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Eric scivolò dietro al volante. Era una novità fra i Muli. Guidare personalmente. Drew ignorò la guardia e sollevò entrambe le braccia, ammanettate insieme, sopra la testa per farle piombare pesantemente sul collo di Eric. Eric non si voltò nemmeno. La guardia afferrò le braccia di Drew al massimo dello slancio e gli fece qualcosa di talmente doloroso alla spalla che lui si accasciò, accecato dal dolore, sul sedile posteriore. Iniziò a singhiozzare.

Eric guidava.

Lo portarono in un motel di Vivi, del genere che veniva affittato per orge o narcofeste a spese dell’assistenza sociale. Eric e la guardia lo spogliarono e lo cacciarono nella dozzinale vasca da bagno fuori misura da quattro persone. La testa di Drew affondò. Respirò acqua finché non riuscì a tirarsi fuori, nessuno nei due lo aiutò. Eric versò nell’acqua una mezza bottiglia di mangiasporco modificati geneticamente. La guardia del corpo si spogliò, entrò insieme con Drew e cominciò a strigliarlo per bene.

Successivamente venne legato al letto.

Immobilizzato, impotente senza la carrozzella, Drew giacque maledicendo le proprie lacrime, mentre Eric incombeva sopra di lui e la guardia del corpo usciva per una passeggiata.

— Non so perché lei vuole preoccuparsi di te, Arlen. So perché io sono qui. Primo, perché altrimenti ci sarebbe lei e secondo perché, altrimenti, tu saresti in piedi e io non potrei mazzuolarti nel modo che ti meriti. Ti è stata data ogni opportunità, ogni considerazione e tu hai buttato tutto. Sei stupido, sei indisciplinato e, a diciannove anni, non hai nemmeno quel minimo di etica che ti farebbe chiedere che cosa è successo al tuo amico che è rimasto ustionato per la tua inutile distruttività. Sei un disastro come essere umano, perfino come essere umano Vivo, ma io ti offro un’ulteriore opportunità. Nota bene: nulla di quello che ti accadrà è idea di Leisha. Lei non ne sa nulla. Questo è il mio regalo per te.

Drew sputò verso di lui. Lo sputo risultò troppo corto e ricadde sul pavimento di pietra porosa. Eric non sorrise nemmeno prima di voltarsi.

Lo lasciarono lì, legato, tutta la notte.

La mattina seguente, la guardia del corpo imboccò Drew con un cucchiaio, come un neonato. Drew gli risputò il cibo il faccia. La guardia del corpo, del tutto inespressiva, lo colpì violentemente alla mascella, un po’ più a destra rispetto al punto in cui l’aveva colpito Eric, e gettò il resto del cibo nello scarico dei rifiuti. Lanciò a Drew un paio di calzini puliti, gli abiti più dozzinali possibili dell’assistenza sociale, pantaloni con i lacci e una camicia aperta di un grigio non tinto e biodegradabile. Drew faticò a infilarsi i pantaloni solo perché sospettò che, altrimenti, l’avrebbero scaraventato nudo in auto. Non riuscì a far passare la camicia sopra le manette. Se la strinse al petto mentre la guardia del corpo lo trascinava, a piedi nudi, all’esterno.

Viaggiarono per quattro o cinque ore, fermandosi una sola volta. Appena prima di fermarsi, la guardia gli mise una benda sugli occhi. Drew ascoltò con la massima attenzione Eric che scendeva dall’auto, ma tutto quello che riuscì a sentire fu un debole sussurrare in quello che poteva, ma poteva anche non essere, spagnolo. L’auto si avviò nuovamente e, alla fine, la guardia gli tolse la benda: il piatto paesaggio desertico non era mutato. A Drew doleva la vescica da scoppiare, e alla fine se la fece addosso. Nessuno degli altri due commentò. I pantaloni di plastica gli trattennero il piscio contro la pelle.

Si fermarono nuovamente davanti a un edificio basso, largo e privo di finestre che assomigliava a un hangar di un aeroporto chiuso. Drew non sapeva in che città si trovassero, in che stato. Eric non aveva detto una parola per l’intera mattinata.

— Io non ci vengo lì dentro!

— Prima levagli quei pantaloni bagnati, Par — fece Eric con disgusto. La guardia del corpo lo afferrò per l’orlo dei pantaloni e tirò. Drew cercò di divincolarsi, ma il suo dimenarsi inefficace cessò quando un roadrurmer gli passò casualmente davanti agli occhi. Dal becco del volatile penzolava un serpente, mezzo mangiato. La pelle del serpente era verde e vi spiccavano lettere arancioni che dicevano PUTA.

Si trovavano in un luogo dove la tecnologia genetica illegale non doveva nascondersi dai poliziotti. All’interno si susseguivano interminabili corridoi grigi, ognuno dei quali era bloccato da un campo a energia-Y. A ogni punto di controllo, Eric si avvicinava allo scanner di retina e veniva fatto passare senza che fosse pronunciata una sola parola. Quella cosa, qualsiasi cosa fosse, era stata organizzata.

La paura in Drew era come un grigio gocciolio che si diffondeva, informe, ed era proprio la sua mancanza di forma a renderlo spaventoso.

Alla fine, arrivarono in una piccola stanza con una barella bianca pulita. Pat ce lo sbatté sopra. Drew rotolò giù, rovinando a terra, non protetto. Cercò di trascinarsi, nudo, verso la porta. Pat lo recuperò senza alcuno sforzo con i suoi muscoli potenziati, lo gettò un’altra volta sulla barella e lo immobilizzò con delle cinghie. Una persona che lui non riuscì a vedere gli toccò la testa con un elettrodo.

Drew si mise a gridare. La stanza si fece arancione, poi rossa di punti incandescenti, ognuno una bruciatura sulla pelle. Ma succedeva tutto nella sua mente: nulla lo aveva ancora toccato, se non il metallo freddo. Lo avrebbero fatto, però, gli avrebbero bruciato la mente.

— Drew, ascoltami — esordì Eric a bassa voce, molto vicino al suo orecchio. — Non si tratta di una lobotomia elettronica. Questa è una nuova tecnica di modificazione genetica. Ti infetteranno il cervello con un virus alterato che ti renderà impossibile bloccare il flusso di immagini dalla zona limbica alla corteccia. Quella è la parte più antica e primitiva del cervello. Quindi, dei bio-feedback regoleranno le tue onde cerebrali finché la corteccia non avrà imparato la sequenza per analizzare le immagini in attività teta. Capisci?

Drew non capiva nulla. La paura gli occludeva il resto della mente, il grigio gocciolio ribollente si spense insieme alle ustioni rosso incandescente e, quando qualcuno gridò, si sentì pervaso dalla vergogna, perché era stato lui. A quel punto, venne messo in funzione il macchinario e la stanza sparì.

Giacque per sei giorni sulla barella. Una flebo gli faceva scorrere il nutrimento nel braccio, un catetere gli sottraeva l’urina. Drew non si rendeva conto di nessuna delle due cose. Per sei giorni, sottili sequenze elettrochimiche nel suo cervello vennero rinforzate, ampliate come un’autostrada viene ampliata da una squadra di intervento, che lavora infaticabilmente senza sapere che cosa dovrà passare su quella strada. Le immagini fluivano liberamente, senza inibitori chimici, dalla mente inconscia di Drew, dalla sua memoria razziale, dalle antiche parti da rettile del cervello verso la nuova corteccia, condizionata dalla società, che le riceveva di solito non filtrate da sogni e simboli, e che sarebbe risultata distrutta dalla frastornante confusione senza l’aiuto della forte struttura delle droghe modificate geneticamente che tenevano tutto insieme.

"Si accovacciò su una roccia al sole e aveva artigli, zanne, pelliccia, penne, scaglie. Le sue mascelle strapparono e lacerarono l’essere che gemeva impotente e il sangue gli scorse sulla faccia, sul muso, sulla cresta. L’odore del sangue lo eccitò e il fragore privo di parole che aveva nelle orecchie disse: ’mio, mio, mio, mio…’

Indietreggiò sulle zampe posteriori, possenti quanto pistoni, e schiacciò nuovamente il sasso contro la testa dell’altro. Suo padre, che si contraeva nel vomito dell’ultima ubriacatura, sollevò le mani serrate e lo scongiurò di avere pietà. Drew abbatté violentemente il sasso e, nell’angolo della tana, sua madre restò accucciata, con la pelliccia rilucente per i narcotici, in attesa del pene che era già congestionato per l’uccisione…

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