— No — disse Leisha soffocando una risatina. — Mi dispiace. Nessun aristocratico del Diciottesimo secolo avrebbe potuto avere un carnet sociale più pieno.
— Già, be’, io sono un Vivo gallo — disse il ragazzino modestamente. — Ma dovrei essere io a fare domande a lei. Allora, c’è… no, aspetti… che cos’è questa… Fondazione che lei dirige? Che cosa fa?
— Chiede ai mendicanti perché sono mendicanti e fornisce fondi per quelli che vogliono essere qualcosa d’altro.
Il ragazzo sembrò sconcertato.
— Se, per esempio, lei volesse diventare un Mulo — spiegò Leisha — la Fondazione Susan Melling potrebbe aiutarla a iscriversi a scuola, finanziare potenziamenti genetici per lei, qualsiasi cosa fosse necessaria.
— Perché mai dovrei volere una cosa simile?
— Già, perché? — ribalté Leisha. — Ma alcune persone lo vogliono.
— Nessuno di mia conoscenza — rispose deciso il ragazzo. — Mi sembra una cosa un po’ bacata. Un’altra domanda. Perché lei lo fa? Gestire questa specie di fondazione?
— Perché ciò che i forti devono ai mendicanti è chiedere a ognuno di loro perché è un mendicante, e agire di conseguenza — rispose Leisha misurando le parole. — Perché la comunità è il presupposto, non il risultato, e soltanto attribuendo all’improduttività la stessa individualità dell’eccellenza, e agendo di conseguenza, si colma l’obbligo nei confronti dei mendicanti di Spagna.
Si accorse che il ragazzino non aveva capito una singola parola. Né le chiese spiegazioni. Si alzò in piedi, recuperò il registratore con ovvio sollievo. Il lavoro giornaliero era terminato. Le porse la mano. — Be’, immagino che sia tutto. L’insegnante ha detto che quattro domande erano abbastanza. Grazie, signorina Camden.
Lei gli strinse la mano. Un ragazzino così cortese, così privo di odio e invidia, così soddisfatto. Così stupido. — Grazie, signor Cavanaugh. Per avere risposto alle mie domande. Risponderebbe ancora a una?
— Certo.
— Se il suo insegnante inserirà questa intervista nel notiziario scolastico, qualcuno la guarderà? — Lui distolse lo sguardo: Leisha si accorse che non aveva intenzione di metterla in imbarazzo con la risposta. Che ragazzino cortese. — Lei guarda mai i notiziari, signor Cavanaugh?
Ora lui incrociò il suo sguardo, con un’espressione sbalordita sul giovane volto. — Certamente! Tutta la mia famiglia lo fa! Come farebbero altrimenti la mamma e il papà a sapere quali Muli ci daranno di più per il nostro voto?
— Oh — disse Leisha. — La Costituzione Americana all’opera.
— E l’anno prossimo è l’anno del tricentenario — aggiunse con orgoglio il ragazzo: i Vivi erano tutti patrioti. — Be’, grazie ancora.
— Grazie a lei — rispose Leisha. Stella sulla porta, con espressione severa, accompagnò il ragazzo all’uscita.
— La tua comunicazione telefonica è fra due minuti, Leisha, e adesso c’è…
— Stella, quante domande ha esaminato questo trimestre la Fondazione?
— Centosedici — rispose Stella con precisione. Teneva lei la documentazione della Fondazione, inclusa la contabilità.
— Di che percentuale siamo scesi rispetto allo scorso trimestre?
— Sei per cento.
— E dall’anno scorso?
— Otto per cento. Lo sai. — Leisha lo sapeva: Stella avrebbe avuto molto più da fare se la Fondazione avesse funzionato al ritmo impetuoso dei primi anni. Non avrebbe cercato di far sì che gli impegni materni e di segretariato riempissero il suo cervello di prima categoria, pesando su tutti gli altri nell’agire così. Stella doveva avere immaginato quello che Leisha stava pensando. Disse improvvisamente: — Potresti tornare a occuparti di legge. Oppure scrivere un altro libro. Oppure fondare una nuova azienda, semmai intendessi prendere in considerazione l’idea di competere con i Muli su quello che sai fare anche meglio di loro.
— Il Rifugio compete — rispose dolcemente Leisha. — Il nuovo ordinamento economico non è basato comunque sulla competizione, è basato sulla qualità della vita: me l’ha appena detto quel giovanotto. Non mi tormentare, Stella, è il mio compleanno. Che cos’è tutto quel fracasso là fuori?
— È quello che stavo cercando di raccontarti. C’è un bambino, appena fuori dal cancello, che sta gridando a squarciagola che vuole vedere te e nessun altro se non te.
— Un bambino Insonne? — chiese Leisha, mentre il sangue prendeva a scorrerle più velocemente. Succedeva ancora qualche volta: una modificazione genetica illegale, un bambino confuso che apprendeva lentamente nel corso degli anni di essere differente, che le corse degli scooter, gli olovideo e le narcofeste non erano sufficienti per lui come invece lo erano per i suoi amici. L’occasione, quindi, di scoprire della Fondazione Susan Melling, generalmente da un Mulo gentile, e il viaggio terrorizzante e determinato in cerca del proprio genere, ancora prima di sapere che cosa significasse appartenere al proprio genere. Accogliere quegli Insonni, bambini, ragazzi e a volte perfino adulti all’interno della Fondazione, aiutarli a diventare ciò che realmente erano, era stato il più dolce godimento di Leisha durante i venticinque anni passati nell’isolato deserto.
Stella, però, disse: — No. Non è un Insonne. Ha più o meno dieci anni: è un bambino lurido che strilla a squarciagola che deve vedere te e nessun altro. Ho mandato fuori Eric per dirgli che ricevi domani, ma quello gli ha dato un pugno in un occhio e ha detto che non poteva aspettare.
— Eric lo ha messo a terra? — chiese Leisha. Il figlio dodicenne di Stella aveva i geni della forza modificati. Prendeva lezioni di karate. Inoltre, aveva un temperamento che nessun Insonne avrebbe dovuto avere.
— No — rispose Stella, con orgoglio. — Eric sta crescendo. Ha imparato a non colpire a meno che non ci sia una chiara necessità fisica di difendersi.
Leisha ne dubitava. Eric Bevington-Watrous la preoccupava. Tutto quello che disse, però, fu: — Fai entrare il ragazzino. Gli parlerò subito.
— Leisha! Tokio è in linea proprio adesso!
— Di’ che richiamerò. Assecondami, Stella: è il mio compleanno. Sono vecchia.
— Alice è vecchia — rettificò Stella, mutando improvvisamente umore. Un istante dopo aggiunse: — Mi dispiace.
— Fai entrare il ragazzino. Quanto meno smetterà di strillare. Come hai detto che si chiama?
— Drew Arlen — rispose Stella.
In orbita sopra l’Oceano Pacifico, il Consiglio del Rifugio scoppiò in un applauso spontaneo.
Quattordici uomini e donne stavano seduti attorno al lucido tavolo in metallo dalla sagoma di una doppia elica stilizzata, sistemato nella cupola del Consiglio. Una finestra in plastivetro a circa un metro dal pavimento correva tutto attorno alla cupola, occasionalmente incrociata da strutture di sostegno in metallo. La cupola stessa era posta il più vicino possibile a una estremità della stazione orbitale cilindrica, cosicché la vista dalla sala delle conferenze, che occupava quasi la metà della cupola del Consiglio, risultasse gradevolmente variata. A "nord" si estendevano i campi agricoli, punteggiati di cupole che si curvavano dolcemente verso l’alto fino a perdersi nel cielo pallido. A "sud" c’era lo spazio, inflessibile nello strato relativamente sottile di aria che si trovava fra la cupola del Consiglio e l’estremità in plastivetro del cilindro orbitante. A nord si godeva di un caldo e soleggiato "giorno", visto che la luce del sole fluiva nella stazione orbitale attraverso le lunghe sezioni di finestre non oscurate; a sud regnava l’infinita notte, piena alternativamente di stelle o di una terra enorme in modo oppressivo. La curvatura irregolare del tavolo da conferenza e le sedie inchiodate al pavimento facevano sì che sei membri del Consiglio guardassero le stelle e otto guardassero il sole.
Jennifer Sharifi, capo permanente del Consiglio, era rivolta sempre a nord, verso il sole.
Disse, con il godimento che le faceva scintillare gli occhi scuri: — Tutte le scansioni cerebrali, le analisi dei fluidi, i risultati della cartografia spinale e, ovviamente, le analisi del DNA non indicano altro se non successo. Bisogna congratularsi caldamente con i dottori Toliveri e Clemens. Così come, ovviamente, con Ricky ed Hermione. — Sorrise calorosamente al figlio e alla nuora. Ricky ricambiò il sorriso, Hermione abbassò la testa e uno spasmo attraversò il suo volto bello in modo stravagante. Circa la metà delle famiglie del Rifugio non alteravano più i geni, accontentandosi dei benefici intellettuali e psicologici dovuti all’insonnia e volendo conservare la somiglianza familiare. Hermione, dagli arti affusolati e gli occhi viola, apparteneva all’altra metà.