, quindi spazzò via tutte le copie cartacee dalla sua scrivania con un violento gesto del braccio.
— M-m-maledizione! — La parola non era sufficiente: doveva esserci più di quelle parole, doveva… qualcosa che avesse a che fare con un dolore così forte. Le sue stringhe non bastavano. La loro incompletezza la tormentò ancora, come un dato mancante in un’equazione quando ci si rendeva conto che mancava, anche se non lo si era notato prima perché, altrimenti, ci sarebbe stato un buco proprio al centro dell’idea. C’era un buco anche in Miri, e un bambino Dormiente vi spiraleggiò dentro: il fratello di Joan che, alla stessa ora del giorno dopo, non sarebbe esistito più di quanto non esistesse, non fosse mai esistito, il dato mancante nell’equazione del pensiero, anche se doveva trovarsi da qualche parte. Ormai Joan la odiava.
Miri si accucciò sotto la scrivania di Tony e si mise a singhiozzare.
Jennifer la trovò lì, due ore più tardi, dopo che i discorsi per l’Anniversario del Ricordo erano terminati e l’immenso capitale in credito, il controvalore del lavoro produttivo, era stato inviato al governo che non dava mai nulla in cambio. Miri udì la nonna attardarsi sull’arco della porta, poi attraversare senza esitare la stanza come se già sapesse dove si trovava Miri.
— Miranda. Vieni fuori di lì.
— N-n-no.
— Joan ti ha detto che sua madre ha in grembo un feto Dormiente che deve essere abortito.
— N-n-non "d-d-deve". Il b-b-bambino p-p-potrebbe v-v-vivere. È n-n-normale sotto ogni a-a-altro p-p-punto di v-v-vista. E loro lo v-v-vogliono!
— Sono i genitori che hanno preso la decisione, Miri. Nessun altro potrebbe farlo al posto loro.
— Allora p-p-p-p-perché Joan e sua m-m-madre stanno p-p-piangendo?
— Perché a volte le cose necessarie sono difficili. E perché nessuna delle due ha ancora imparato ad accettare la dura necessità senza renderla peggiore con il rimpianto. È una lezione vitale, Miri. Il rimpianto non è produttivo. Nemmeno il senso di colpa o il lutto, anche se ho provato tutt’e due le cose per i cinque feti Dormienti che abbiamo avuto al Rifugio.
— C-c-cinque?
— Per adesso. Cinque in trentuno anni. Ogni coppia di genitori ha preso la stessa decisione dei genitori di Joan, perché ogni coppia ha compreso la dura necessità. Un bambino Dormiente è un mendicante, e quelli produttivamente forti non accolgono le pretese parassitiche dei mendicanti. La carità, forse, è una questione individuale. Ma la pretesa, come se la debolezza avesse un diritto morale sulla forza, come se fosse in qualche modo superiore alla forza, no. Non lo ammettiamo.
— Un b-b-bambino D-d-dormiente sarebbe p-p-p-produttivo! È n-n-normale, per il r-resto!
Jennifer si sedette con grazia sulla sedia della scrivania di Tony. Le pieghe della sua nera abbaya si adagiarono a terra accanto al corpo accucciato di Miri. — Per la prima parte della sua vita, sì. La produttività, però, è una cosa relativa. Un Dormiente può avere cinquant’anni di produttività, iniziando, diciamo, dai venti. Ma, a differenza di noi, verso i sessanta o i settant’anni i loro corpi si indeboliscono, sono preda di esaurimenti, si sfaldano. Possono vivere tuttavia per almeno altri trent’anni, un fardello per la comunità, una vergogna per se stessi perché è una vergogna non lavorare quando gli altri lo fanno. Anche se un Dormiente fosse industrioso, ammassasse denaro per la vecchiaia, acquistasse robot che si prendessero cura di lui, finirebbe per essere isolato, incapace di prendere parte alla vita quotidiana del Rifugio, degenerando. Morendo, Dei genitori che amano il proprio bambino lo condannerebbero a un simile destino? Una comunità potrebbe mantenere molte di queste persone senza assumersi un fardello spirituale? Pochi, sì: ma che sarebbe dei principi coinvolti?
"Un Dormiente allevato fra noi non sarebbe soltanto un estraneo qui, inconscio e morto cerebralmente per otto ore al giorno, mentre la comunità va avanti senza di lui. Avrebbe anche il tremendo peso di sapere che un giorno o l’altro potrebbe avere una paralisi, un attacco di cuore, un cancro o una delle miriadi di malattie cui sono soggetti i mendicanti. Sapendo che lui stesso diventerà un peso, Come potrebbero un uomo o una donna di sani principi vivere in questo modo? Sai che cosa dovrebbero fare?"
Miri capì. Ma non lo disse.
— Dovrebbero suicidarsi. Una cosa tremenda a cui costringere il bimbo che ami!
Miri strisciò fuori da sotto la scrivania. — M-m-ma, n-nonna… t-t-tutti d-d-dovremo m-m-orire un giorno. Anche t-t-tu.
— Ovviamente — rispose con compostezza Jennifer. — Ma quando lo farò, sarà dopo una vita lunga e produttiva come membro completo della mia comunità: il Rifugio, il sangue del nostro cuore. Non vorrei niente di meno per i miei figli e per i miei nipoti. Non mi accontenterei di niente di meno. Nemmeno la madre di Joan.
Miri rifletté. Reti complesse di pensiero si annodarono nella sua testa. Alla fine, dolorosamente, annuì.
Jennifer proseguì, come se non avesse vinto: — Io penso, Miri, che tu sia grande abbastanza da cominciare a vedere trasmissioni dalla Terra. Abbiamo creato una limitazione ai quattordici anni perché pensavamo che sarebbe stato meglio se i tuoi principi si fossero formati, i tuoi e quelli degli altri bambini, prima di mostrarvi le violazioni che avvengono sulla Terra. Forse ci siamo sbagliati, specialmente con voi Super. Con voi stiamo ancora cercando una via a tentoni, tesoro. Ma forse sarebbe meglio che tu vedessi il genere di vite sprecate, parassitiche che i mendicanti, adesso si chiamano "Vivi", prediligono.