Nel cogliere l’occhiata di Betriz, Cazaril fece una smorfia. «Non sono stato io, questo è ovvio», dichiarò. Anche se non si può dire che non ci abbia provato, rifletté.
«Avete…» cominciò Betriz, poi s’interruppe.
Cazaril le rivolse un cenno del capo quasi impercettibile. La giovane comprese: non poteva chiedergli, davanti a due testimoni, se lui aveva premeditato un crimine che comportava la pena capitale. D’altro canto, era possibile leggere nello sguardo della giovane una tale ridda d’ipotesi…
«Credo di averlo avvertito», riprese Iselle, meravigliata, camminando avanti e indietro con passo reso leggero dal sollievo. «In ogni caso, ho avvertito qualcosa… A mezzanotte… Avete detto che è successo verso mezzanotte, vero?»
Cazaril evitò di precisare che, in presenza della Royesse, nessuno aveva parlato di un’ora precisa.
«A quell’ora, il mio cuore si è rasserenato, come se qualcosa, dentro di me, avesse appreso che le mie preghiere erano state ascoltate. Tuttavia non mi sarei mai aspettata questo», proseguì Iselle. «Io avevo chiesto alla Signora che permettesse a me di morire… o che si compisse la sua volontà.» Si portò una mano alla fronte e chiese, con voce d’un tratto esitante «Cazaril… È possibile che… Potrei essere stata io a fare questo? È così che la Dea ha scelto di rispondermi?»
«Io… non credo proprio, Royesse. Avete rivolto le vostre preghiere alla Signora della Primavera, giusto?»
«Sì, a lei e alla Madre dell’Estate, ma soprattutto alla Signora della Primavera.»
«Ed entrambe concedono miracoli di vita e di risanamento, non di morte», le ricordò Cazaril. In effetti, quella era la norma. D’altro canto, però, tutti i miracoli erano rari e imprevedibili, perché nessuno poteva conoscere i limiti e gli scopi degli Dei.
«Non ho avuto una sensazione di morte», ammise Iselle. «Tuttavia ho provato sollievo, al punto che sono riuscita a mangiare qualcosa senza vomitare e che ho perfino dormito per un po’.»
«Cosa di cui sono stata lieta, mia signora», interloquì Nan dy Vrit, annuendo.
«Sono certo che dy Jironal risolverà questo mistero per conto di tutti noi», tagliò corto Cazaril, traendo un profondo respiro. «Senza dubbio, individuerà coloro che, la scorsa notte, sono morti all’interno di Cardegoss — anzi in tutta Chalion — e finirà per trovare l’assassino di suo fratello.»
«Sia benedetta quella povera anima che ha sventato in questo modo i suoi ignobili piani e che ha pagato un simile prezzo», esclamò Iselle, toccandosi formalmente la fronte, le labbra, il ventre, l’inguine e il cuore, con le dita allargate. «Che i demoni del Bastardo gli concedano tutta la misericordia possibile.»
«Così sia», commentò Cazaril. «Speriamo solo che dy Jironal non trovi amici o parenti del colpevole su cui vendicarsi.» Poi venne colto da un crampo e si serrò le braccia intorno al ventre.
Subito Betriz gli si avvicinò e lo scrutò in volto, protendendo la mano verso di lui, ma lasciandola subito ricadere. «Avete un aspetto spaventoso, Lord Caz… La vostra pelle ha il colore del porridge freddo.»
«Sto… male. Probabilmente è colpa di qualcosa che ho mangiato», ansimò Cazaril, traendo un faticoso respiro. «Dunque oggi non ci prepareremo per uno sgradito matrimonio ma per un gioioso funerale. Posso confidare che voi signore riuscirete a contenere in pubblico la vostra soddisfazione?»
Nan dy Vrit reagì a quelle parole con uno sbuffo, ma Iselle bloccò con un cenno la sua reazione. «Vi prometto che avremo un atteggiamento compassato e solenne», garantì. «Se nel mio cuore ci saranno gioia e rendimento di grazie, non dolore, questo lo sapranno soltanto gli Dei.»
Cazaril annuì, massaggiandosi il collo dolorante. «Di solito, una vittima della magia di morte viene bruciata prima di notte, in modo da impedire l’accesso al corpo a cose ultraterrene che cerchino di penetrarvi… o almeno così asseriscono i Divini», mormorò. «A quanto pare, questo genere di morte invita ogni sorta di creature spettrali. Dovendo approntare ogni cosa prima che faccia buio, sarà un funerale terribilmente affrettato per un nobile di rango così elevato.» Nel parlare, dovette distogliere lo sguardo da Iselle, perché la sua aura corrusca e vibrante cominciava quasi a dargli la nausea.
«In tal caso, Cazaril, sarà meglio che, fino ad allora, andiate a sdraiarvi», suggerì Betriz. «Per quanto si tratti di una cosa inattesa, adesso siamo salve, e non c’è bisogno che voi facciate altro.» Strinse per un istante le mani gelide del Castillar nelle sue e gli rivolse un sorriso pieno di preoccupazione, che lui riuscì a stento a ricambiare, prima di ritirarsi.
Rientrato nella propria camera, Cazaril si stese di nuovo sul letto. Era là da circa un’ora, ancora sconcertato e tremante, quando la porta si spalancò. Betriz entrò in punta di piedi e gli posò una mano sulla fronte. «Temevo che aveste la febbre… Invece siete gelido», disse.
«Ho… Sì, ho preso freddo. Devo essermi scoperto durante la notte.»
«I vostri vestiti sono fradici di umidità», continuò lei, toccandogli la spalla. «Quand’è stata l’ultima volta che avete mangiato?»
«Ieri mattina, credo», rispose Cazaril.
«Capisco», commentò Betriz, indugiando ancora a fissarlo con espressione accigliata, poi si girò di scatto e lasciò la stanza.
Dieci minuti più tardi, arrivò una cameriera con uno scaldino pieno di carboni ardenti e una trapunta di piume d’oca. Poi fu la volta di un servitore con un secchio d’acqua calda. L’uomo aveva ricevuto l’ordine di lavare Cazaril e di rimetterlo a letto con indosso una camicia da notte pulita… Due incarichi che contrastavano alquanto con la frenetica atmosfera del castello, giacché i nobili e le dame erano tutti impegnati a prepararsi per una cerimonia formale. Il servitore aveva appena finito di sistemarlo a letto, avvolto nelle lenzuola calde e asciutte, quando Betriz riapparve sulla soglia, reggendo su un vassoio una tazza di terracotta; puntellata la porta perché rimanesse aperta, la ragazza si sedette sul bordo del letto.
«Cercate di mangiare», disse, procedendo a imboccarlo.
Cazaril accettò il primo cucchiaio di pane, latte e miele con aria sorpresa, poi si sforzò di sollevarsi a sedere. «Non sono malato fino a questo punto», protestò. Nel tentativo di recuperare un po’ di dignità, prese la tazza dalle mani di Betriz, la quale gli rimase accanto per essere sicura che continuasse a mangiare. Ma non ce n’era bisogno: Cazaril scoprì di essere davvero affamato e, una volta finito di mangiare, si rese conto che non tremava più.
«Ah, il vostro colorito è molto migliorato», approvò Betriz, con un sorriso soddisfatto. «Bene.»
«Come sta la Royesse?»
«Molto meglio. Dovrei dire che è crollata, ma non bisogna interpretare questo termine in senso negativo, bensì immaginando quel gradevole rilassamento che subentra allorché si dissolve una tensione intollerabile. Guardarla è una gioia per gli occhi»
«Sì, lo capisco.»
«Adesso sta riposando, in attesa che arrivi l’ora di prepararsi», continuò Betriz, prendendo la tazza vuota e posandola di lato. Poi abbassò la voce e aggiunse: «Cazaril, che cosa avete fatto, la notte scorsa?»
«Nulla, è evidente.»
La giovane serrò le labbra, esasperata. Lui però non voleva gettarle addosso il fardello del suo segreto. Una confessione avrebbe dato sollievo alla sua anima, certo, però avrebbe anche messo in pericolo quella di Betriz. Se fosse stata aperta un’inchiesta e lei avesse dovuto testimoniare sotto giuramento… No, non poteva parlare.
«Lord dy Rinal ha saputo che la scorsa notte voi avete pagato un paggio perché vi procurasse un ratto… È stato questo che ha spinto dy Jironal a precipitarsi nella vostra stanza, almeno a quanto sostiene dy Rinal. Il paggio, dal canto suo, ha affermato che voi volevate mangiare il ratto…»
«Infatti. Mangiare un ratto non è un crimine. Era un piccolo banchetto commemorativo, in ricordo dell’assedio di Gotorget.»